Capitolo 17

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Carter





Jordan è nervoso. Lo percepisco dal modo in cui le sue sopracciglia si accavallano ad intermittenza, dal torturarsi continuo delle mani e dalla partecipazione stentata alla nostra serata d'affari.
Dopo aver concluso il giro di spaccio, per conto di Shein, imbucandoci alle feste universitarie e ai pub vietati ai minori, decido di indagare più a fondo sul suo malumore.
Salgo in auto e, lanciando un'occhiata allo specchietto retrovisore, dico: «Avanti, Dickens, sputa il rospo.»
Jordan sobbalza, preso alla sprovvista, scuote la testa lentamente, poi decide finalmente di parlare. «Che tipo è Gabriel Evans?»
Kevin lo colpisce con una spallata. «Non sarai mica frocio? Guarda che non è un problema per noi.»
Danny scoppia a ridere, mentre io rimango serio e vado avanti con l'indagine.
«Un coglione che crede di potersi permettere di tutto solo perché è il figlio del preside. Se ne va in giro con quella cazzo di faccia da innocente, invece è il peggiore di tutti» sputo fuori, puntando la strada che sfreccia davanti ai miei occhi.
Jordan si agita sul sedile. «È pericoloso?»
«Pericoloso per noi è un eufemismo» ribatte Danny.
«Con le ragazze come si comporta?» chiede ancora.
A questo punto, tutto improvvisamente mi appare più chiaro. Ho beccato Gabriel e la ragazzina chiacchierare più di una volta, compreso oggi.
«Sono usciti insieme» osservo.
«Sì» conferma Jordan. «E non mi piace.»
Danny fa spallucce. «Beh, non piace nemmeno a noi.»
Un'idea malsana percorre la mia mente. Non ho voglia di trascorrere il resto della serata ad inseguire una coppia insignificante, per me. Ma Gabriel mi urta più di quanto si possa pensare e infastidirlo mi eccita, in un certo senso.
Mi odia da quando ho messo piede a Seattle, ha sempre tentato di mettermi nei guai facendo la spia, solo per gelosia. Perché, nonostante non abbia mai avuto nulla tra le mani, ho sempre riscosso più successo.
«Sai dove sono andati?» chiedo.
«No» sbuffa Jordan, che sembra aver già capito le mie intenzioni.
«Vabbé, uno come lui dove potrebbe mai portare una ragazza? Una romantica passeggiata sul molo?» interviene Kevin, che per una volta sembra aver fatto un'osservazione sensata.
Sterzo violentemente e cambio traiettoria, fregandomene del semaforo rosso e meritandomi alcuni colpi di clacson da altri automobilisti.

«Guardala, è incantata da lui, non si accorgerebbe di te nemmeno se ti sedessi al suo tavolo» ridacchia Kevin, che sembra particolarmente divertito.
Jordan lo colpisce con uno schiaffo sulla nuca. «Fanculo.»
Alzo un sopracciglio quando vedo la mano di Gabriel volare sopra quella della ragazzina, le guance di lei prendere fuoco, l'innocenza scritta a caratteri cubitali sulla sua fronte sorpresa.
«È così vergine» continua Kevin, meritandosi un'altra sberla.
«Lo è, infatti, non permetterò ad uno qualunque di infilarsi nelle sue mutande, cazzo» ringhia Jordan, contraendo la mascella.
I miei occhi puntano il tavolo accanto a loro, che si è appena liberato. Perciò mi precipito dentro la gelateria senza proferire parola ed i ragazzi si limitano a seguirmi.
«So già che andrà male» mormora Danny sottovoce.
E lo so anche io, perché Gabriel assottiglia lo sguardo su di me e arriccia il naso, chiaramente infastidito.
La ragazzina imita i suoi movimenti, accorgendosi che qualcosa non va, e sbianca quando nota suo fratello maggiore a pochi metri di distanza.
«Ma che coincidenza» sbuffa, frustrata.
Jordan mette in mostra il sorriso più falso di cui è capace. «Abbiamo tutti una gran voglia di gelato.»
E, per rendere il tutto più credibile, fa cenno alla cameriera di portarci quattro frappé alla vaniglia, che ci vengono serviti pochi minuti dopo.
«Senti, andiamo via?» sento la voce di Gabriel, nonostante il tono basso.
La ragazzina si tortura il labbro inferiore tra i denti. «E dove?»
«Lontano da loro, ovunque, anche a casa mia. I miei non ci sono.»
Le spalle della ragazzina diventano improvvisamente tese ed io colpisco la gamba di Jordan con un calcio, che si trova di fronte a me. Gli faccio cenno di aprire le orecchie.
«Ehm, non lo so... tanto domani c'è scuola, non dovrei fare tardi» balbetta lei, imbarazzata.
Gabriel non fa in tempo a rispondere, nel miserabile tentativo di farle cambiare idea, che Jordan passa all'attacco decisivo.
Li raggiunge e incrocia le braccia al petto, fulminando il castano con un'occhiataccia. «Steph, andiamo a casa.»
La ragazzina, però, che pare non voler sentire ordini, si indispettisce. Si alza dal tavolo e chiede gentilmente a Gabriel di aspettarla fuori, affermando di raggiungerlo presto.
Dopodiché punta un dito contro il petto di Jordan. I suoi occhi gli dichiarano guerra. «So cavarmela, non mi serve il tuo aiuto.»
«Sì, ti serve. È un coglione.»
Lei scoppia a ridere, poi ferma lo sguardo su di me per qualche secondo, prima di riportarlo su suo fratello. «Buffo, non trovi? Ne sei sempre circondato.»
«Non è la stessa cosa!» esclama Jordan, allargando le braccia.
Stephanie si scoccia presto e, senza ribattere, si dirige verso l'auto di Gabriel, che pensa di aver vinto la partita.
Allora decido di entrare in gioco io. Corro verso l'uscita e circondo i fianchi della ragazzina, con prepotenza. Lei sbarra gli occhi, spaventata. Poi si divincola quando mi riconosce.
«Non toccarmi» sbotta.
Sorrido. «Non sei il mio tipo, rilassati, devo solo dirti una cosa.»
Lei sembra offendersi, ma tenta di nasconderlo con ogni sua forza. «Cosa ti fa pensare che io voglia ascoltarti?»
Non perdo tempo in altri stupidi giri di parole e arrivo dritto al punto. «Vuole solo scoparti e poi vantarsi a scuola con gli altri, dovresti ascoltare tuo fratello.»
Una risata divertita sfugge dalle sue labbra. «Tipo come fate voi? Non siete migliori.»
Una smorfia solleva un angolo del mio labbro superiore. «Credi che io abbia bisogno di vantarmi delle mie conquiste, ragazzina? Ci pensano le ragazze stesse ad esporre le mie straordinarie performance, di solito.»
Si mostra disgustata. «Questo dovrebbe fare la differenza?»
Annuisco, convinto. «Eccome.»
«Avrebbe dovuto mandare qualcuno di più convincente di te, per parlarmi» ribatte, acida e sfrontata.
Le impedisco di andarsene, bloccandole il polso con la minima forza. La tiro verso di me e i nostri nasi quasi si allineano. «Vuoi davvero questo per te?»
Lei boccheggia per un istante, in cerca di ossigeno. È così innocente da non credere, così espressiva da non riuscire a nascondere le emozioni.
«Forse sì» riesce a dire con un filo di voce.
Avvicino la mia bocca al suo orecchio. «Pensavo che fossi molto più sveglia.»
Poi la lascio e la pianto lì, confusa e amareggiata. Mi allontano senza voltarmi, perché so di averla convinta.

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