Capitolo 42

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Stephanie





Gli fai paura.
Tre parole che si ripetono ininterrottamente dentro la mia testa, come in un loop senza fine. E continuano, torturandomi, perfino quando rientro in casa.
Mi stordiscono così tanto da non accorgermi neanche che la finestra che affaccia sulla cucina è illuminata. Mi blocco sull'ingresso, quando sento qualcuno trafficare con degli oggetti. Una paura insolita attanaglia il mio stomaco, ma mi calmo all'istante quando sento la voce di mio padre.
«Stephanie? Sei tu?»
Mi affaccio, oltre il muro. «Sei tornato questa sera, alla fine.»
Annuisce. «Sì, certo tesoro, poi Jordan mi ha spiegato della festa e di quanto tu ci tenessi a partecipare.»
Una smorfia contrae le mie labbra, e giuro di fargliela pagare. Bugiardo imbroglione di un fratello.
«A proposito, lui dov'è?» domanda, aggrottando la fronte, dopo essersi assicurato della sua mancanza.
Invento una scusa al volo, perché nonostante tutto non voglio metterlo nei guai. Ci penserò io stessa a torturarlo.
«Oh, si trattiene un altro po', io invece sono stanca, perciò vado a letto.»
Annuisce e mi lascia andare. Non mi chiede niente, di come sto, di come va la scuola, soltanto un cenno impercettibile del capo.
Deludente? Parecchio.
E quando mi lascio andare contro il materasso, atterrando sulla pancia con un tonfo, affondo la faccia sul cuscino e soffoco un grido.
Perché va tutto male, niente come vorrei.
Mio padre continua ad essere assente, immerso nel suo mondo, con il dolore che nasconde dentro al suo cuore, ma non concede a nessuno la possibilità di poterlo curare. Mio fratello continua a frequentare persone che non mi piacciono, tranne una, che ha deciso di darmi il tormento e confondere le mie idee già poco chiare.
E questa è la cosa che più mi destabilizza. Perché non mi sono resa conto del momento esatto in cui ho smesso di odiarlo. Forse ancora è così, eppure quando ripenso alla sua bocca sulla mia, milioni di farfalle svolazzano libere dentro la mia pancia. Quella sensazione che solo lui riesce ad accendere in me, che dura però soltanto poco tempo, perché poi mi sbatte in faccia la realtà e ritorna il freddo.
Carter non può darmi ciò che voglio, non può essere mio completamente, ma la domanda è: lo voglio davvero? Sono pronta a catapultarmi nel suo mondo?
Io non sono fatta per questo genere di cose. Io sono una ragazza posata, tranquilla, nella norma. Lui è il mio opposto, è fuoco, è istinto, è caos. Non potremmo mai combaciare, nemmeno in un'altra vita, neanche se ci provassimo con ogni forza.
E allora perché quando guardo Gabriel, non riesco a farmelo bastare? Perché non provo le stesse cose con lui?
Stringo il lenzuolo tra le mani, chiudendolo in pugni ferrei, mentre la disperazione cresce dentro di me. Poi un breve squillo attira la mia attenzione, avvertendomi dell'arrivo di un sms.

"Possiamo parlare, Pasticcio?"

Aggrotto la fronte. So che è lui, nessun altro si azzarderebbe a chiamarmi in questo modo, mi chiedo come abbia fatto ad avere il mio numero di telefono.

"Di cosa?"

Attendo la risposta, che non tarda ad arrivare, con il cuore in gola.

"Mi stavi pensando?"

Alzo gli occhi al soffitto. Odio questo suo modo di fare, cerca sempre delle certezze prima di azzardare qualsiasi passo falso.

"E tu?"

Sorrido alla notifica immediata.

"Non rispondere alle mie domande con altre domande, Pasticcio."

Me lo dice spesso. Lo fa anche lui, in realtà, ma quando mi comporto nella stessa maniera non riesce a sopportarlo. Perciò metto fine a questo giochetto, e confesso.

"Sì, ti stavo pensando."

Passa qualche minuto, le mie dita stringono forte il mio cellulare e gli occhi rimangono fissi sullo schermo. Ha già visualizzato.

"Buonanotte, Pasticcio."

Lancio lo smartphone contro il comodino e non rispondo.
Lo detesto, detesto il fatto che cerchi sempre di tirarmi fuori le parole che vuole sentirsi dire, nonostante lui continui comunque a trattenersi.
Ma la risposta ce l'ho. Anche lui mi stava pensando, altrimenti non mi avrebbe cercata.

La mattina successiva, un profumino di pancake inonda le mie narici. L'impasto è fresco, mio padre si è dato ai fornelli. Quando varco la soglia della cucina, con ancora la faccia impastata di sonno ed il pigiama stropicciato, lo trovo indaffarato.
Ha apparecchiato l'isolotto, con tanto di sciroppo d'acero, latte e succo di frutta. Sorrido nell'osservare questa scena, mi si riempie un po' il cuore. Forse, in fondo, c'è speranza.
«Buongiorno» dico.
Mi guarda. «'Giorno.»
«Come mai tutto questo buon umore?» domando, mentre mi accomodo su uno sgabello.
«Per farmi perdonare» confessa.
Gli sorrido. «Papà, va tutto bene.»
Allunga una mano sulla mia, poi la stringe. «No, tesoro, il fatto è che... questo pomeriggio devo partire.»
La delusione si dipinge di nuovo sulla mia faccia, cacciando via tutto il resto. «Di nuovo?»
Sospira. «Sono assente, hai ragione piccola, ma devo sbrigare una cosa e... ti prometto che ti spiego tutto quando rientro.»
Mi acciglio. «Qualcosa di grave?»
«No, beh, c'è qualcuno che ha bisogno di me» taglia corto.
Annuisco.
So che non serve dire altro, magari fargli presente che anche i suoi figli hanno bisogno del loro padre. Lo farei sentire in colpa e non voglio, non sono così egoista.
Quindi tengo i miei pensieri per me, li seppelliscono, così da evitare che possano fargli del male. Perché alcune cose non possono essere pronunciate a voce, certe volte bisogna farsi andare bene le cose così come sono.
«Vado a preparare la valigia» annuncia, poi mi stampa un bacio sulla fronte e si allontana verso la sua camera da letto.
Allontano con una mano il piatto di pancake, perché mi è passata la fame. Tanto, sono certa che ci penserà Jordan a spazzare via tutto in pochi bocconi.
Io ho già deciso: ho bisogno di correre e schiarire la mia mente.

GAME OVERTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang