Capitolo 43

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Stephanie




Niente riesce a farmi calmare.
Dopo le parole aspre che mio fratello mi ha gettato contro, poco dopo la partenza di nostro padre, sono rimasta rinchiusa in casa senza avere intenzione di vedere anima viva. Ho saltato perfino la scuola e il mio cellulare è rimasto spento, così da potermi isolare meglio.
Sostiene che papà si veda con una donna, a nostra insaputa. Dice di aver anche sbirciato all'interno del suo cellulare, per controllare le ultime telefonate ed i messaggi, fregandosene dell'importanza della privacy.
Io non ho reagito bene. Mi sembra soltanto un'altra grande stronzata messa in scena da mio fratello, per allontanarci ancora di più.
Papà non lo farebbe mai. Ciò vorrebbe dire metterci al terzo posto, piuttosto che al secondo dopo la sua band. E sinceramente non vedo motivo di tenerlo nascosto.
Se lui si rifacesse una vita, io ne sarei soltanto contenta.
Ma Jordan non la pensa così. E abbiamo litigato, tanto, più del solito. Dice che è uno sporco egoista, che dovrei smetterla di preoccuparmi per lui, che non merita niente. Io mi sono infuriata. Perché non è così, sarebbe ipocrita da dire. Ci fa mancare tante cose, è vero, ma il suo dovere da genitore l'ha sempre portato a termine, in un modo o nell'altro.
Sono ancora in pigiama, ho a malapena lavato la mia faccia, stesa sul letto, quando sento dei passi in corridoio che mi fanno gelare sul posto.
Non ho sentito il rumore della porta d'ingresso sbattere, ciò vuol dire che qualcuno è riuscito ad entrare da qualche altra parte.
Deglutisco e stringo le coperte contro il mio corpo, come da bambina, per nascondermi dai mostri sotto al letto. La porta della mia camera cigola lentamente ed io copro la mia faccia di scatto, mentre il cuore minaccia di esplodere.
Poi la sua risata.
Mi acciglio e scopro gli occhi. Vedo la figura di Carter, ferma sul ciglio, è piegato in due dal ridere ed io m'infurio. Gli lancio un cuscino contro.
«Ma che cavolo di problemi hai?» strillo.
Lui scuote la testa, mentre la sua mano è posizionata ancora contro il suo stomaco contratto. «Io? Se fosse stato un ladro, o che ne so, un serial killer, è così che pensavi di salvarti?»
Arriccio le labbra. «Ti sembra divertente? Da dove sei entrato?»
«Dalla finestra, ricordi, quella che ho forzato» spiega.
Strabuzzo gli occhi. «Non potevi suonare il campanello come le persone normali?»
«Io non sono normale» precisa, avvicinandosi a me.
«Beh, come darti torto» borbotto.
Sorride e si siede sul letto, al mio fianco. Mi guarda negli occhi e rimane in silenzio per qualche secondo, poi sospira. «Probabilmente mi avresti cacciato.»
Deglutisco. «Probabilmente.»
Ma è una bugia bella e buona, non gli avrei mai sbattuto la porta in faccia, seppur lo meriterebbe.
Si stringe nelle spalle. «Jordan mi ha detto che avete litigato.»
Ridacchio. «E sei venuto qui per quale motivo?»
«Per controllare che stessi bene» confessa in un soffio.
Incrocio le gambe, stile Buddha. «Sto bene.»
Annuisce. «Ne sei sicura? Hai saltato scuola, che ne è della ragazza modello?»
Roteo gli occhi. «Pensa per te.»
Allunga la mano sulla mia. «Se hai bisogno di parlare, io ci sono.»
Il mio cuore salta un battito per la sincerità che esprime il suo tono caldo e confortante. Ed ecco che riesco a scorgere il suo lato buono, di nuovo.
«Perché lo fai?» chiedo in un sussurro.
«Cosa?»
«Questo, ascoltare la gente, esserci.»
Scrolla le spalle. «Perché so cosa vuol dire non avere nessuno.»
La sua risposta mi spiazza, è talmente onesta da farmi attorcigliare le budella. All'interno di queste parole, si cela una sofferenza che non posso comprendere. Non fino in fondo. O forse sì, perché anche io sono sempre stata da sola.
«Sei buono, Carter, perché fingi di essere il lupo cattivo della storia?»
Sorride debolmente. «Perché è meglio così. Fa comodo, la gente non ha aspettative.»
«Io sì» dico di getto.
Mi trafigge con il suo sguardo profondo. «Ed è proprio questo il problema» si alza, il viso soppresso da una freddezza improvvisa. «Ho sbagliato a venire qui, ci vediamo in giro.»
Lo imito e afferro il suo polso, circondandolo con le mie dita sottili. «Quando la smetterai di scappare da me?»
Tiene gli occhi bassi. «Finché sarà necessario.»
Non riesco a decifrarlo, è una cassaforte di ultima generazione, qualcosa che mi intriga, che vorrei scoprire in ogni sua dannata sfumatura. Ma non me lo permette, non mi concede di andare fino in fondo.
Ci vuole pazienza, ha detto Danny. Ma non sono sicura di averne a sufficienza. È troppo.
«Ho visto cose brutte, Carter. Eppure non mi hanno fermata. Quindi perché non la smetti? Perché vuoi a tutti i costi perdermi?»
Lui si libera dalla mia presa e mi afferra il volto tra le sue mani calde. Il contatto mi fa bruciare l'anima.
«Non posso perderti, se non ti ho mai avuta, Pasticcio» sussurra.
E da un lato ha senso, certo, un po' contorto, ma lo ha. Dall'altro, invece, vorrei obbiettare e dirgli che non funziona esattamente così. Che può perdermi comunque, perché non posso rimanere ferma in questo stato di intermezzo, ad aspettare in eterno qualcosa che non arriverà mai. Specialmente se ho già qualcuno che mi vuole e che mi sta aspettando, completamente, al contrario suo.
Mi stampa un bacio sulla fronte, delicato. «È meglio che vada adesso.»
E lo fa. Io non lo fermo.
Perché adesso sono più confusa di prima, e non sono sicura di poter reggere ancora a lungo. Ho bisogno di sfogarmi con qualcuno, prima di esplodere del tutto.
Tra il senso di colpa e il profondo desiderio che provo per lui, rischio di impazzire. Manca davvero poco prima che questo accada.
Ma con chi posso parlare, se non con la persona che lo conosce meglio di chiunque altro?
Guardo il mio riflesso allo specchio e prendo una decisione, forse troppo affrettata, ma non importa.
Devo parlare con Danny.

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