Capitolo 29

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Stephanie





Quando arriviamo a destinazione, Adeline mi rimane accanto, finché gli occhi rossi di Kevin non appaiono davanti la porta d'ingresso, dopo aver bussato.
Fa passare lo sguardo su di noi un paio di volte con aria interrogativa, poi si fa da parte. Io gli passo accanto, senza azzardare una sola parola, la mora non fa lo stesso.
Rimane sul ciglio, battendo le palpebre ripetutamente, ciò mi costringe a chiedere: «Non entri?»
Lei scuote la testa in negazione. «Ci vediamo» mormora rapidamente, poi mi sorride.
I miei occhi rimangono fissi sulla sua figura che si allontana, interrotta da Kevin che sbatte la porta, provocando un tonfo e ricordandomi il motivo per la quale sono qui.
«Dov'è Jordan?» chiedo, seria.
Il rosso scrolla le spalle, non sembra avere intenzione di comunicare, perciò mi addentro nella villa, sperando di abbattermi in mio fratello. Ci sono già stata, sì, ma soltanto una volta e non conosco di certo questi corridoi a memoria.
A stento ricordo dove si trova il bagno.
Dei gemiti arrivano alle mie orecchie, una smorfia di disgusto si dipinge sul mio viso, ma nonostante ciò non posso fare a meno di sbirciare oltre la porta socchiusa. Le spalle minute di Vanessa ricoprono il mio campo visivo, il suo corpo è a cavalcioni su qualcuno, e quel qualcuno è proprio... Jordan?
Indietreggio, schifata. Mille domande si insinuano nella mia testa, confondendomi. Perché, se non ricordo male, non è quasi la fidanzata di Carter? Anche se la loro è una relazione aperta, posso credere gli vada bene che se la scopi un suo amico?
Mi volto di scatto, per scendere al piano inferiore ed aspettare che quel maiale di mio fratello finisca ciò che ha cominciato, dato che mi imbarazzerebbe troppo interromperli. Ma vado a sbattere contro una roccia.
Il petto di Carter è davanti a me, in tutta la sua straordinaria imponenza. I suoi occhi mi guardano dall'alto, maledettamente seri, ma non meno meravigliosi delle altre volte.
«Oh, ehm... scusa, io, sono qui perché... devo parlare con Jordan» balbetto.
Carter annuisce. «È impegnato, come hai visto.»
La mie guance avvampano. «Non ho...»
«Ti piace guardare, ragazzina?» mi provoca, avvicinandosi spaventosamente.
Deglutisco, tentando di regolarizzare il mio battito già accelerato. La mia gola è secca quanto il deserto del Sahara.
Non riesco a ribattere, sembro una cretina, una perfetta deficiente che non riesce neanche a sostenere il suo sguardo, perché invaso dai flashback di noi due, appiccicati, contro quel maledetto lavandino.
Svincolo dalle sue braccia che mi hanno incatenato al muro, con l'intenzione di allontanarmi, il più rapidamente possibile.
Ma la sua mano afferra il mio polso, trattenendomi con prepotenza. Stiamo giocando a tiro alla fune, ma lui sta vincendo, perché basta un piccolo slancio e mi ritrovo di nuovo ad un centimetro dal suo naso.
«Non sarebbe successo niente tra di noi» precisa, soffiando sulle mie labbra.
Sospiro. Non è vero, so che non lo è, non sono pazza, non invento storie che non esistono, ma se lui preferisce ricordarla così e fingere, per me va benissimo.
Facilita le cose ad entrambi.
«Certamente» mormoro.
Un mezzo sorriso solleva la sua bocca. «Bene.»
«Bene.»

Dopo venti minuti di attesa sul divano, in compagnia dei tre ragazzi che mi osservano con insistenza e fumano in silenzio, finalmente Jordan fa il suo trionfale ingresso nel salotto.
Mi lancia un'occhiataccia. «Incredibile, non potevi aspettare e basta?»
«No, dato che si muore dal freddo, se mi permetti» ribatto aspra.
Mi lancia le chiavi, che atterrano sui miei palmi pronti per afferrarle. I miei occhi vogliono trucidarlo, ma lui mi mostra la linguaccia, per poi concentrarsi sulla ragazza che sbuca da dietro le sue spalle, ancora mezza nuda.
Ci guardiamo torve, entrambe. Non mi piace Vanessa, proprio per niente, ma non mi riguarda ciò che fa, in ogni caso.
Sto per congedarmi, quando a mio fratello viene la malsana idea di chiedere a Carter: «Le dai un passaggio tu?»
Mi va la saliva di traverso e con voce troppo stridula esclamo: «No!»
Carter scrolla le spalle con nonchalance. «Per me va bene.»
Serro le labbra. Ma perché? Non può rifiutare e basta? Vuole torturarmi ancora?
«Sì, amico, grazie» continua Jordan, fregandosene del mio volere.
Carter afferra le chiavi della sua Jeep e spalanca la porta, invitandomi a passare per prima, con un gesto della mano, come farebbe un galantuomo che, per inciso, non è affatto.
Indispettita, gli do retta. Quando il bottone del telecomandino scatta, apro lo sportello e lo richiudo con troppa forza dopo essermi accomodata sul sedile.
«Non ti piacerebbe essere sbattuta con la stessa violenza, quindi pensaci due volte la prossima volta» ribatte, dopo aver afferrato il volante.
Gli lancio un'occhiataccia. «Maiale.»
«Finta tonta» gracchia.
Quando svoltiamo l'angolo, non emette più una sola parola e rimane concentrato sulla strada. I suoi muscoli sono tesi, la sua mascella squadrata e virile si contrae ad intermittenza, la sua espressione sempre accigliata e incazzata con il mondo.
«Non fissare» sibila, poi frena di botto, fermandosi davanti al vialetto di casa mia.
Non mi sono neanche resa conto di averlo guardato per tutto il tempo, e ovviamente questo gli ha permesso di beccarmi in flagrante.
«Grazie, ciao» dico soltanto in un fiato, poi scappo via, azione che sta diventando la mia specialità, oserei dire.
Ma, quando infilo le chiavi nella serratura, non ottengo nessun risultato. Ci sono le altre, dall'interno, a bloccare il completo passaggio.
Mi abbandono ad un urlo frustrato, poi torno indietro e chiedo il suo aiuto, controvoglia, bussando contro il finestrino.
«Vuoi invitarmi ad entrare?» sogghigna, divertito, aprendo la portiera.
«No, idiota. Non riesco ad entrare, devi forzare qualche entrata secondaria» spiego.
Lui alza gli occhi al cielo, ma non si rifiuta. Gira intorno al perimetro della casa, adocchia una vecchia finestra e, dopo aver recuperato un palanchino dal cofano della sua auto, si aiuta con quello per aprirla.
Vorrei chiedergli perché si porta dietro un pezzo di ferro, ma preferisco mordermi la lingua e tenere la mia curiosità a freno. Sono certa che non mi piacerebbe nemmeno, la risposta.
Mi lancia un'occhiata prima di spingersi dentro con un salto, nel buio, passano due minuti e la porta d'ingresso si spalanca. Emetto un sospiro di sollievo.
«Prego, ragazzina» mi prende in giro.
Forzo un sorriso gentile. «Grazie.»
Ma lui non se ne va, rimane immobile, davanti a me. E succede tutto nel giro di un attimo.
Mi afferra per i fianchi, incolla il suo corpo al mio, soffia sulle mie labbra già socchiuse e pronte per accogliere le sue. Perché lo sento, il desiderio che mi offusca la mente, mi trasporta in un'altra dimensione, dove lui potrebbe essere giusto per me.
So che lo voglio, e dal suo sguardo deduco che lui provi le mie stesse sensazioni. Siamo così, stretti, vicini, scossi. Ma non abbastanza da andare avanti, non in tempo, prima che il mio cellulare squilli.
La magia sfuma via, si interrompe, come se non fosse mai esistita, come se fosse stata solo frutto della nostra fervida immaginazione.
Guardo il display. È Keira, e mi ha salvata.
Di nuovo.

GAME OVERWhere stories live. Discover now