Capitolo 6

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Danny






«Questo invece è il nostro avvertimento.»
Tutto avviene maledettamente a rallentatore, un lasso di tempo che pare infinito. Rimango immobile ad osservare il corpo di Ruttel che rotola sul terriccio, mentre una chiazza di sangue si allarga all'altezza del suo fianco e alcuni versi gutturali fuoriescono dalla sua bocca.
«Che cazzo hai combinato?» ringhia Carter in preda al panico, afferrando Kevin per il colletto della camicia hawaiana che indossa.
«Non... non lo so, io...» balbetta quest'ultimo, lasciando ricadere la pistola a terra.
«Questi ci fanno secchi! Ti ha dato di volta il cervello?» tuono, con il fiato affannato che sembra tagliare in due i miei polmoni.
Kevin afferra la sua testa con entrambe le mani. «Cazzo... sono così stanco di tutto questo!»
Jordan è ancora immobile, con gli occhi fissi sulla chiazza di sangue, ma è l'unico a cui il cervello sembra ancora funzionare. «Chiama l'ambulanza, intanto, non credo che qualcuno di noi voglia finire indagato per omicidio. Per ora andiamocene, penseremo al resto più tardi.»
Facciamo come dice, sembra la cosa più giusta da fare. Ma la paura non molla mai la presa sul mio corpo, nemmeno per un istante.
Kevin è sconvolto dalla sua stessa azione, ma è talmente fatto e continuamente sotto pressione da non riuscire più a reggere.
Ne abbiamo combinate tante di cazzate per aiutare Carter, lo abbiamo fatto perché teniamo a lui più di ogni altra cosa, perché siamo una famiglia. Ma adesso... la situazione sta diventando ingestibile, più grande di noi.
Cinquecentomila dollari sono tanti e tutto quello che facciamo non basta mai per soddisfare Shein Ortiz, lo so. Ci vogliono tenere in pugno. Non è neanche più una questione di rimborso.
Mentre corriamo verso l'auto, avverto un singhiozzo e mi gelo sul posto. I ragazzi vanno avanti senza di me e, quando mi volto, trovo la ragazzina accovacciata contro le sue stesse ginocchia.
La raggiungo in un paio di falcate. «E tu che cazzo ci fai qua fuori?»
Lei alza gli occhi su di me, sono stracolmi di lacrime e le sue mani tremolano. «Cosa... cosa avete fatto?»
Merda. Deve aver visto tutto. Questa proprio non ci voleva.
Afferro il suo braccio con poca delicatezza, perché non possiamo permetterci di farci trovare qui.
Lei si tira su con molte difficoltà, è terrorizzata a morte. La trascino con forza fino alla macchina, suo fratello cerca di stringerla in un abbraccio ma lei lo rifiuta con diffidenza. Si siede e rimane in silenzio, completamente sotto shock.
«Parlerà?» chiedo a Jordan a bassa voce.
Carter tende le orecchie in attesa di parole confortanti, ma la risposta arriva direttamente dalla voce femminile.
«Non voglio vedere marcire mio fratello in galera, quindi voi delinquenti potete dormire sogni tranquilli! Ora portateci subito a casa e state lontani da noi!» sbotta.
Il resto del tragitto si svolge in silenzio.

Carter decide di dormire da me, data la mancanza continua dei miei genitori. E poi casa sua è un incubo, rientra giusto il tempo di controllare se quello stronzo di suo padre respiri ancora.
A volte, anche se è cattivo da parte mia pensare una cosa del genere, vorrei che smettesse di farlo. Vorrei che se ne andasse per sempre e che lasciasse vivere suo figlio come dovrebbe. Come un qualsiasi adolescente.
«Siamo nella merda, lo sai?» dice, mentre lecca la cartina dell'ennesima canna.
Annuisco. «Possiamo affrontare anche questo, nella merda ci stiamo sempre, no?»
Lascia sfuggire una risata amara. «Mi dispiace di avervi trascinato in questo casino.»
Raramente lo confessa, ma so che è così. So che si sente dannatamente in colpa, ogni giorno della sua esistenza.
«Non ci hai mai costretti a fare niente, Car» preciso.
Lui aspira la prima boccata di fumo, seduto sul terrazzo con le gambe a penzoloni nel vuoto. «Tu ti getteresti nel fuoco per me, lo so. Lo farei anch'io. Ma Kevin? Fin quando credi che resisterà? Guarda che casino ha combinato oggi...»
Scrollo le spalle. «Ti vuole bene anche lui, è stata solo una cazzata.»
«Verranno a cercarci, ad uno ad uno, per questa cazzata» mi fa notare, come se non lo sapessi.
Afferro la canna che mi passa, perché ho bisogno di calmarmi anche io.
«Il massimo che possono fare è riempirci di botte. Se avessero voluto ammazzarci tutti, l'avrebbero già fatto da un pezzo, specie con Steve» dico sinceramente.
Al nome di suo padre, Carter drizza le spalle. È un argomento che non ama aprire, perciò non aggiungo altro e lascio che il silenzio ci circondi.

Al mattino successivo non lo trovo più steso sul divano della mia camera. Probabilmente è tornato a casa per concedersi una doccia veloce e per portare qualcosa da mangiare a quello stronzo del suo donatore di sperma.
Quando arrivo davanti al cancello della scuola, in compagnia di Kevin, lo trovo già seduto sulle solite gradinate di cemento in compagnia di Jordan.
«Che avete da parlare voi due?» chiede curioso il rossiccio, accendendosi una sigaretta.
«Shein ha mandato una lettera d'avvertimento a casa di Jordan, questa mattina» risponde vago Carter, mentre tortura con la scarpa un sassolino.
«È stato più veloce del solito» commenta Kevin, tentando di mascherare la preoccupazione.
Mi acciglio. «Che tipo di avvertimento?»
Carter punta lo sguardo sulla ragazzina di ieri, che passeggia attorno a noi come un attento falco, lanciandoci occhiate omicide. Leggo qualcosa di diverso nello sguardo di Carter, qualcosa che mi spinge a capire.
«Minaccia di farle del male?» domando, per avere conferma.
«Ha minacciato tutta la mia famiglia in generale» precisa Jordan.
«Perché? Cosa vuole?» chiedo ancora, senza riuscire a collegare del tutto i fili del discorso.
Non hanno visto la ragazzina, e non conoscono Jordan. Capisco che le conoscenze di Shein siano piuttosto ampliate, che riesca a scovare chiunque senza lasciargli scampo, ma credevo che si sarebbe vendicato in modo diverso, non prendendo di mira l'ultimo arrivato.
«Vuole che gli consegnamo Kevin» ribatte Carter, puntando i suoi occhi roventi proprio su quest'ultimo.
Kevin sbarra gli occhi e indica se stesso con il pollice, incredulo. «State... state dicendo sul serio?»
Jordan fissa il pavimento, io faccio passare lo sguardo tra tutti e tre. Perché adesso ha senso. Kevin ha sparato a suo fratello, vuole riservargli lo stesso trattamento.
«Non abbiamo intenzione di lanciarti nella gabbia del leone, perciò torna a respirare per cortesia» precisa Carter bruscamente, infastidito al pensiero che uno dei suoi migliori amici abbia pensato male, anche per un solo secondo, di lui.
Questa è la cosa che più odia al mondo. Vuole che ci fidiamo di lui, in modo completo. E in realtà non abbiamo motivi per non farlo, fin'ora si è sempre sacrificato lui per noi. Sempre.
E ho la netta sensazione che questa volta la storia non sia diversa.
«Non andrai al magazzino, Carter» preciso, rabbrividendo alla sola idea.
Ricordo ancora l'ultima volta che l'abbiamo lasciato da solo, sotto sua richiesta, come l'hanno ridotto. Era un ammasso di sangue, il suo volto era totalmente tumefatto, le sue costole fratturate.
Scuoto la testa e aggiungo: «Non te lo lasceremo fare, non da solo.»
Lui si alza di scatto e avvicina il suo viso al mio. I suoi occhi sono rabbiosi, odia essere contraddetto. Dice che siamo una squadra, ma che in questi casi spetta a lui prendere le decisioni.
«Si fa come dico io, Danny. Che ti piaccia oppure no» ringhia.

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