Capitolo 7

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Stephanie






Non ho chiuso occhio, non serve nemmeno spiegare il motivo. L'immagine di quell'uomo possente, rotolato sul terriccio e ricoperto di sangue, mi ha tormentato per l'intera notte, tutte le volte che ho azzardato a chiudere gli occhi.
Non riesco a capacitarmi di ciò che purtroppo è la realtà. Ancora peggio, non riesco a credere che mio fratello si sia lasciato coinvolgere in questi affari loschi. Per persone che, tra l'altro, nemmeno conosce.
Dopo tutto ciò che abbiamo passato, dopo la scomparsa di mamma e l'orrore che ho quasi provato sulla mia pelle quella notte di un anno fa, come può rischiare di metterci tutti di nuovo in pericolo?
Io l'ho perdonato, so di averlo fatto e non me ne pento, ma le sue azioni mi fanno ricredere sui suoi buoni propositi. Come un deja-vù, si ripete tutto all'infinito.
Per questo motivo al mattino successivo sembro uno zombie, le mie occhiaie sono scavate e la mia mente ancora annebbiata. Eppure non mi sfuggono le occhiate che mi lancia Carter Baysen, mentre parlotta a bassa voce con gli altri di qualcosa che però non riesco a sentire.
Tra questi, ovviamente, c'è anche mio fratello. Il suo viso è una maschera in tensione, qualcosa lo preoccupa e ho tutte le intenzioni di indagare più a fondo. Voglio delle risposte e le voglio adesso.
Dopo aver superato le prime tre ore di lezioni, mi dirigo verso gli spogliatoi maschili, dove il capo branco si trova per l'ora di educazione fisica.
Ignoro le occhiate interrogative e maliziose che molti studenti mi lanciano e mi precipito all'interno, nonostante sia proibito.
Quando i miei occhi puntano la sua figura, lo raggiungo e busso sulla sua spalla con la sola forza di un dito.
Si volta e il suo ghigno fastidioso mi fa venire voglia di prenderlo a sberle. Il suo fisico asciutto ma allenato, poi, messo in mostra dal solo asciugamano legato in vita, rende la concentrazione difficile. È perfetto, questo non si può negare, ma il mio odio è direttamente proporzionale.
«Devo parlarti e devo farlo adesso, quindi fai uscire tutti fuori da qui» ordino, fingendo una sicurezza che solitamente non mi appartiene.
Solleva un sopracciglio. «Ragazzina, non ti facevo un tipo così impaziente...»
Mi prende in giro, ma io non vacillo e incrocio le braccia al petto in attesa che compia la sua mossa.
Stranamente, obbedisce e nel giro di pochi minuti rimaniamo da soli. Sento l'aria caricarsi di tensione, ma cerco di rimanere concentrata sul punto cruciale della mia presenza lì.
«Non ho tutto il giorno» dice con la solita aria da sbruffone.
Allora prendo un grande respiro. «Voglio sapere in cosa hai coinvolto mio fratello» dichiaro senza troppi giri di parole.
Scrolla le spalle con aria diffidente. «Non sono cazzi tuoi.»
Questa risposta basta per accendere tutti i miei nervi, sento la rabbia ribollire dentro e mi trattengo con tutte le forze per evitare di urlare, ma non ci riesco.
«È mio fratello, sì, sono cazzi miei!»
Lui inchioda i suoi occhi magnetici ai miei, rischiando di farli implodere a causa della forte pressione esercitata. Si avvicina di un paio di passi, e bastano per raggiungermi, per ritrovarmi a pochi centimetri di distanza dal corpo che Madre Natura ha deciso di donargli per torturare gli altri comuni mortali.
«Io non ho coinvolto nessuno, lui ha insistito per venire. E resta il fatto che non sono cazzi tuoi, ma miei. Quindi non immischiarti, ragazzina.»
Cerco di spintonarlo, ovviamente senza ottenere alcun risultato. Rimane saldo sul posto, come fosse stato inchiodato.
«Devi tenerlo lontano dai guai, hai capito? Lui è un bravo ragazzo, non è come voi...»
Non faccio in tempo a concludere la frase, che le sue dita mi afferrano il mento. Il contatto mi fa mancare il respiro.
«Noi cosa?» ringhia.
Sostengo il suo sguardo, nonostante stia bruciando. «Voi criminali!»
Sorride, anche se non capisco cosa ci trovi di divertente in tutto questo. Anzi, dovrebbe preoccuparsi del motivo per la quale gli venga affibbiato tale dispregiativo e cercare di recuperare quel che rimane.
«Ah, la santarellina ha espresso il suo giudizio, è così?» sibila ad un centimetro dalle mie labbra, tanto da poter sentire il suo alito di menta e tabacco. «Peccato che non me ne frega un cazzo di ciò che pensi di me.»
Mi allontano, indietreggiando bruscamente, con l'intenzione di riacquistare il mio sacro spazio vitale.
«Che stronzo.»
Mi da le spalle. «Mi hanno detto di peggio.»
Stringo gli occhi in due fessure, vorrei possedere il potere di incenerire con la sola forza del pensiero.
«Non pensare che io mi arrendi tanto facilmente, scoprirò cosa nascondete!»
Lui, improvvisamente, lascia ricadere l'asciugamano bianco sul pavimento, mostrandomi il suo sedere perfettamente rotondo.
Rimango a bocca aperta e mi tappo subito gli occhi con le mani. «Che cosa fai? Ma sei impazzito?!» strillo indignata.
«Potrebbe entrare il professore, sarebbe scomodo per te farti beccare qui con me. Quindi ti consiglio di andartene, a meno che...»
Non me lo faccio ripetere due volte, perché non ho intenzione di finire dalla preside per colpa sua. Non in questo modo, poi! Cosa potrebbe pensare la gente di me?
Così esco dallo spogliatoio e, prima di lasciare la palestra, la sua risata malvagia mi svuota lo stomaco.
È ufficiale. Ti odio, Carter Baysen.

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