Capitolo 58

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Carter




Non sono abituato ad organizzare uscite romantiche, non so nemmeno se ne sono capace, ma Danny ha ragione. Devo dimostrarle che per me conta soltanto lei, nient'altro.
Per questo motivo decido di portarla in un posto che per me è speciale. Al lago Washington.
Ricordo quando mia madre mi ci portava, da bambino. Diceva che guardarlo le trasmetteva un senso di pace, e che lì avrebbe potuto dipingere qualsiasi cosa, che il contatto con la natura la faceva sentire viva.
Non ci ho messo più piede, dopo il suo ricovero. È troppo dura accettare che quei tempi sono passati e che, probabilmente, non torneranno più.
Ma con Stephanie al mio fianco, sono convinto di poter dare a questo posto meraviglioso un nuovo significato. Qualcosa di altrettanto speciale.
Dopo aver superato il piccolo boschetto, una volta arrivati vicino alla riva, i suoi grandi occhi dolci si illuminano. Sono la cosa più bella che ho visto, dopo la sorprendente distesa d'acqua cristallina.
«Wow» mormora. «È bellissimo qui.»
Sorrido e mi accomodo sull'erba curata, poi la invito a sedersi sulle mie gambe. Lei non se lo fa ripetere due volte.
Poggio il mento nell'incavatura tra la sua spalla e il suo collo e inalo il suo profumo, qualcosa di dolce, di unico, che sa di casa. Lei rabbrividisce.
«Hai freddo?» le chiedo, notando il venticello fresco che ci scuote.
Scuote la testa. «No, sei solo tu. Siamo noi.»
La abbraccio più forte, posizionando le mani contro il suo ventre piatto. Le sue dita sfiorano le mie.
«Sai, non venivo qui da un secolo» dico, sorprendendo perfino me stesso.
Non è da me raccontare qualcosa della mia infanzia, perché racchiude soltanto un'infinità di momenti tristi. Ma con lei, sento che posso farlo, posso aprirmi.
«Mia madre amava questo posto, un tempo, ed io anche» continuo.
Sento il suo respiro regolare e questo riesce ad infondermi una serenità che non credevo di poter più provare.
«Amava?» chiede, timidamente.
So che non vuole forzare troppo la mano e le sono grato per questo. Ma ormai ho imparato a conoscerla e so che non riesce mai a tenere a freno la sua immensa curiosità. Forse è il principale motivo per la quale l'ho notata subito.
«Sì, credo lo ami ancora, da qualche parte nel profondo, ma ormai riesce a ricordarsi a stento il mio nome. È come se avesse rimosso tutto, dalla sua testa» spiego. «Soffre di un grave disturbo della personalità, ma con tutti gli psicofarmaci che le danno in clinica, peggiora di giorno in giorno.»
Stephanie si volta verso di me. Ho paura di vedere ciò che si cela all'interno dei suoi occhi, ma quando azzardo non me ne pento. Nessuna pena, solo un'infinita tristezza, mista ad una comprensione che mi terrorizza.
«Anch'io ho perso mia madre, a causa della leucemia. Sono cose diverse, ma credo che il dolore sia lo stesso» dice.
Annuisco. Lo sapevo già, Jordan me ne ha parlato, ma sentire il suo dolore mi fa un altro effetto. Perché vorrei poterle dare tutto quello che le manca, renderla completa. Purtroppo non sempre è possibile.
Quando ti manca un oggetto, puoi sempre comprarlo. Ma quando ti manca una persona, come fai a riportarla indietro?
«Già, è uno schifo» dico.
Lei cambia posizione, adesso il suo petto sfiora il mio e le nostre gambe sono incrociate. Avvolge le sue braccia attorno al mio collo.
«E tuo padre?» mi chiede.
Mi manca il fiato, ma so che non posso sviare il discorso, come mio solito. Non sarebbe giusto, specialmente dopo che mi ha chiesto di essere sincero con lei.
«Non c'è molto da dire su di lui, e quel poco non è bello» rispondo.
«Vivi con lui?» domanda ancora.
Deglutisco. «Sì, ma in pratica vivo da solo. Lui è sempre ubriaco. Torno solo per assicurarmi che sia ancora vivo.»
Aggrotta la fronte. «Oh.»
«Già» ridacchio, per smorzare la tensione. «La mia vita è una merda, vero?»
Scuote la testa e inizia a giocherellare con i ricci dei miei capelli. Mi strappa un sorriso, quando si complimenta della morbidezza. Ride anche lei.
«Lavori ancora per quelle persone?» mi chiede, ritornando seria.
Sospiro. «Devo.»
«Perché? Per mantenerti?»
«No.»
«E allora per quale motivo?»
Sollevo il capo e punto lo sguardo verso il cielo, azzurro e privo di nuvole. Poi prendo un respiro profondo.
«Lascia perdere, per favore» la supplico.
Il suo palmo spinge la mia nuca verso di lei. «Ho bisogno di capire.»
Deglutisco. «Non ti piacerebbe sentire questa storia.»
«Ma se fa parte di te, allora voglio saperla lo stesso» dice.
Chiudo gli occhi per qualche istante e mi dico che posso farcela, prima di riaprirli. «Minacciano mio padre, sono persone pericolose a cui deve un mucchio di soldi, ed io lo riscatto in questa maniera. Lavorando per loro.»
La sua espressione si fa seria. «Pensi che potrebbero fargli del male?»
«Non penso, lo so per certo. C'è un astio troppo antico che li lega, perché... anni fa, mia madre ha tradito mio padre con uno di loro.»
Spalanca gli occhi e un ricordo li trapassa, qualcosa che ancora la tormenta. «Con l'uomo che ho visto quella notte, nel bosco?»
«No, è il fratello.»
«Quindi quello che comanda, in pratica. Shown?» cerca di mettere i pezzi del puzzle al proprio posto.
«Shein» preciso.
Afferra il mio viso, posso chiaramente vedere la preoccupazione che la divora. «Devi chiedere aiuto, Carter. Non puoi continuare così.»
Sorrido. «Ho tutto sotto controllo.»
Ed è una bugia bella e buona. So che non è vero, che questa cosa mi sta già sfuggendo di mano e che presto dovrò arrendermi. Ma non è necessario che lei lo sappia, non voglio metterle un peso così grande sulle spalle. Basto io, per reggere tutto.
«Promettimi che farai attenzione, non voglio che ti accada qualcosa» mi supplica.
Le stampo un bacio veloce su quelle meravigliose labbra morbide. «Niente potrà portarmi via da te, te lo giuro.»
Rimane in silenzio, non aggiunge altro. Mi guarda soltanto in quel modo, così innocente ma ricco di desiderio, che mi fa perdere il controllo. Non posso resisterle.
Così azzardo una mossa. Le mie dita si infilano sotto le bretelle del suo vestito, facendole scivolare giù, lungo le braccia. Lei non mi ferma.
«E se ci vede qualcuno?» chiede, in un sussurro imbarazzato.
Scuoto la testa. «Ti fidi di me?»
«Sì» risponde, arrossendo.
E mi basta questo, per andare avanti. Così, lentamente e godendomi la visione di ogni centimetro della sua pelle, la libero del vestito. Quando rimane in intimo, pronta per concedersi a me, mi manca il fiato. Ho frequentato tante donne, ma nessuna può reggere il paragone. Lei è semplicemente perfetta.
«Se vuoi fermarti, va bene. Possiamo aspettare» le dico. E lo penso davvero.
Scuote la testa. «Lo voglio.»
Poi le sue mani si fermano sulla zip dei miei pantaloni, indugiano qualche istante prima di tirarla giù. Tremo di eccitazione.
Le nostre labbra si cercano, si incollano, e tutto svanisce. Ogni cosa viene naturale. E prima di rendercene conto, lei è già sotto di me, ed il mio membro spinge verso la sua fessura.
È così stretta che potrei venire in questo istante, ma resisto, perché lei si aggrappa alle mie spalle con tutta la sua forza e mi prega: «Lo voglio, Carter, non fermarti.»
Perciò la accontento e, quando entro dentro di lei, mi godo ogni fottuto secondo. Mi sembra di toccare il paradiso con un dito e per la prima volta.
I suoi occhi si stringono ed il suo naso si arriccia, perciò le chiedo: «Ti fa male?»
«Sto bene» mi sorride.
Ma faccio comunque piano. Perché voglio che per lei sia tutto perfetto, che questo ricordo non svanisca mai, che non se ne penta. Voglio che sia una cosa bella, la più bella di tante altre che verranno.
«Ti amo, Carter Baysen» dice, quando affondo per l'ennesima volta dentro di lei.
Sfioro il suo collo con le mie labbra. «Ti amo anch'io, all'infinito.»

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