Capitolo 19

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Stephanie





Ho rifiutato il passaggio in macchina offerto da quel troglodita di Carter, e quando arrivo davanti al cancello imponente della Roosevelt sono esausta.
Ma il problema non è soltanto questo. Non so proprio come comportarmi con Gabriel, dopo ieri sera. E vederlo lì, a sinistra dell'entrata, con il solito atteggiamento di sempre, mentre chiacchiera con Noah, mi rende nervosa.
Cosa siamo adesso? Fidanzati? Amici come prima?
Quindi opto per l'opzione che mi sembra più plausibile, spero di diventare invisibile e mi incammino a testa bassa. Proprio come da bambina, se non li vedo, non possono vedermi, giusto?
Peccato che non funzioni così, e lo scopro perché Gabriel pronuncia il mio nome e costringe le mie scarpe ad inchiodarsi al suolo.
«Vuoi evitarmi?» chiede, ma continua a sorridere in quel modo maledettamente perfetto.
Sento le guance prendere fuoco. «Come? No, io, non ti avevo visto, scusa...» farfuglio rapida.
E si beve la mia bugia, perché, incurante del fatto che ci troviamo nel bel mezzo dell'entrata, dove chiunque può vederci, cinge i miei fianchi con le sue braccia e mi stampa un bacio a stampo, sulle labbra.
Ecco la tua risposta, Stephanie.
Noah è l'unico che sembra indifferente a questo gesto, perché naturalmente, come titolo di migliore amico, conosce già i fatti accaduti tra di noi.
Perfino Adeline, che sbuca dal nulla, ha un'espressione totalmente persa. Lancia un'occhiata a Noah, che le risponde con una scrollata di spalle, poi torna a concentrarsi su di me.
«Bene, essere la ragazza del mio amico non ti rende immune, è giusto che tu lo sappia» dichiara, con il solito timbro acido.
Alzo gli occhi al cielo. «Non ho mai pensato il contrario.»
Gabriel decide di porre fine a quest'assurda situazione, circonda le mie spalle con il suo braccio e mi invita a seguirlo, nel corridoio centrale.
Passo dopo passo, sento gli occhi degli studenti bruciare contro la mia schiena. Stanno indagando, focalizzando e studiando ogni nostra mossa. Sembrano delle tigri pronti a sbranare qualsiasi pettegolezzo.
Ma quando ci fermiamo al mio armadietto, in modo che possa recuperare il mio libro di chimica, degli smeraldi attirano la mia attenzione. Carter.
Mi fissa insistentemente, poggiato contro un armadietto, con la solita aria da arrogante e le braccia incrociate al petto. I suoi occhi sono indecifrabili, ma riesco a leggere un pizzico di delusione al loro interno.
Fortunatamente ci pensa Tiffany Cooper a distoglierli da me, facendo ricadere l'interesse su di sé.
«Ho francese, ci vediamo dopo, a pranzo?» chiede Gabriel, dolce.
Annuisco distrattamente e ci dividiamo.

Dopo due lunghe ore di chimica, dove il professore ci costringe a guardare un filmato sulla lavagna multimediale e ci informa della verifica a cui ci sottoporrà la prossima settimana, finalmente esco dall'aula.
Mi cimento alla ricerca di Keira, visto che abbiamo il corso di arte in comune, che ci fornisce dei crediti extra, ma Carter mi raggiunge per primo.
«Ragazzina, sei diventata anche sorda?» sbotta, dopo averlo ignorato per tre minuti buoni.
Serro le palpebre e prendo un respiro profondo, prima di affrontarlo. Mi volto e lo guardo. «Cosa vuoi?»
Un ghigno solleva le sue labbra perfette. «Niente, ma Jordan non sarà contento.»
Sollevo un sopracciglio e decido di sfidarlo. «Usi mio fratello, ma il tuo problema è un altro. Dimmi, è la prima volta che qualcuno non ti dà retta o non esegue i tuoi ordini?»
Il volto di Carter si trasforma, diventa una maschera cupa e fredda, il suo sguardo si assottiglia. Mi si avvicina, costringendomi ad indietreggiare, fino a finire contro la porta chiusa del laboratorio di scienze. Le sue braccia mi bloccano ai lati e nessuno corre in mio soccorso, perché la campanella è già suonata e il corridoio è desolato.
«Credi che me ne fotta qualcosa di te, ragazzina? No, perché, se vuoi, ti rinfresco la memoria» ringhia.
Non mi arrendo e continuo a giocare, anche se vorrei evitare di scottarmi con il fuoco dell'inferno.
«Mi hai addirittura seguita, per cosa? Per dirmi che a mio fratello non farà piacere e poi nasconderti dietro la tua solita aria da duro?»
Sorride malefico. «Ti ha già scopata?»
Lo guardo in cagnesco. «Non cambiare discorso, Baysen. Dimmi cosa vuoi.»
Avvicina le sue labbra al mio orecchio, solleticando i lobi sensibili con il suo fiato di menta e tabacco. «Quando ti toccherà, noi toccheremo lui, ma non sarà piacevole allo stesso modo.»
Cerco di spintonarlo, ma non ottengo i risultati sperati, perché mi ritrovo incollata contro il suo torace scolpito. Una strana scossa elettrica percorre ogni centimetro della mia pelle.
«Non lo farete, invece. Perché non sono affari vostri» ribatto.
La sua grande mano si allarga contro la mia schiena, in basso, facendo alterare la mia cognizione della realtà. Il mio corpo reagisce al suo tocco, d'istinto, e questo è fastidioso. Ha un ascendente troppo forte sulle persone e lo usa a suo vantaggio.
«Se non ci credi, puoi sempre provare e scoprirlo» ghigna.
Dopodiché si allontana rapidamente e mi abbandona lì, con le palpitazioni e con la voglia di prenderlo a schiaffi.

Raggiungo l'aula di arte, la professoressa mi lancia un'occhiataccia, mi scuso per il ritardo e mi accomodo accanto a Keira, che mi ha riservato il posto.
«Ti ha trattenuta Evans?» mi chiede, con un pizzico di malizia nella voce.
Sbuffo. «Meglio di un giornale, davvero, le notizie corrono veloci.»
«Non immagini quanto, anche se avrei preferito saperlo da te.»
«Mi dispiace, è successo tutto ieri sera, non ho neanche avuto il tempo per metabolizzare» dico, sinceramente mortificata.
Lei annuisce. «Adesso Adeline, almeno a te, concederà un po' di tregua.»
Soffoco una risatina per non attirare troppo l'attenzione della professoressa, anche se momentaneamente è concentrata sul suo tablet.
«Non credo, ha già messo le cose in chiaro.»
Keira mette il broncio. «Ha rifiutato l'invito alla mia festa di compleanno.»
Mi acciglio. «Compi gli anni? E quando?»
«Questo sabato, sono diciotto e non riesco a credere che lei non ci sarà. Sono un po' delusa, sinceramente» si lascia sfuggire.
Afferro la sua mano. «Beh, ma se convinco Gabriel a venire...»
Un briciolo di speranza illumina i suoi occhi, ma dura soltanto un attimo, poi si spengono. «Non credo che funzionerà, è troppo testarda.»
Sorrido. «Io di più.»

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