Capitolo 10

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Jordan






Facciamo irruzione al magazzino senza preoccuparci delle conseguenze. L'ambiente è ricco di umidità e illuminato a tratti, così da non attirare troppo l'attenzione di qualche sventurato passante.
Ci guardiamo attorno, nella speranza di intravedere colui che perseguita Carter da anni, tra tutte le brutte facce presenti. E finalmente ho il piacere di conoscerlo.
I suoi capelli sono totalmente rasati, proprio come Ruttel, ma sulla sua nuca è presente un tatuaggio che rappresenta le cinque stelle del diavolo. È una manciata di centimetri più alto di me, molto più robusto, e possiede due occhi sinistri e scuri, capaci di metterti in ginocchio.
«Vorrei potervi chiedere a cosa devo il piacere, ma lo so già» dice, senza staccare lo sguardo dalle nostre figure.
«Consegnaci Carter, Ortiz» ringhia Danny, stringendo le mani in pugni ferrei.
Lui sorride, un sorriso che fa venire i brividi, consapevole di avere il potere della città nelle mani. «È stato un vero peccato, io avevo chiesto il rosso. Eppure... credo abbiate fatto bene, mi piace sempre torturare quel piccolo bastardo.»
Leggo l'espressione di Danny, è un libro aperto, vorrebbe saltargli alla gola e ucciderlo con le sue stesse mani. Ma non fa in tempo a compiere una sola mossa.
Due uomini in smoking sbucano alle spalle di Shein, tengono Carter per le braccia e lo lanciano contro il pavimento sudicio, proprio ai nostri piedi. Il suo corpo atterra provocando un tonfo, mentre dalla sua bocca tumefatta fuoriescono dei versi indecifrabili e doloranti.
«Avete tre minuti per sparire dalla mia vista, non uno in più. Vi contatterò io nei prossimi giorni, e pretendo disponibilità immediata. Forza, randagi, tic tac...» dichiara.
Io e Danny ci scambiano un'occhiata e facciamo come ci dice. Siamo in minoranza e i suoi uomini ci farebbero fuori senza neanche il minimo sforzo. Afferriamo Carter per le spalle e usciamo dal locale, trascinandolo con fatica verso l'auto, data la sua stazza.
«Non dovevate venir...» ma non riesce a concludere la frase, perché tossisce e sputa sangue sul terriccio bagnato.
«Stai zitto, stronzo impulsivo, stai zitto» ringhia Danny, preoccupato visibilmente.
Io getto un urlo rivolgendomi a Kevin, che ha già posato lo sguardo su di noi, chiedendogli di darci una mano. Danny si posiziona al posto del conducente e noi facciamo rotolare Carter sui sedili posteriori, che borbotta lamenti disconnessi.
Chiedo a Stephanie, che è inorridita alla vista di tanto sangue, di accomodarsi sulle mie gambe, così da poterci allontanare da questo squallido posto.
Rimane stranamente in silenzio e, quando arriviamo a casa di Danny, ci segue a ruota all'interno.
I due ragazzi si occupano di Carter, lo posizionano sotto il getto della doccia, disinfettano le sue ferite e poi cercano di fargli ingoiare degli antidolorifici.
«Kevin, aiutami a sdraiarlo sul mio letto, forza» ordina Danny.
Nel giro di un attimo spariscono al piano di sopra, lasciando me e mia sorella da soli.
Sospiro e decido di parlare io per primo, questa volta. «Lo so quello che pensi e mi dispiace, non volevo farti preoccupare ma ormai ci sono dentro.»
«Perché? Perché vuoi aiutare queste persone?» chiede a bassa voce.
Mi stringo nelle spalle, infilando le mani nelle tasche dei miei jeans. «Sono stato io a cercarli, avevo bisogno di soldi, dato che papà mi ha bloccato tutti i conti. Mi hanno fatto conoscere il loro modo di vivere, e poi la situazione è degenerata.»
Scuote la testa, incredula. «Avresti potuto trovare un'altra soluzione, Jordan. Qualsiasi, ma non questa.»
«Lo so, ma adesso sono miei amici. So quello che pensi di loro, ma ti sbagli, hanno solo molti problemi e stanno cercando di risolverli.»
Sospira. «Non voglio che tu vada a fondo con loro.»
Allungo una mano a sfioro la sua spalla, invitandola a guardarmi. «Non succederà, puoi semplicemente smetterla di infilarti in queste situazioni con noi?»
Dopo qualche istante di indugio, annuisce e si arrende. «Se ti succede qualcosa, li ammazzo.»
Trattengo un sorriso, poi le chiedo di aspettarmi al piano inferiore, perché voglio accertarmi che Carter stia bene.
È quello con cui, stranamente, ho legato più in fretta. E capisco perché tutti lo vogliano bene, è capace di farti sentire sempre a casa, in un modo o nell'altro. Non mi ha ancora aperto del tutto le porte, non ama parlare dei suoi problemi, ma non ci vuole un genio per capire che si porta dietro un dolore molto grande.
Dolore che nasconde cercando di fare il duro e concentrandosi sempre su terze persone, piuttosto che su se stesso. Lo capisco, perché io sono uguale. Faccio così.
«Dorme?» chiedo a Kevin, che incontro lungo il corridoio.
Lui scuote la testa e, quando busso alla porta della camera di Danny, la voce di Carter occupa i miei timpani e mi invita ad entrare.
Il suo volto è una maschera irriconoscibile. Del sangue secco lo contorna a chiazze, il suo sopracciglio è spaccato e il suo naso coperto da strati di garza. Senza parlare dei lividi violacei che si estendono sul suo addome.
Allunga una mano verso di me, per passarmi una canna. «Fuma.»
La afferro e rimango al suo fianco, poggiato contro il davanzale della finestra, sorreggendomi con i gomiti.
«Stai bene?» gli chiedo.
«Come uno che è appena stato massacrato» risponde ironicamente.
«Non saresti dovuto andare lì da solo» gli faccio notare, ricevendo approvazione da Danny.
«E tu avresti dovuto tenere la tua cara sorellina lontana da noi, ma nessuno qui rispetta i patti» mi punzecchia.
Sospiro. «Credo che questa volta abbia capito l'antifona, si può dire lo stesso di te?»
Ridacchia. «È stato necessario, almeno da domani possiamo ritornare alla nostra schifosa normalità.»
Danny incrocia le braccia al petto. «Sai che non è così, chiederà sempre di più, dobbiamo trovare un modo per uscirne.»
Carter prende un respiro profondo e serra la mandibola. «Non c'è una via d'uscita, non per me.»
«Non è vero, è solo che, se tu riuscissi a...»
«Non c'è!» tuona la sua voce rabbiosa, facendo calare il silenzio. «Adesso lasciatemi da solo.»

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