Capitolo 59

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Stephanie




Malgrado quello che ho sempre pensato, sono riuscita a concedermi a Carter con una naturalezza che mi ha stupita. Questo perché l'amore riesce a spazzare via anche le più terribili delle paure. A fartele dimenticare.
Dopo, ho pianto. Non per tristezza, ma perché ho capito che quell'incubo adesso non esiste più, grazie a lui. Gli ho raccontato di quella notte, ho lasciato uscire tutto il male che per anni è rimasto dentro, mi sono sfogata. E lui mi ha ascoltata, mi ha cullata tra le sue braccia e mi ha detto che mai, nessuno, mi toccherà più, oltre lui. Che adesso va tutto bene. E io gli ho creduto.
È stato un momento straordinario, magico, oltre che solo nostro. Mi sono sentita completa, forse per la prima volta dopo che mamma se n'è andata. Oggi non ho più dubbi, oggi so che lui è la mia persona.
Che non è mai stato un gioco, ma solo destino.
«Tessa e mio padre vorrebbero conoscerti» gli dico, mentre mi rivesto dopo essere uscita dalla doccia. «Magari potresti venire a cena, questa sera.»
«Non sono quel tipo di ragazzo, non gli piacerei» risponde, attraverso il vivavoce del cellulare, poggiato sulla mensola del bagno.
Riesco a percepire un pizzico di disagio nel suo tono, questo mi costringe a soffocare una risata, perché non si rende conto di quanto sia straordinario. Non dovrebbe sempre sentirsi inferiore.
Lui se se ne accorge. «Dico davvero, Pasticcio» aggiunge.
Roteo gli occhi. «Sei perfetto così, invece. Non dirmi di no.»
Lo sento sbuffare. «E va bene, va bene, ci sarò.»
Sorrido, soddisfatta di aver vinto. «Non vedo l'ora, ci vediamo dopo allora.»
«Ti amo, a stasera» dice prima di riattaccare.

Confermo la cena e Tessa mi stringe in un abbraccio, felice. Mio padre, invece, storce un po' il naso. È una novità per lui. Sa che non ho mai avuto interessi del genere, che sono sempre rimasta concentrata solo sullo studio, e adesso si ritrova a dover conoscere il fidanzato della sua unica figlia femmina.
«Andiamo, Edward, non tenere questo broncio. Tua figlia sta sbocciando, è normale» dice Tessa, correndo in mio aiuto.
Mio padre alza gli occhi al soffitto. «Concedetemi il tempo per metabolizzare la cosa, okay?»
Sorrido e Tessa mi strizza l'occhio, prima di ribattere: «Bene, allora corri a farlo e lascia qui me e Stephanie, così possiamo stare tranquille mentre sistemiamo tutto per benino.»
Mio padre sbuffa, ma obbedisce. Mi stampa un rapido bacio sulla fronte, poi decide di fare un giro fuori da casa.
Quando rimaniamo da sole, sento qualcosa muoversi nel mio stomaco, di molto simile all'ansia. Temo che qualcosa possa andare storto, e la mia espressione deve avermi tradita, perché Tessa se ne accorge.
«Sei ansiosa?»
Deglutisco. «Un po'.»
Allunga una mano verso di me ed io la afferro, poi mi tira in un forte abbraccio. Rassicurante, dolce, bello.
«Credo che tu sia speciale, e lui deve esserlo altrettanto per meritarsi il tuo amore» mormora contro i miei capelli.
Annuisco. «Oh, lo è.»

Due ore dopo, è tutto pronto. Il tavolo è allestito alla perfezione, l'odore d'incenso aleggia nell'aria e calma i miei sensi, e mio padre adesso sorride.
Jordan, invece, è tranquillo come al solito. Steso sul divano, con le gambe incrociate, mentre gioca con la sua PlayStation. Di rado mi lancia alcune occhiate, poi torna a concentrarsi sulla televisione.
«Allora, conosci il ragazzo di tua sorella?» domanda mio padre, tentando di fare conversazione.
Jordan scrolla le spalle. «Sì, è un tipo a posto.»
Trattengo un sorrisetto e, nel frattempo, mando un sms a Carter, per capire dove sia. Peccato che i minuti passano ed io non ottengo risposta.
Questo mi fa preoccupare. Non è da lui, rischierebbe un incidente piuttosto che non toccare il cellulare. Un altro vizio che dovrebbe togliersi, a proposito. Ma non credo abbia cominciato proprio adesso.
Mi accomodo accanto a Jordan e gli chiedo aiuto, perciò ci dirigiamo verso la mia camera e quando chiudo la porta, dico solo: «Non risponde.»
Lui si acciglia. «Magari è per strada, non stressarlo.»
«No» scuoto la testa. «È successo qualcosa, me lo sento.»
Lui sospira e sembra rifletterci sopra per un attimo, poi decide di telefonare a Danny. Ma nemmeno lui risponde.
«Strano» osserva. «Ho un'idea. Chiama Adeline, è la sua vicina di casa, anche solo per chiederle se lui è ancora lì.»
Arriccio il naso. «Che? No, no mi dispiace, non lo farò.»
«Non fare la mocciosa, se sei preoccupata e vuoi risposte, è la nostra ultima chance.»
Sbuffo. Ha ragione, perciò anche se controvoglia, gli do retta.
Gli squilli sembrano infiniti e quando finalmente risponde, la sento piangere a dirotto. I singhiozzi prendono possesso dei miei timpani.
«Steph, santo cielo, stavo per chiamarti. Devi venire subito all'ospedale» dice, la voce allarmata.
Il mondo sembra fermarsi, il cuore smette di battere per qualche istante. Il terrore che diventa realtà.
«Cosa? Perché? Dov'è Carter?» domando, mentre tento di placare la mia testa che gira all'impazzata.
«Lui sta bene, ma suo padre... vieni, fai presto» dice soltanto, poi riattacca.

Il tragitto fino al Kindred Hospital sembra infinito, quando arriviamo mi precipito di corsa verso il pronto soccorso. Corro così veloce che i miei piedi quasi non toccano terra, mentre il cuore rischia di esplodere.
Ed è proprio lì, nelle panchine della sala d'attesa, che lo vedo. Seduto, con la testa tra le mani, mentre cerca di nascondere i suoi occhi lucidi, affiancato da Danny e da Kevin.
Quando mi avvicino, lui deve avvertirmi, come un sesto senso. Solleva lo sguardo e crolla. Mi accovaccio di fronte a lui, mi tira verso il suo petto ed esplode in un pianto disperato. I singhiozzi riempiono l'aria, le lacrime bagnano il mio maglione.
Le mie dita accarezzano i suoi capelli. «Shh, va tutto bene, sono qui.»
Jordan deve sbucare alle mie spalle, dopo aver trovato parcheggio, perché i ragazzi si alzano e lo raggiungono, così da concederci un po' di tempo da soli.
«Mi dispiace così tanto di avervi dato buca, ho dimenticato il cellulare a casa, è successo tutto così in fretta...»
Lo stringo più forte. «Ehi, non dirlo neanche per scherzo. Lui come sta?»
Scuote la testa. «Male, la cirrosi epatica è in uno stato troppo avanzato, dato che non ha mai smesso di bere. I medici non credono che passerà la notte.»
Sento il mio cuore spezzarsi, insieme al suo. È terribile perdere qualcuno che ami, fa così male che vorresti morire, piuttosto che provare un dolore simile. Qualcosa che non sai come affrontare, che credi non passerà mai. Ed è così, non passa. La cicatrice rimane.
«Mi dispiace così tanto» mormoro, mentre una lacrima sfugge dai miei occhi.
Lui se ne accorge e la acchiappa con il dito. «Rimani con me?»
Annuisco. «Non vado da nessuna parte.»
Ed è così. Rimango al suo fianco per tutto il tempo, senza lasciare la sua mano neppure per un istante. I minuti passano, così come le ore e le infinite sigarette che danneggiano i suoi polmoni, ma che non giudico data la situazione.
I ragazzi a volte si allontanano per darsi una rinfrescata, Adeline ha addirittura portato qualcosa da mettere nello stomaco per tutti, anche Keira ci ha raggiunti.
Siamo una squadra e questo mi fa piacere, mi si riempie il cuore nel vedere che Carter non è da solo, al contrario di ciò che pensa. Ci sono tante persone disposte a correre per lui, ad aiutarlo, a stargli accanto.
E questo, ne sono certa, diminuisce un po' il dolore della perdita che sta per colpirlo. Ne siamo tutti coscienti, stiamo solo aspettando che arrivi il momento, arresi a qualcosa che nessuno di noi può cambiare.
Purtroppo.

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