Capitolo 51

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Stephanie





«Questa sera porto Tessa al cinema, vuoi unirti a noi?» domanda mio padre, dopo aver bussato alla porta della mia camera.
Scuoto la testa, portando le ginocchia al mio petto. «No, ti ringrazio, starò qui e mi porterò avanti con i compiti.»
Lui annuisce. «Se hai bisogno di qualcosa, chiamami pure.»
«Tranquillo, divertitevi» lo rassicuro.
Fa per andarsene, ma poi ci ripensa e indugia con la mano sulla maniglia. Mi guarda da sopra la spalla. «Tesoro... grazie.»
Sorrido e dopo un mio cenno del capo, se ne va.
Non serve dire niente, sa che può contare su di me. In fondo, chi sono io per impedire che lui sia finalmente felice?
È stato così solo per tanto tempo, dopo la mamma non ha guardato mai una donna. Considerando la sua giovane età, è giusto che vada avanti e si rimetta in gioco.
Vedo i suoi occhi rinati, quando è al fianco di Theresa. Lei è capace di farlo ridere di cuore, di farlo stare bene.
Al contrario di quello che pensa Jordan, io li vedo davvero in sintonia, i soldi non c'entrano niente.
E sì, avrei preferito che fosse sincero dall'inizio, ma nessuno qui sfiora la perfezione, nemmeno lontanamente, per poter giudicare.
Chiudo il libro di biologia e sposto il mio sguardo sul cellulare, che emette un suono. Quando leggo il nome di Gabriel sul display, il cuore salta un battito. Gli ho inviato un milione di messaggi, in questi giorni, per scusarmi e chiedergli di ascoltarmi almeno un'ultima volta. Perché vorrei aprire il mio cuore, ma non ha mai risposto.
Fino ad ora.
Mi chiede di raggiungerlo al molo ed io scatto subito in piedi, infilo una tuta e lego i miei capelli in uno chignon disordinato. Sono terribile, e trascurata, ma non me ne importa.
Chiamo un taxi, perché di camminare a piedi non ho proprio voglia. Dopo dieci minuti di attesa e cinque di viaggio, arrivo a destinazione. Sorrido cordialmente al tassista, prima di scendere.
Mi guardo attorno e proprio in fondo, poggiato sulla ringhiera che sporge sull'oceano, lo vedo. Ha lo sguardo fisso sulla distesa d'acqua e quando mi ritrovo a pochi passi da lui, mi avverte e si gira a guardarmi.
Gli sorrido, timida. «Ciao.»
«Ciao.»
Infilo le mani nelle tasche della felpa. «Grazie per essere qui, con me.»
Scrolla le spalle. «Tanto sto una merda comunque, almeno dopo questa chiacchierata smetterò di torturarmi il cervello.»
Il senso di colpa attanaglia il mio stomaco. «Mi dispiace, ma l'ho già detto un miliardo di volte.»
Mi invita a sedermi al suo fianco, su una panchina di legno poco distante. Obbedisco e torturo un filo di cotone che sbuca fuori dalla cucitura con le dita.
«Sai, non ho sempre finto con te. Puoi non credermi, ma all'inizio mi piacevi davvero» premetto.
Sorride. «Già, dopo non molto le cose sono cambiate però.»
«È vero. Mi sono lasciata coinvolgere da lui, e non riesco a capire come sia successo, né quando. Sono sincera» sospiro. «Non posso rimettere le cose a posto, posso solo chiederti scusa perché avrei dovuto dirti tutto subito, avrei dovuto chiudere con te. Ma se non l'ho fatto, è solo perché non ho mai voluto ferirti.»
Annuisce. «Lo ami?»
Rimango per qualche istante in silenzio. Apri il tuo cuore.
«Credo di sì, puoi pure prendermi in giro se vuoi» ammetto, sentendomi stupida.
Posso leggere il suo dolore, è impresso sul suo volto, così grande da far male anche a me. «Sai, ho creduto davvero che tu fossi giusta per me.»
Afferro la sua mano. «Io lo credo ancora, ma certe volte la cosa giusta e la cosa che vogliamo non coincidono. L'ho capito un po' tardi.»
Mi guarda negli occhi, il suo peso adesso è più leggero. Si è sentito tradito e preso in giro, questo non gli passerà presto, ma spero che sia un inizio.
«Mi dispiace, Gabriel, sul serio. Spero che un giorno tu possa perdonarmi» aggiungo.
E fa una cosa inaspettata. Afferra la mia spalla e mi spinge contro il suo petto, per poi stringermi in un forte abbraccio, che ricambio senza esitazione.
«Ti ho già perdonato, ma non posso starti vicino per il momento. Un giorno magari sì, ma non oggi» mi dice.
«Sei davvero un bravo ragazzo» gli sussurro all'orecchio.
E lo penso sul serio. È difficile trovare qualcuno disposto ad ascoltarti, specialmente dopo un torto così grande. La sua bontà ed il suo cuore grande lo porteranno molto lontano. Ne sono sicura.

Al mattino successivo, a scuola, Adeline mi rivolge la parola, vedendomi in compagnia di Keira. Cosa che, sinceramente, mi sorprende parecchio.
Ma capisco di aver cantato vittoria troppo presto, quando con la sua aria di superiorità, mi dice: «E allora, con Carter hai chiuso, immagino.»
Il mio umore cala giù a picco, specialmente quando il diretto interessato ci passa accanto e trovo i suoi occhi profondi fissi su di me. Li distoglie soltanto quando Danny gli circonda le spalle con un braccio.
Keira colpisce Adeline con una gomitata al fianco, invitandola a darci un taglio, ma lei fa spallucce e aggiunge: «Che c'è? Sono solo curiosa. È arrivato al suo scopo e ora non gli interessa più, come da copione. Non sarebbe stato di certo diverso, 'sta volta.»
Chiudo l'anta del mio armadietto con forza, facendo trasalire entrambe. Lancio un'occhiataccia alla mora. «Quasi ci godi, immagino
Adeline si acciglia. «Vuoi fare la stronza con me, Dickens?»
Avanzo un passo verso di lei. Sono stanca della sua cattiveria gratuita, non le ho fatto niente e non fa altro che rigirare il dito dentro la mia ferita ancora aperta.
«E soffiarti il titolo? No, tranquilla, non mi interessa.»
Keira si posiziona in mezzo a noi. «Adeline, finiscila.»
«Ma certo, me ne vado» sbuffa e fa come dice, con il naso all'insù e la rabbia che scorre nelle sue braccia sottili, tanto stringe i pugni.
Prendo un grande respiro, mentre stringo i libri al petto. Keira poggia la sua mano contro la mia spalla, per darmi conforto.
«Grazie per esserti schierata dalla mia parte» le dico.
Mi sorride, ma non fa in tempo a rispondere che la sua attenzione si sposta da un'altra parte. Precisamente, su una ragazza. Mai vista prima.
«Oh merda» le sfugge.
Faccio passare lo sguardo accuratamente su tutta la sua figura snella ma sinuosa, non passano inosservati i suoi boccoli ramati e la camminata sicura di sé.
«Chi è?» chiedo in un sussurro.
La sua espressione è indescrivibile, sembra che abbia appena visto un fantasma, e quando pronuncia il suo nome, pare non creda alla sua stessa bocca. «Isobel Petit.»
Aggrotto la fronte. «È francese?»
«Sì, ma non è questo il punto. Non dovrebbe essere qui.»
«Perché? Che succede?» insisto, curiosa.
Lei si passa una mano sulla faccia, poi finalmente mi guarda. «È l'ex storica di Danny Flores, lui è stato davvero di merda quando lei è tornata a Marsiglia, si è dato all'alcol e alla droga, non ha più sfiorato una sola ragazza.»
Batto le palpebre un paio di volte. «Davvero si è ridotto così male?»
«Non hai idea, combinava un casino dopo l'altro, i suoi genitori per un pelo sono riusciti a non fargli perdere l'anno» risponde. «Adesso sta bene, ma lei è qui e questo vuol dire solo una cosa: problemi.»
Rabbrividisco al solo pensiero che un ragazzo possa aver sofferto tanto per amore. Questo sentimento è una dannata arma a doppio taglio, così pericolosa da dover cessare di esistere.
Io non posso capire fino in fondo, ma qualcosa riesco a percepirla. Specialmente quando sento una risata assassina, che proviene proprio da Carter, in fondo al corridoio. Mentre guarda con astio la sua avversaria.
«Steph, aspetta qui» dice Keira, per poi correre verso di lui.

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