Capitolo 27

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Stephanie






«Torni con me?» mi chiede Keira, quando la sua testolina viola fa capolinea oltre la porta della camera.
Annuisco in modo scostante, senza guardarla negli occhi. Sono ancora troppo imbarazzata per il modo in cui mi ha trovata, in compagnia di Carter, dentro il nostro bagno comune.
È già passata l'ora di pranzo e non ne abbiamo parlato, si è limitata ad assicurarsi che la sbornia passasse in fretta, facendomi ingerire delle aspirine che potessero placare il mio mal di testa e abbracciandomi, durante la notte.
Ma so che è arrivato il momento, la sua espressione la dice lunga, ed io non ho fatto altro che starmene per fatti miei ed evitare qualsiasi persona, compreso Gabriel, che non sono riuscita ad affrontare, sentendomi in colpa.
Ho desiderato un altro ragazzo, e non uno qualunque. Ho desiderato proprio Carter Baysen, con tutti i suoi misteri, quegli occhi magnetici e il carattere arrogante.
E non posso dare colpa all'alcol, perché conosco l'effetto che ha su di me, ogni volta che mi sta vicino. Questa è la cosa che più mi fa rabbia. Perché non riesco a spiegarmi come possa essere possibile, detestare una persona e rimanerne incantata al tempo stesso.
«Gabriel mi ha chiesto di te» dice, avvicinandosi, mentre preparo la mia valigia.
Drizzo le spalle. «Non voglio parlarci.»
La sento sospirare. «Non puoi controllare da chi essere attratta, tesoro. Non fartene una colpa.»
Scuoto la testa e mi siedo sul bordo del letto, con le mani in grembo e la mente in subbuglio. «Invece sì, ho sbagliato, Kei. Sono una frana.»
Una risatina sfugge dalle sue labbra, poi si accovaccia proprio davanti a me, poggiando i suoi gomiti sulle mie ginocchia.
«Tutte hanno desiderato Carter almeno una volta nella vita, okay? Non è niente.»
La guardo. «Questo dovrebbe consolarmi?»
Annuisce, speranzosa. «Eri ubriaca marcia, amore. Non eri in te.»
Sbuffo. «Lo so ma...»
«Se per te è difficile d'accettare, convinciti che sia così, forse ti faciliterà le cose e potrai andare avanti. Fatto sta, che non è successo niente, alla fine dei conti» mi interrompe.
«Solo perché sei arrivata tu» preciso.
«E menomale, allora, che hai me!» esclama.
Mi strappa un sorriso.

Il viaggio di ritorno lo abbiamo trascorso tranquillamente, abbiamo ascoltato della buona musica e mangiato un cono nella migliore gelateria della zona.
Prima di partire, mi sono anche sforzata di scambiare due parole e un rapido bacio con Gabriel, in modo che non si ponesse troppe domande. Non voglio che pensi di essere lui, il problema.
Quando arrivo a casa, saluto la mia amica con un abbraccio e mi precipito oltre la porta. Voglio solo farmi una bella dormita e mettermi totalmente in sesto, prima di rientrare a scuola, domani.
Nel salotto mi scontro con Jordan, che ha già uno zaino in spalla e tutte le intenzioni di passare la notte fuori.
«Dove vai?» chiedo, sollevando le sopracciglia.
«Dormiamo da Danny» m'informa. «Vuoi mica venire?»
Scuoto la testa. «No, no, grazie tante.»
In una normale situazione avrei fatto di tutto pur di seguirlo, così da tenerlo d'occhio ed evitare che finisca di nuovo nei guai, ma in questo caso... no, non voglio proprio affrontare Carter, né vederlo mai più. Anche se so che non è una missione possibile.
Devo cercare di fare pace con me stessa, prima, perlomeno.
Faccio per proseguire verso il piano superiore, ma appena il mio piede tocca il primo gradino, la voce di mio fratello mi inchioda.
«Va tutto bene? Insomma, con quel cretino con cui esci... ti fa felice?»
Gli lancio un sorriso al di sopra della spalla. «Sì, grazie per avermelo chiesto.»
Lui ricambia, poi se ne va, sbattendosi la porta alle spalle. Rimango da sola.
Evidentemente non ha la minima idea di cosa sia successo con Carter, lui avrà omesso questo racconto, ed io ho tutte le intenzioni di fare lo stesso. Che poi, cos'è successo? Niente.
Per un pelo...
Dopo aver infilato i panni sporchi in lavatrice ed averla azionata, mi concedo un bagno rigenerante. Infilo il mio corpo nella vasca ricca di schiuma e acqua calda, poggio la mia testa contro le piastrelle e mi beo di questa sensazione.
Poi decido di telefonare a mio padre, tanto impegnato da non mandare neanche un misero messaggio.
«Tesoro, ciao, è tutto a posto?» mi domanda, come se ci dovesse essere per forza un motivo per volerlo sentire.
«Sì, va tutto bene, a te?»
«Sì, sono dietro le quinte con il resto della band, tra poco ci esibiamo» m'informa.
«Oh, d'accordo, buona fortuna allora» dico.
«Ci vediamo tra due lunedì, ti voglio bene» aggiunge frettoloso.
Non mi concede neanche la possibilità di potergli dire che lo voglio bene anch'io, nonostante la sua presenza spiritata e la sua poca premura, che riattacca.
Mio padre non è un cattivo padre, non potrei mai dire una cosa del genere, ma potrebbe sforzarsi un po' di più? Sì, mettiamola così.
Basterebbero pochi dettagli, qualche telefonata in più, qualche parola rassicurante di tanto in tanto, anche soltanto un abbraccio farebbe la differenza.
Ma non è mai stato un tipo particolarmente affettuoso, quella era mamma, che riusciva a tirare fuori quel suo lato nascosto. So che ci ama, però non riesce a dimostrarlo abbastanza, specialmente con mio fratello.
Il loro rapporto è praticamente inesistente e so che ne soffrono entrambi, ma l'orgoglio che li accomuna è sempre più forte e fa da vincitore. Ed è un vero schifo.
Decido di asciugare il mio corpo solo quando sento tutti i muscoli intorpiditi, infilo una tuta comoda e i soliti auricolari nelle orecchie. Mi preparo alla mia corsa, senza nemmeno cenare prima.
Quando mi trovo sul vialetto, respiro l'aria fresca della sera. Peccato che un colpo di vento fa sbattere la porta, ancora prima che possa recuperare le chiavi di casa appese dall'altra parte della serratura.
Oh, no, ma ti prego...
Giro dall'altra parte del giardino, nella speranza di aver dimenticato qualche finestra aperta, ma ovviamente la fortuna non è dalla mia parte.
Mi lascio andare ad un lamento. «Non ci credo.»
Fortunatamente ho il mio cellulare in tasca, così provo a telefonare Jordan, ma non si degna di rispondermi. Spero che non sia troppo indaffarato in imbrogli illegali, perché riprovo ancora.
Non ho voglia di disturbare un'altra volta Keira, anche se so che correrebbe in mio aiuto. Non lo trovo corretto e non voglio diventare un peso.
«Stephanie» sento la voce attraverso l'altoparlante. Ha risposto.
«Jordan, devi venire» dico.
«Non posso, che cosa succede?»
Alzo gli occhi al cielo. «Sono rimasta chiusa qua fuori, portami il tuo mazzo di chiavi.»
Un baccano che non riesco a decifrare riempie le mie orecchie, poi qualche risata, e di nuovo la sua voce. «No, mi servono. Hai combinato tu il guaio, perciò tu sottostai.»
Perdo la pazienza. «Senti, le mie chiavi sono dentro casa, vieni ed apri almeno la porta!»
«Non posso prima di un'ora, cazzo, perciò aspetta» brontola.
«Che cosa?! Jordan, non mi interessa cosa stai combinando, devi...»
Riattacca, lasciandomi con i nervi a fior di pelle.
Maledetto!

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