Capitolo 54

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Carter




«Carter, aspetta.»
La voce di Adeline costringe i miei piedi ad inchiodarsi sull'ultimo gradino del porticato di casa mia.
Con le mani ancora dentro le tasche, mi volto e la guardo. Avanza verso di me, con un'espressione indecifrabile appiccicata addosso.
Si morde il labbro inferiore, prima di dire: «Io volevo... solo sapere come te la passi.»
Un po' sorpreso, scrollo le spalle. «Come sempre» taglio corto.
Dondola il suo corpo da un piede all'altro, incrociando le mani dietro la schiena. «Io ci tengo a te, questo non cambierà mai. Se ti serve qualcosa, qualunque cosa, sai dove trovarmi.»
Aggrotto la fronte. «Perché me lo stai dicendo?»
«Perché devi saperlo» dice soltanto, forzando un sorriso.
Scuoto la testa. «Va tutto alla grande, non preoccuparti.»
Fa per aprire bocca, ma non riesce a pronunciare una sola parola, perché un baccano assordate attira la nostra attenzione.
Non perdo tempo e mi precipito dentro. Mi guardo attorno, preoccupato, ma di mio padre neanche l'ombra. Capisco che si trova al piano superiore.
Adeline mi segue a ruota, senza chiedere il permesso. Semplicemente, resta al mio fianco. Ma non riesco a mandarla via, non è la cosa più importante adesso.
Mi basta percorrere le scale per capire che si trova dentro la stanza dei dipinti. La prima porta a destra.
Mia madre ha sempre avuto una grande passione per la pittura, ricordo che si rinchiudeva lì dentro per ore intere, senza stancarsi mai. Da bambino, mi costringeva addirittura a posare per lei.
Credo fosse il suo modo per fuggire dalla realtà.
Quando varco la soglia, un casino mi circonda. I quadri sono rovesciati sul pavimento, le tele strappate, le cornici frantumate. Mio padre è accovacciato sul pavimento, piange, si copre il viso con entrambe le mani.
«Papà» mormoro.
Lui solleva gli occhi su di me e la sua espressione cambia radicalmente. Si rimette in piedi con molta fatica e mi guarda come se fossi un demone.
«Tu che cazzo vuoi?» sbotta, con voce lenta e impastata.
È in uno stato confusionale, credo stia avendo una delle sue crisi. E quando succede, io sono il suo bersaglio preferito. Ormai ci sono abituato, ma fa male comunque, tutte le volte.
Si avvicina, un passo per volta. Mi punta un dito contro. «Dove cazzo hai portato mia moglie, eh? Brutto scarafaggio! Dimmelo!»
Chiudo gli occhi per un istante e prendo un respiro profondo, ma non faccio in tempo a dire niente, perché Adeline mi affianca e allunga una mano verso mio padre.
«Andiamo, signor Baysen, va tutto bene.»
Lui la osserva, sembra confuso ed il mio cuore batte a mille per paura della sua prossima mossa, però alla fine accetta il suo aiuto e si lascia condurre fino alla camera da letto.
Si sdraia e Adeline gli rimbocca le coperte, fino al collo. Lui sorride. «Hanaise» sussurra, poi chiude gli occhi e si lascia andare in un sonno profondo.
Rimango in silenzio per tutto il tempo, finché non arriviamo al piano inferiore. Mi sento in colpa per averle permesso di assistere di nuovo ad uno scenario del genere. Una volta accadeva spesso, accettavo il suo aiuto, ma ora mi sembra semplicemente sbagliato.
«Non eri costretta a farlo» dico.
Afferra la mia mano e mi guarda da sotto le ciglia folte. «Non fa niente, non è la prima volta.»
Sospiro. «Ade, io ti ringrazio ma...»
Il suo indice vola contro la mia bocca, così da zittirmi. Poi succede tutto in un istante. Il suo viso si avvicina pericolosamente al mio, le sue labbra bramano le mie. Azzera ogni distanza, si riprende il contatto.
Dura qualche secondo, perché poi la afferro per le spalle e la allontano da me. Un lampo di dolore attraversa i suoi occhi.
«No, mi dispiace, sul serio, ma non è questo che voglio» preciso.
Ridacchia e piega la testa di lato. Accoglie la consapevolezza. «Ma certo, lo so. Mi serviva solo un'ultima conferma.»
Incurvo le sopracciglia. «Cosa intendi?»
«Il vecchio Carter avrebbe ricambiato, senza pensare alle conseguenze. Ma il nuovo Carter, sai, sembra davvero migliore» spiega.
Rimango colpito dalle sue parole. Non mi sarei mai aspettato una reazione del genere. Di solito ricevo sfuriate e insulti, da parte sua.
«Anche la nuova Adeline è diversa, sembra più matura» dico sinceramente.
Poggia una mano sulla mia guancia. «Ci tieni davvero a lei?»
Non serve pronunciare il suo nome, so già a chi si riferisce. E credo che non ci sia bisogno nemmeno di conferme, perché la mia faccia parla chiaro.
Mi sorride e si volta. Afferra il pomello della porta, ma indugia qualche istante. «Sai, credo che si meriti di conoscere questo Carter, quindi non perdere tempo e corri da lei, prima che sia troppo tardi.»
Sono le sue ultime parole, prima di andarsene. E mi colpiscono con la forza di uno tsunami.

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