Capitolo 39

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Stephanie




«Questa sera ci sarai, vero?» mi domanda Keira, mentre sorseggia lentamente il suo frullato ai frutti di bosco, con tanto di panna.
Soffoco uno sbadiglio, mentre zucchero la tazza che contiene il mio caffè latte doppio. «In realtà dovrebbe rientrare mio padre, credo che rimarrò a casa ad aspettarlo.»
Adeline poggia i gomiti sul piccolo tavolino quadrato attorno alla quale siamo sedute e solleva le sopracciglia. «Ma non puoi perdertela! È la festa migliore dell'anno.»
Scrollo le spalle dopo aver immerso le mie labbra nel liquido marroncino. «Vorrà dire che mi racconterete tutti i dettagli.»
Un braccio si posiziona attorno alle mie spalle, facendomi trasalire di spavento. È mio fratello, perciò gli lancio un'occhiata truce.
«Che vuoi?»
«Papà non tornerà, proprio come ieri. L'hai aspettato sveglia fino a tardi» dice così, di getto, come se non fossi già abbastanza delusa senza che lui lo rammenti.
Drizzo la schiena. «Origli le mie conversazioni adesso?»
Sorride. «Se imparassi ad abbassare il tono della voce, questo non accadrebbe.»
Lo colpisco con una gomitata, questo lo costringe ad allontanarsi da me e dirigersi verso il suo trio delle meraviglie che lo attende al bancone della caffetteria, al quale non presto attenzione, ridacchiando come un forsennato.
«Amore, prova a telefonare a tuo padre, digli della festa. Sono certa che per lui vada bene, così tu verrai e lascerai i sensi di colpa a casa» dice Keira, allungando un braccio verso di me.
Adeline annuisce. «Ma sì, dai!»
Non mi lascio convincere. Forse hanno ragione, sono una stupida che in qualche modo cerca sempre di fare la cosa giusta, piuttosto che vivere la sua normale vita da adolescente. Ma non riesco ad immaginare il suo rientro, in solitudine, con la casa immersa nel silenzio e nel buio. È proprio questa la ragione che lo spinge spesso a partire, vorrei dimostrargli che può rimanere, che ci sono io a fargli compagnia.
Ma non obbietto ancora, perché altrimenti non mi lascerebbero in pace, così fingo di pensarci sopra. Questa è già una vittoria per loro.
«Verremo a prenderti a prescindere dalla tua decisione, che sia chiaro» esclama Keira, mentre ci dirigiamo verso l'uscita dopo aver pagato il conto.
I miei occhi cadono alla mia destra, su una panchina posizionata poco dopo l'uscio della porta, a causa del chiacchiericcio. E si scontrano proprio con i suoi, ardenti, già fissi su di me.
Il mio stomaco si contrae nell'immediato, mentre i flashback di ciò che abbiamo fatto trapassano la mia mente. Qualcosa che non posso dimenticare, nonostante non ne abbia parlato con anima viva pur di non renderlo reale.
Ecco, lui è un altro motivo in più per rimanere a casa. Al sicuro.

Di mio padre neanche l'ombra. Sono le nove di sera e la cena si è freddata.
Ho ignorato platealmente mio fratello, che ha tentato di dissuadermi ancora una volta. Stessa cosa ho fatto con le infinite telefonate delle mie amiche.
Sbuffo e lancio un'altra occhiata alle lancette dell'orologio appeso alla parete della cucina, i secondi passano in fretta. Poi il citofono suona.
Mi precipito verso la porta d'ingresso, chiusa nella mia calda vestaglia, aspettandomi di vedere mio padre con la valigia in mano, ma non è così.
Una moderna Harley Queen e una sexy Catwoman mi salutano, raggianti. I loro look sono perfetti, come le parrucche che ricoprono i loro volti troppo truccati.
«Da cosa sei vestita? Da casalinga disperata?» ride Keira, stretta nella tutina nera.
«Per fortuna che abbiamo portato qualcosa per te» aggiunge Adeline, arricciando le ciocche della chioma rossa per metà.
Fanno irruzione senza attendere il permesso e mi trascinano al piano superiore, fino alla mia camera. Aprono la busta e gettano sul letto un completo bianco. Si tratta di un tubino pieno di paillettes, un paio di ali finte e un'aureola come cerchietto.
Sgrano gli occhi. «Preferisco la casalinga disperata.»
«Ah-ah, cambiati» dichiara Keira.
Scuoto la testa. «Ragazze, no.»
Adeline mi punta un dito contro. «Jordan ha già telefonato a vostro padre, non sarà qui prima di domattina. Quindi muovi quel culo.»
Aggrotto la fronte e tento di mascherare la mia delusione. Ancora. Avrebbe dovuto avvisarmi di sua spontanea volontà, mandare anche soltanto un misero messaggio. Invece no. E so quanto sarebbe inutile farglielo presente, quando lo vedrò. Mi riempirebbe la testa di scuse e di giustificazioni sulla sua mancanza di tempo, quando la realtà è soltanto una: non gli importa abbastanza.
«D'accordo» mi arrendo.
«Evvai» esulta Keira, spingendomi verso il bagno, per poi chiudermi dentro.

Il tubino è troppo attillato, così tanto che faccio fatica a respirare. La mia pancia è schiacciata contro il tessuto, i miei polmoni soffrono ed il mio seno prosperoso sta per esplodere. Le mie gambe, invece, non riescono ad abituarsi al gelo della sera.
«A Gabriel verrà un infarto» ridacchia Adeline, mentre ci addentriamo nella grande sala affittata e addobbata a tema per l'occasione.
«Certo, perché sembro una sgualdrina da quattro spicci» scherzo. Anche se non così tanto.
Keira mi colpisce con la sua spalla. «Che cretina, non è vero. Sei stupenda.»
L'aria è già impregnata di fumo e sudore, a quanto pare sono i genitori di Vanessa ad occuparsi dell'organizzazione dell'evento, ogni anno e con attrazioni sempre più maestose, lasciandoci alla completa autogestione. Addirittura, questa sera, c'è il percorso nella casa degli orrori ad attenderci. Solo al pensiero, alla fifona che è in me viene un nodo in gola, data la mia allergia agli horror.
«Ciao» esclama un Joker, sorridendo in modo esageratamente inquietante, con quella bocca disegnata alla perfezione.
Si tratta di Noah, riconosco il tono e ne ho la conferma quando poggia un bacio sulle labbra alla sua ragazza.
«Volete da bere?» ci chiede.
Annuiamo tutte e tre, poi Adeline scompare insieme a lui, mano nella mano. Rimaniamo soltanto io e Keira. Faccio passare lo sguardo tra la folla, nella speranza di riconoscere Gabriel, ma l'unica persona che attira la mia attenzione è quella priva di travestimento.
Una smorfia mi contrae il viso e la mia Catwoman se ne accorge. Incolla la sua spalla alla mia. «Sì, lui è così, deve sempre distinguersi.»
Alzo gli occhi al soffitto. «Già, lo vedo.»
Ma in realtà ci sarebbe riuscito a prescindere, perché a Carter basta essere semplicemente Carter. Con quello sguardo ammiccante e ricco di malizia, quelle labbra perfette a forma di cuore, quelle dita lunghe e ruvide che possiede...
«Mi stai ascoltando?» chiede Keira, sventolando la sua mano davanti la mia faccia imbambolata.
Sbatto le palpebre un paio di volte. «Ehm, sì.»
«Devi dirmi qualcosa?» si piazza di fronte a me, occupando la visuale, con le mani strette ai fianchi.
Scuoto la testa rapidamente. «Sì, cioè no, niente di niente.»
Solleva un sopracciglio. «Ne sei sicura?»
Ma non rispondo alla domanda, mi precipito verso un gladiatore dalle onde castane, che mi sta già venendo incontro. Mi fiondo tra le sue braccia, ispiro il suo dolce profumo, poi punto i miei occhi dentro ai suoi, dolci e confortanti.
«Ehi» sorride.
«Ehi.»
«Sono contento che tu sia qui» rivela.
«Sì, anche io.»
Una mano alla mia destra, che scopro appartenere ad Adeline, mi allunga un bicchiere che afferro.
«Gintonic» spiega, quando avvicino il naso al bordo per capire di cosa si tratti.
«È proprio necessario?» sbuffo.
Keira mi avvolge tra le sue braccia. «Un drink non ha mai ucciso nessuno.»
E non posso continuare a fare la guastafeste, me ne rendo conto dai loro sguardi, così mi lascio andare, promettendo a me stessa di non spingermi troppo oltre. Assaporo il liquido frizzantino e lascio che scorra giù per la gola.
«Contenti?» ridacchio.
«Non sai quanto» Keira mi strizza l'occhio.
Gabriel, invece, mi tira più vicino a sé. I nostri petti si scontrano. Eppure non sento quello che dovrei sentire, non c'è nessuna fiamma, nessun calore, nessuna scintilla.
Solo la paura di commettere uno sbaglio, di ferire un bravo ragazzo, perché lui è questo. E in realtà è perfetto per me, so che lo è.
Il suo mento si poggia contro la mia spalla ed io mi sento sporca, specialmente quando il mio sguardo finisce ancora una volta su Carter, che mi fissa a braccia conserte e con uno sguardo ricco di sfida.
E non capisco cosa voglia significare, ma poi me ne rendo conto. Afferra Vanessa e la bacia, con trasporto, le mani vagano ovunque, fermandosi poi contro il suo sedere alto e sodo.
Ma i suoi occhi, porca miseria, quelli rimangono su di me.
E lo stomaco si restringe in una fitta lancinante.

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