Capitolo 45

3.4K 82 2
                                    

Carter




Una foto.
Un test positivo.
Le facce stralunate di tutti i presenti.
«L'ha detto ai suoi» sputa fuori Kevin, seduto sul divano del salotto di Danny, mentre si tiene la testa tra le mani.
È disperato, basta solo questo per descriverlo. E lo capisco. È stata solo una botta e via, quella ragazza non significa niente per lui.
«Non so cosa fare, porca puttana, non posso crederci» ringhia.
I ragazzi guardano me, in attesa che parli, che dica qualcosa di giusto. Ma non ne ho la minima idea. È stato facile questa mattina consolarlo, ma adesso che abbiamo la conferma è ben diverso.
«Non posso diventare padre adesso, io... io non... so badare a stento a me stesso, come posso crescere un figlio?»
Allungo il filtro di cartone verso Jordan, che finisce di rollare una canna. Poi l'accende e dopo qualche boccata la passa a Kevin, che l'afferra e affoga tutti i pensieri nel fumo.
«Magari non vuole tenerlo» tento.
Scuote la testa in negazione. «La sua famiglia è cattolica, non le permetterebbero mai di abortire.»
«Non puoi saperlo, la gente come loro odia ritrovarsi al centro di uno scandalo, e per la loro comunità è una vergogna» interviene Danny, facendo un'osservazione accurata.
Kevin annuisce e mi passa la canna. «Le chiedo di vederci per parlarne.»
Poi si alza dal divano e si allontana con il telefono incastrato tra la spalla e l'orecchio.
Jordan, nel frattempo, fa un salto in casa sua per farsi una doccia e cambiarsi, prima di raggiungere il Trinity.
Rimaniamo solo io e Danny.
Quest'ultimo mi fissa con insistenza, lascio ricadere lo spinello contro il posacenere e incrocio le braccia al petto, in attesa che parli.
«Stephanie è venuta a cercarmi» getta così.
Aggrotto la fronte. «Quando?»
«Questa mattina.»
«E che ti ha detto?»
Scrolla le spalle. «Che non sa cosa fare con te.»
Sorrido e rimango in silenzio, ma questo spinge Danny a lanciarmi un'occhiataccia, costringendomi a mutare la mia espressione facciale.
«La stai spingendo tra le braccia di Evans, fino a perderla per sempre, sei davvero pronto a questo?» continua, aprendo una voragine all'altezza del mio petto.
Fisso la parete. «Sono abituato a perdere le persone.»
Danny ride amaramente. «Non ti è mai importato di una sola ragazza in tutta la tua cazzo di vita, stai facendo solo del male a te stesso.»
«Appunto» stringo la mascella per qualche miserabile istante. «Meglio che ferire anche lei.»
Danny si alza, donandosi lo slancio necessario grazie alle mani sulle ginocchia. «Sai qual è il problema? Che non riesci a starle lontano, quindi finirai per farle male in ogni caso. Almeno sii coerente e per una volta prova a lottare per quello che vuoi, invece di accontentarti delle briciole.»
Assottiglio lo sguardo. Sta provando a farmi incazzare, perché è il miglior modo per tirare fuori ciò che provo davvero, ma non cederò ai suoi giochi. Non ci casco.
«Non rompermi le palle» ringhio.
Sorride. «No, puoi starne certo.»
Poi si dirige verso il piano superiore, probabilmente per pisciare, ed io rimango da solo con me stesso. Ed è la cosa peggiore che mi possa capitare. Perché quando sono in compagnia posso concentrarmi sempre su altre cose, dedicarmi ad altre persone, risolvere altre situazioni. Invece, così, devo fare i conti con i miei scheletri dentro l'armadio. E odio farlo.
Danny ha ragione, non riesco a stare lontano da Stephanie e probabilmente l'ho già ferita abbastanza, ma non posso nemmeno correre da lei senza pensare alle conseguenze. La mia vita è complicata, ho delle questioni particolari da risolvere e sono nelle grinfie di uno psicopatico. E lei non si merita di avere a che fare con tutto questo, non voglio coinvolgerla.
Senza contare ciò che ho letto nei suoi occhi, quella sera alla festa di Halloween. Lei vorrebbe che io fossi diverso, vorrebbe una normale storia d'amore. Magari con un po' di adrenalina e passione, ma pur sempre normale. E non è importante quello che ha pronunciato ad alta voce, lei sa che sono sbagliato.
Proprio come lo so io.

Mio padre è steso sul divano, come sempre, con la bava alla bocca. Ma questa volta è diverso, le mie emozioni sono diverse. Vorrei prenderlo a pugni, dirgli che mi ha rovinato la vita, che ha sbagliato tutto, che dovrebbe essere lui a prendersi cura di me e non viceversa. Questa volta sono più rancoroso, perché per colpa sua devo continuare a negare a me stesso tutte le cose belle che questa età dovrebbe donare. Per colpa sua, sono dovuto crescere troppo in fretta. Ho dovuto vendere la mia anima ad un diavolo, solo per preservare la sua incolumità.
E se lo merita? No. Non si merita un cazzo da me. Dovrei voltargli le spalle e abbandonarlo al suo destino. Ma poi, alla fine, non ci riesco mai.
Non ci riesco perché sono un debole, perché è mio padre e perché non riesco a deludere quella folle di mia madre.
Mi afferro la testa tra le mani. Tutto il male che sento dentro non riesce ad uscire. Non ricordo neanche l'ultima volta che ho pianto, di certo ero solo un bambino all'epoca. E certe volte mi manca quella sensazione liberatoria, ma anche se ci provassi, non riuscirei. Sono bloccato.
Afferro la mia giacca di pelle ed esco di casa prima che si svegli. Sul vialetto mi scambio uno sguardo veloce con Adeline, che forza un sorriso e sparisce oltre la porta di casa sua. Se ripenso al nostro rapporto, a come l'ho rovinato, riaffiorano i sensi di colpa. Ma li scaccio via, perché ci manca solo questo.
Adesso sta bene, frequenta il ragazzo che la ama da sempre, e che sono sicuro possa darle tutto ciò che le ho fatto mancare io. Va bene così.
Va sempre a finire bene per tutti, senza di me.
Per Stephanie non sarà diverso.
Eppure, prima di rendermene conto, sono già davanti casa sua e sto ignorando le telefonate dei miei amici.

GAME OVERDove le storie prendono vita. Scoprilo ora