Capitolo 41

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Danny





«Dov'è finito Carter?» domanda Jordan, lanciando delle occhiate attorno a noi. «Vabbè, vado a cercarlo.»
Lo fermo, posando una mano contro il suo petto. «No, vado io.»
Fortunatamente non indaga, ma non avrei potuto permetterglielo a prescindere. Ho sentito Evans rivolgere la stessa domanda al suo gruppo, qualche minuto fa, non trova più la sua fidanzata, e qualcosa mi dice che sono insieme.
Il mio sesto senso non sbaglia mai.
Dopo aver dato un'occhiata ai bagni e negli angoli più appartati, la porta che conduce sul retro attira la mia attenzione. Mi dirigo fuori, senza pensarci due volte.
E li vedo. Si stanno baciando.
Prendo un respiro profondo per evitare di prendere a calci il mio migliore amico, perciò mi limito soltanto a tossire.
Stephanie tiene lo sguardo basso, mortificata.
Carter, invece, tira quasi un sospiro di sollievo nel comprendere che si tratta semplicemente di me. Ma non dovrebbe, perché non ho intenzione di lasciar perdere, questa volta.
La biondina mi passa accanto, senza degnarmi neanche di un saluto, proseguendo verso il focolaio della festa.
Incrocio le braccia al petto. «A che gioco stai giocando, cazzone?»
Lui scrolla le spalle e dalla tasca dei jeans tira fuori un pacco di sigarette, infilandone poi una tra le labbra. «Hai l'accendino?»
Alzo gli occhi al cielo e glielo passo. «Dico sul serio, Carter.»
«Non lo so, va bene? Se devi rompermi i coglioni, puoi anche andartene» si altera.
E questa mi è nuova. Sarebbe da lui dirmi di non preoccuparmi, che ha tutto sotto controllo, che si sta soltanto divertendo e basta. Invece non lo fa. Anzi, sembra frustrato.
«Offrimene una» gli dico.
Lui annuisce e ci accomodiamo sull'erba curata, seduti a gambe incrociate. Aspiro una boccata di fumo e lo guardo.
«Ti piace davvero» osservo. «L'avevo già sospettato.»
Getta il capo all'indietro e osserva il cielo che si estende sopra di noi, pieno di stelle. «Che cazzo di casino, Danny. È un casino.»
Sorrido. «Non lo stai negando.»
«E che senso avrebbe? Mi ha fottuto il cervello» ammette in un sospiro stanco.
Colpisco la sua schiena con una pacca. «E allora prova a parlare con Jordan, sistema le cose e prenditela.»
Scoppia a ridere, come se avesse appena sentito la barzelletta più divertente del mondo. Poi mi lancia uno sguardo indecifrabile. «Non posso.»
«Non deve andare per forza così» gli faccio notare.
«E invece sì, è così che deve andare. Me la toglierò dalla testa» dichiara, tornando in posizione eretta e schiacciando il mozzicone sotto la suona della sua scarpa.
Lo imito e mi piazzo davanti. «Hai solo paura di affezionarti troppo.»
Scuote la testa. «Scapperebbe come fanno tutti gli altri.»
«Io non sono scappato» preciso.
«Tu sei tu, c'è differenza» fa spallucce, come per sottolineare un'ovvietà, poi mi gira attorno e si dirige verso l'interno della sala.
«Non puoi saperlo se non ci provi» gli urlo dietro.
Lui mi mostra il dito medio.
Non serve aggiungere altro, sa già che manterrò il suo segreto.

La casa infestata non fa paura proprio per un cazzo, eppure le urla femminili non cessano neanche per un istante. Le mie orecchie supplicano pietà.
Quando supero la tenda e la scala a chiocciola, mi rendo conto che ho perso di vista i ragazzi, tra il buio e gli scherzetti, così continuo senza di loro. Li beccherò all'uscita.
Ma non è difficile individuare quel vestitino bianco, che brilla in modo esagerato per i miei gusti. La chioma bionda poi, mischiata all'aureola, rende tutto più evidente.
È aggrappata al braccio del suo ragazzo, che ha tradito meno di un'ora fa, con naturalezza. Questo mi fa dubitare delle sue intenzioni, perché se fosse pura come fa credere, avrebbe già preso le dovute distanze. Ma non lo fa. E se c'è una ragione, io voglio scoprirla.
Continuo a camminare dietro di lei, finché non si accorge della mia presenza, lanciando uno sguardo oltre la sua spalla.
La sua espressione cambia drasticamente e quando le faccio cenno di aspettarmi, chiede agli altri di andare avanti senza di lei. Mi raggiunge.
«Devi dirmi qualcosa?» domanda, con un filo di imbarazzo del tono di voce.
Mi stringo nelle spalle. «Non lo so, tu che dici?»
Si guarda attorno e si sporge verso di me. «Non è stato niente, anche se può sembrare il contrario» dice a bassa voce, per evitare che qualcuno ci senta.
Scuoto la testa e la fisso negli occhi. «Strano, perché credo che invece tu gli piaccia molto.»
Una risatina amara sfugge dalle sue labbra socchiuse. «Non credo proprio, sta solo giocando con me.»
«Ci vuole pazienza con lui» dico. Ed è la pura verità.
«Pazienza? A lui da fastidio vedermi con un altro solo perché non può più manipolarmi come vuole» ringhia.
Afferro il suo polso, quando si azzarda a darmi le spalle. «Lo conosco meglio di chiunque altro e credimi se ti dico che non puoi tenere due piedi in una scarpa, perché finirebbe molto male.»
Si divincola con prepotenza. «È stato chiaro, non può darmi ciò che voglio. Quindi è finita, ho chiuso con lui, Danny. Non preoccuparti.»
Scuoto la testa, esasperato.
Ho un brutto presentimento, riguardo tutta questa storia. Carter è la persona più possessiva che conosca, e se davvero c'è dentro fino al collo, ormai è tardi per tirarsi indietro. Finirà per esplodere e trascinare tutti a fondo con sé, in uno tsunami distruttivo.
Perché non sa controllare le sue emozioni, specialmente quelle troppo potenti. Ne è terrorizzato, completamente, ed è sempre stato così. Dopo tutto quello che ha passato, non posso neanche biasimarlo.
«Non capisci? Non ha mai provato nulla per nessuno, gli fai solo paura!» esplodo.
Lei rimane un attimo colpita dalle mie ultime parole, lascia ricadere le braccia lungo i fianchi e china il capo verso il basso. Poi rialza gli occhi su di me.
«Abbiamo finito?»
Sospiro. «Non dire che non ti ho avvertita.»

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