CAPITOLO DUE

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«Adeli. Adeli Russu. Un ci pozzu cridiri. Si davveru tu? Pari nna diva di Ollivúd.*»

Quella voce acuta e pimpante la risvegliò dallo stato di trance in cui era piombata.

Eleonora glielo diceva sempre: "Tu ogni tanto ti perdi. Un attimo prima ci sei, un attimo dopo no. Viaggi in lontane galassie diretta nel mondo di Adele".

Ed era vero.

Lei pensava troppo.

Si ridestò, poggiando la brioche ormai quasi finita sul piattino e, tenendo gli occhiali saldamente sulla testa, alzò lo sguardo mettendo a fuoco la persona che aveva davanti.

Subito gli angoli delle sue labbra si sollevarono, regalando un gran sorriso a quella vecchietta bassa e tarchiata, vestita rigorosamente di nero in segno di lutto per la morte del marito, avvenuta decenni prima.

Marcate rughe le segnavano il viso tutto butterato e i capelli, sempre in perfetto ordine, erano ormai di un bianco candido. Il tempo aveva lasciato tracce evidenti, ma Adele non poteva non riconoscere la signora Caterina; una volta era la sua vicina, quella le regalava le caramelle al latte e la cui casa era impregnata del forte odore di naftalina: la teneva nei cassetti, negli armadi e alla fine aveva infettato tutto.

Ad Adele piaceva molto la "Zza Rina", così la chiamavano a Monte Santo Spirito: era sempre gentile e a modo, ma sapeva anche essere una gran pettegola, conosceva tutto di tutti e ad Adele aveva dato prova della sua onniscienza in più di un'occasione.

Quando era stata operata all'anca, infatti, Adele era andata spesso a trovarla e durante quelle visite, davanti a un sacchetto di pistacchi di Bronte, Rina, vedova da anni e con tutti i figli residenti nel Nord Italia, la ripagava delle compagnia rivelandole i segreti più scabrosi delle famiglie Monte Santo Spirito e tutte le storie di adulteri e 'fuitine' dall'inizio del Novecento ai loro giorni. E le ore passavano così: con i gusci dei pistacchi che si accumulavano sul tavolo e la moglie di Tano che l'aveva tradito con il fruttivendolo nello stesso anno in cui lu ziu Caloiru che era andato in Canadà a travagghiari e sua figlia era scappata con il figlio del pescivendolo ed era rimasta incinta di due gemelli.

Adele si alzò in piedi e, senza pensarci due volte, abbracciò, sinceramente felice di vederla, la sua vecchia vicina di casa.

«Signora Rina, che piacere vederla. Come sta?» domandò staccandosi.

«E chi è 'stu parlari, pari nna professoressa. E chi mi duni del lei? Ti vitti crisciri iu. Sugnu sempri la zza Rina.*»

La ragazza rise di gusto e la invitò a sedersi, certa che l'avrebbe aggiornata  su tutto quello che si era persa in quegli anni.

Era ironico, ma Adele era davvero una professoressa, di italiano e latino.

Si era laureata in lettere classiche a venticinque anni e, grazie a un concorso, era riuscita a entrare di ruolo e a ottenere una cattedra in una cittadina a cinque minuti da Torino.

Le piaceva insegnare. Certo, aveva messo nel cassetto il suo sogno e lo aveva chiuso a chiave, però, in fondo, era soddisfatta: era autonoma e indipendente, viveva in un bel bilocale nella capitale piemontese insieme a sua cugina Eleonora e pagava regolarmente l'affitto, senza chiedere niente a nessuno.

«M'assettu sulu du minuti. Agghiri nni la dottoressa. Ti vitti assittata e dissi "Ma chissa veru Adeli, eni?". Si propriu beddra, sa? Beddra assai»* le disse Rina sedendosi al tavolo e asciugandosi il sudore con un fazzoletto di cotone.

«La trovo... cioè, ti trovo bene.»

Rina sorrise, un sorriso sghembo che metteva in risalto la sua fossetta sul mento.

Odio le favoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora