CAPITOLO OTTO

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📍 Sciacca (Ag)

«Mi dispiace tanto per stamattina comunque, non avevo il diritto di dirti quelle cose, anzi, per la verità non sono nella posizione di giudicare nessuno» dichiarò a un certo punto Federico, le mani strette sul volante e lo sguardo fisso davanti a lui sulla strada trafficata.

Non avevano più parlato di quanto era accaduto quella mattina; avevano pranzato normalmente con Cristina e Antoine, erano andati a prenotare le bomboniere e i confetti e avevano deciso, secondo un tacito accordo, di fare finta di niente.

Adele, infatti, rimase stupita nel sentir pronunciare quelle parole da Federico; suo cugino aveva esposto il suo punto di vista e ciò che più infastidiva Adele era quanto questo potesse essere vicino alla realtà. Per questo non aveva più tirato fuori l'argomento, per questo aveva sperato che Federico dimenticasse quella discussione, per non dover più prendere in considerazione quella prospettiva.

«No, beh... non importa, Fede, in fondo non avevi tutti i torti: devo smetterla di comportarmi come una ragazzina. Ma è tutto come prima? Tra noi dico...» gli chiese, giocando con l'orlo in pizzo del suo copricostume bianco.

Alla fine avevano deciso di andare al mare a San Giorgio, una spiaggia pubblica nei pressi di Sciacca, dove andavano tutti gli abitanti di quei piccoli paesini; a Monte Santo Spirito c'era una spiaggia, ma era tutta pietre, senza nemmeno un granello di sabbia.

«Certo, cherie.» Le diede una pacca sulla spalla, sorridendo, e lei si rilassò all'istante: ora più che mai aveva bisogno della spensieratezza contagiosa di suo cugino.

Dopo pranzo, un po' per aiutare Federico a uscire dalla scomoda situazione in cui si trovava, un po' per distrarsi e non ripensare alle dure parole che le aveva rivolto, aveva chiamato Gianluigi per chiedergli se per caso fosse a conoscenza di una qualche possibilità lavorativa in ambito economico lì a Torino. Uno sparo nel buio, forse, ma tanto valeva tentare, d'altronde il suo futuro marito aveva parecchie conoscenze nella capitale piemontese e infatti le aveva promesso che avrebbe fatto il possibile. In ogni caso ne avrebbe parlato con il diretto interessato solo in un secondo momento, non voleva di certo dargli false speranze.

Adele indossò gli occhiali da sole e appoggiò il braccio sul bordo del finestrino abbassato della Renault Captur azzurra.

Federico le lanciò un'occhiata fugace. «Lele, hai pensato a quello che ti ho detto una settimana fa? Ti ricordi di quel mio amico che voleva incontrarti?»

Adele, che stava canticchiando le note di La Cintura di Alvaro Soler, si girò verso di lui e si portò l'indice alle labbra, cercando di fare mente locale.

Suo cugino scosse la testa, rassegnato: «Rosario Palermo, Adele. Quello che canta con il suo gruppo tutte le sere nei locali di Sciacca» spiegò, continuando a guardare la strada per tentare di evitare le numerose buche presenti sull'asfalto.

Adele osservò le terre incolte, di un triste colore giallognolo, che, a causa del loro stato di completo abbandono e della siccità, che in estate non dava tregua ai contadini del meridione, sembravano paglia secca, arsa dal sole. Le vedeva scorrere veloci davanti ai suoi occhi seguite dagli appezzamenti ricchi di ulivi, mandorli e aranci: macchie verdi e gialle a colorare a intervalli regolari le colline che costeggiavano la strada verso il mare, come in un fotogramma.

Fertilità e vita da un lato, dall'altro solo aridità e desolazione, due volti della stessa medaglia: le due facce della Sicilia.

Distolse lo sguardo, incapace di sopportare la vista di un paesaggio che sembrava lo specchio della sua carriera, della sua vita. «Federico, pensavo che il discorso fosse chiuso. Non mi serve parlare con questo tuo amico. Mi sono divertita in passato a scrivere storielle strappalacrime, ma ora, dico davvero, non mi interessa più.»

Odio le favoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora