CAPITOLO VENTIQUATTRO

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📍 Monte Santo Spirito (Ag)
11 luglio 2018

-39 giorni

La luna piena l'aveva sempre affascinata, poteva restare imbambolata a guardarla per ore: la regina del cielo brillava solitaria offuscando le altre stelle, illuminando la notte, facendo compagnia a quanti, come lei in quel momento, erano soli.

Selene, così si chiamava la dea della luna nella mitologia greca, era la figlia di Iperione e Teia, sorella di Helios ed Eos, rispettivamente il sole e l'aurora. E Selene era il suo nome preferito, il nome che avrebbe voluto dare un giorno a sua figlia, perché le faceva venire in mente la grazia, l'eleganza e la bellezza; non era perfetta nemmeno la luna, tutt'altro, eppure restavano tutti incantati.

Chiuse gli occhi per un attimo e le vennero in mente dei versi:

"Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

Silenziosa luna?

Sorgi la sera, e vai,

Contemplando i deserti; indi ti posi."

Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia, Giacomo Leopardi: la definizione migliore di poesia che era riuscita a trovare in anni di studio e di insegnamento stava tutta nel nome del genio di Recanati.

"Già" pensò Adele "Che fai luna nel cielo?"

La guardò per un attimo e sorrise, Leopardi riusciva sempre a farla sorridere, lui che tanto odiava la vita, eppur te la fa amare, ed era vero, però Leopardi andava capito bene per rendersi conto di questo.

Era sdraiata nel terrazzo di casa sua, su una vecchia coperta trovata nell'armadio, che le pizzicava le gambe lasciate scoperte e le faceva sentire caldo, meglio comunque delle piastrelle sporche di polvere e cacca di piccione. La sua testa poggiava su un cuscino improvvisato, fatto da un ammasso informe di vestiti di quando era bambina; teneva ancora stretta tra le mani la sua copia di Anna Karenina, il celebre libro di Tolstoj, che da adolescente aveva impiegato un anno intero a terminare, mentre il suo cellulare, spento da ore, giaceva nella borsa buttata da qualche parte.

Era lì da tutto il pomeriggio: inizialmente si era immersa nella lettura, o per meglio dire rilettura, del suo libro, poi, quando il sole era tramontato, era stata privata anche dell'unica fonte di distrazione che l'aveva tenuta lontana dai suoi pensieri, o almeno in parte. Spesso, infatti, questi si erano comunque imposti prepotentemente nella sua mente, scacciando le parole di Tolstoj, e lei era stata costretta a rileggere lo stesso paragrafo almeno tre volte prima di poterlo assimilare.

Ora, invece, era completamente sola, sola con i suoi pensieri, che pesavano troppo, pesavano come le parole di Pietro. "Tu non vuoi sposare lui, tu non vuoi lui" e ancora "Non sei niente, anzi, la mia vita era più facile con te lontana, nella tua Torino del cazzo."

Le sue parole erano incoerenti, prive di senso, sputate con cattiveria, dettate da una rabbia che lei non riusciva a spiegarsi. Possibile che fosse geloso? Che dopo tutto quel tempo provasse ancora qualcosa per lei? O forse gli dava semplicemente fastidio che lei avesse trovato la felicità lontana da lui.

Probabilmente la stavano cercando. Era stata taciturna dalla discussione avuta con Pietro, di cui non aveva fatto parola con nessuno. Era andata a letto presto, si era alzata all'alba ed era andata a camminare sulla spiaggia, poi si era rifugiata in terrazza, con solo un pacchetto di patatine e il caffellatte di quella mattina nello stomaco.

Chi la conosceva, sapeva che era meglio lasciarla da sola, perché lei, quando voleva parlare con qualcuno, faceva in modo di farsi trovare, sempre.

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