Capitolo cinquantaquattro

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📍Monte Santo Spirito (Ag)
20 agosto 2018

-30 minuti

Era chiusa in quella stanza da ore, Marika e Lidia se ne erano andate da un pezzo, lasciandola sola con la sua immagine riflessa allo specchio.

L'aveva guardata a lungo, aveva guardato quello che avrebbe dovuto essere il ritratto di una sposa emozionata, magari un po' tesa, ma sicuramente felice; in effetti, grazie all'ottimo lavoro delle due ragazze, sembrava davvero una sposa, ma nemmeno un counturing perfetto poteva cancellare tutta l'angoscia che provava in quel momento.

L'abito bianco era adagiato sul letto matrimoniale, pronto per essere indossato, era lei che non era pronta, e non riusciva nemmeno a guardarlo, figuriamoci a indossarlo.

No, non poteva.

Non poteva uscire da quella casa al fianco di suo padre, percorrere la strada che separava la casa azzurra dei suoi nonni dalla chiesa, scortata da un corteo di amici e parenti, sotto gli sguardi attenti di tutti quelli che in occasione dei matrimoni si radunavano in piazza per discutere e valutare gli abiti degli invitati, quasi come se fosse un programma di Real Time.

Non poteva fare questo a Gianluigi: presentarsi all'altare e poi dirgli di no davanti ai suoi genitori, alla sua famiglia, era troppo.

Prese il cellulare e compose proprio il suo numero e ancora una volta a risponderle fu la segreteria.

Aveva anche provato a uscire di casa e andarlo a cercare di persona, al Bed and Breakfast vicino a Sciacca, in cui in quei giorni alloggiava la sua famiglia, ma Susanna si era messa a guardia della porta principale e anche quando aveva rubato le chiavi della macchina ed era riuscita a sgattaiolare passando dal giardino sul retro, in cinque minuti se le era trovata alle spalle, neanche fosse stata il secondino di un carcere.

Il ticchettio snervante delle lancette dell'orologio appeso alla parete era la colonna sonora perfetta di quella lenta e lunga agonia: a ogni rintocco un granellino di sabbia scivolava giù, ammucchiandosi insieme agli altri dall'altra parte della clessidra, un secondo in meno a disposizione per risolvere tutto, un secondo in più bloccata tra quelle quattro mura.

Il tempo quell'estate sembrava quasi essersi preso gioco di lei: prima era avanzato lentamente, a piccoli passi, poi, come il peggiore dei codardi, l'aveva colpita alle spalle, cogliendola impreparata.

Erano le tre e mezza, mancavano trenta minuti e Gianluigi non rispondeva al cellulare. Mancavano trenta minuti e sotto quei quattro numeri sul display del cellulare campeggiava la scritta: Pietro, 1 chiamata persa.

Non aveva risposto. Che cosa avrebbe dovuto dirgli?

'Mia suocera mi tiene in ostaggio e non mi permette di andare a parlare con suo figlio che, tra l'altro, sono due ore che non mi risponde'?

Non poteva crederci nemmeno lei, eppure era la verità.

Dopo due mesi passati tra i dubbi e le incertezze, ora che sapeva esattamente cosa doveva fare, era bloccata lì, imprigionata nella stanza dove da piccola giocava con Eleonora e Federico; paradossalmente la sua cella era il luogo che vedeva conservati alcuni dei suoi ricordi più belli.

Il cigolio della porta le fece alzare gli occhi di scatto, ma il barlume di speranza si spense subito: era Susanna, forse era venuta a portarle da mangiare proprio come si fa con i carcerati.

-Adele, ma che ci fai ancora così? Devi vestirti subito, che cosa stai aspettando. Devi...-

Un colpo di tosse la interruppe: due occhi verdi, contornati da rughe, e un sorriso caldo e rassicurante fecero capolino nella stanza.

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