CAPITOLO DICIASSETTE

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📍 Monte Santo Spirito (Ag)

Estate 1998

20 anni prima...


«Va bene, bimbi, tutti pronti? Tre, due, uno...» L'animatrice allontanò il megafono dalla bocca e fece partire la musica, con due colpi ben assestati allo stereo.

Una quarantina di bambini, dai cinque ai tredici anni, erano radunati in cerchio al centro della piazza, proprio di fronte al municipio; tre elementi li accomunavano: la maglietta bianca decorata con le tempere il primo giorno, le ginocchia sbucciate e i volti sorridenti sporchi di nutella, malgrado il caldo e malgrado la stanchezza, dovuta alla caccia al tesoro per tutto il paese di quella mattina.

Il "Grest", così chiamavano l'oratorio estivo da quelle parti, era ormai giunto alla fine e quell'ultimo pomeriggio gli animatori, stanchi di correre dietro ai bambini e di urlare per farsi sentire, avevano optato per un gioco facile facile, che non prevedeva corse, sgambetti e, così speravano, litigate furiose. Il gioco consisteva nel passarsi una palla di spugna arancione e, alla fine, quando la musica si fermava, al bambino che se la ritrovava tra le mani toccava una penitenza.

Nel momento esatto in cui Marta, l'animatrice con le trecce castane e gli occhiali tondi, stoppò la canzone, la palla arrivò ad Adele. La bambina la guardò un po' incerta e poi alzò lo sguardo verso Daniele che, seduto al centro del cerchio, stabiliva le penitenze.

«Allora... cosa facciamo fare ad Adele?» pensò il ragazzo ad alta voce, con le mani poggiate dietro la schiena e gli occhi al cielo.

Un coro uniforme si levò chiaramente: tutti i bambini urlavano insieme "Bacio, bacio", battendo le mani sulle piastrelle lisce, decorate con i gessetti.

Forse qualche anno dopo non l'avrebbero pensata nello stesso modo, ma, a quell'età, loro vedevano l'amore come una "cosa da grandi", imbarazzante per certi versi e un bacio, specie se davanti a tutti, era vista come la peggiore delle punizioni, di quelle che ti fanno vergognare così tanto che vorresti sprofondare.

«E va bene, per questa volta vi accontento. Adele, hai un fidanzatino?» le chiese Daniele, abbassandosi alla sua altezza, e le scompigliò i capelli, con un sorriso divertito.

La bambina scosse la testa, impacciata.

«Peccato. Va bene, allora vediamo un po' chi ti facciamo baciare.» Daniele si sistemò gli occhiali sul naso e si accarezzò la barbetta appena accennata, lo sguardo che si posava su ogni bambino, alla ricerca del candidato ideale.

Adele si alzò pacatamente da terra, in attesa del nome, dell'esito della sua condanna, le mani unite dietro la schiena e lo sguardo rivolto alle sue scarpe da tennis sporche di vernice gialla, il colore della sua squadra.

Daniele girò su se stesso un paio di volte e poi il suo dito puntò Manuel, un bambino biondo, con gli occhioni azzurri e lo sguardo angelico; lui diventò subito paonazzo e si nascose la testa tra le gambe, scuotendola ripetutamente, mentre gli altri avevano già cominciato a ridacchiare e a intonare cori che prevedevano rime con "Adele e Manuel".

«Ma come?» esclamò Daniele, con una mano tra i capelli neri tenuti a bada con il gel. «Una bella bambina come lei non vuoi baciare? Da grande te ne pentirai, Manuel. Ascuta a mia

«Carpe diem» gli fece eco Marta.

Pietro, che era seduto accanto ad Adele, alzò un sopracciglio, confuso, «Capre cosa?»

Tutti gli animatori si misero a ridere, tra occhiate eloquenti e battutine appena sussurrate. Si stavano divertendo tantissimo a mettere in imbarazzo i "loro" bambini, la consideravano una sorta di rivincita per quelle settimane estenuanti, in cui quei piccoli diavoletti travestiti da angeli li avevano fatti impazzire.

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