CAPITOLO VENTISETTE

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📍 Monte Santo Spirito (Ag)
15 luglio 2018

-35 giorni

Il giorno della finale del Mondiale era sempre un evento a Monte Santo Spirito: i bambini lì crescevano giocando a pallone per le strade impolverate, scambiandosi le figurine Panini e sognando di diventare dei campioni. La maggior parte degli abitanti amava il calcio, donne e uomini indistintamente, e anche coloro che non avevano la minima idea di come fosse fatto un pallone, in quelle occasioni, si facevano trascinare dall'entusiasmo collettivo.

Adele ricordava bene l'estate del 2006: i tricolori sbiaditi che sventolavano dai balconi, le voci che si univano in una sola cantando a memoria l'inno e ancora le grida, le bestemmie, gli insulti urlati contro gli arbitri, che erano sempre e comunque tutti "figli di so ma". Ricordava anche le conversazioni sotto l'ombrellone il giorno dopo la partita, le cene consumate in fretta, perché poi si doveva correre dal vicino con la televisione più grande. Ricordava i preparativi del pomeriggio del nove luglio: le sedie di plastica messe una accanto all'altra davanti al portone e i televisori trasportati fuori di casa perché dentro faceva troppo caldo. E poi la gioia, gli abbracci dati a persone che salutavi a malapena, i giri in macchina suonando il clacson. Una notte infinita che nessuno voleva far terminare.

Il Mondiale 2018, invece, aveva avuto un sapore diverso, perché l'Italia non c'era e certe emozioni chissà quando si sarebbero vissute di nuovo. Però, la malinconia era presto passata, soprattutto dopo l'eliminazione della Germania, e alla fine ognuno aveva sostenuto la propria beniamina. Ed ora era il giorno della finale, Francia contro Croazia, una delle due avrebbe presto alzato la coppa che dodici anni prima aveva fatto sorridere milioni di italiani.

Adele versò le patatine dentro la ciotola, svuotando tutto il sacchetto formato famiglia. A lei il calcio nemmeno piaceva, lo trovava noioso, troppo lento e monotono, e proprio non riusciva a spiegarsi come riuscisse a tenere incollate allo schermo milioni di persone in tutto il mondo. Secondo Federico trasmetteva emozioni uniche e inspiegabili, ma forse lei e suo cugino avevano una concezione diversa della parola "emozione".

Da piccola anche lei passava intere estati a rincorrere il pallone, facendo a spallate con gli altri bambini, sbucciandosi le ginocchia un giorno sì e l'altro pure, e si divertiva anche, ma un conto era giocare, un altro guardarlo in televisione. Eppure, perfino lei, che a una partita in televisione preferiva un documentario sui coleotteri, durante il mondiale veniva inevitabilmente contagiata dall'entusiasmo generale, soprattutto se durante l'evento si trovava in Sicilia, perché lì era davvero impossibile far finta di niente.

Appoggiò i palmi sul tavolo della cucina, fissando il vetro opaco della porta scorrevole, che dava sul salotto, ma senza vederlo davvero. Erano stati giorni strani, per lei, quelli: la discussione con Pietro aveva, inaspettatamente, riportato alla luce quel segreto, la ferita peggiore che si portava dentro, quella che faceva più male in assoluto, quella che mai, nemmeno con gli anni, si sarebbe rimarginata del tutto.

Non puoi cancellare il dolore, ma puoi imparare a conviverci ed era quello che aveva fatto lei: si era abituata.

Ma ora, dopo quanto successo a Belvedere, il ricordo di quel venticinque settembre si era fatto più vivido che mai; la tormentava costantemente, come non succedeva da tempo e davanti agli occhi continuavano, senza freno, a scorrerle i fotogrammi di quello che era stato uno dei giorni più brutti della sua vita. Poteva ancora sentire l'odore della vernice fresca e il cigolio delle sue nuove Dr. Martens mentre correva sulle scale per raggiungere l'aula giusta, cercando di ignorare il chiacchiericcio degli studenti e ripassando mentalmente l'ultimo capitolo del volume sulla Didattica della lingua latina, quello su cui aveva rovesciato il caffè la notte prima. Doveva dare un esame quel giorno, un esame per cui non si era affatto preparata. Le occhiaie violacee e i capelli arruffati e sporchi erano prove più che convincenti delle sue recenti nottate passate sui libri ed era pure in ritardo. Era arrivata a metà dell'ultima rampa quando la testa aveva preso a girarle: calo di zuccheri, aveva pensato sul momento, ma poi tutto intorno a lei era diventato sempre più sfocato, come se sui suoi occhi fosse calata una patina invisibile. Un attimo di confusione, di paura e poi il vuoto, il buio, il profondo nero l'aveva avvolta tutta, l'eco di un grido strozzato che ancora le rimbombava nelle orecchie.

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