Capitolo quarantotto

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📍Monte Santo Spirito (Ag)
11 agosto 2018

-8 giorni

Adele si sedette con un sbuffo irritato, gettò la sua borsa sul tavolo e, senza nemmeno salutare Rosario, avvicinò alle labbra il solito drink analcolico, bevendone metà tutta in un sorso.

«Hai per caso incontrato un'infinita fila di cammelli nella strada di ritorno dal Sahara?» commentò Rosario con un sopracciglio sollevato, poi diede uno sguardo all'orologio al polso e si lasciò andare a un sorriso vittorioso, «Sei in ritardo».

Adele si passò il dorso della mano sulle labbra e fece un bel respiro: «Peggio, molto peggio dei cammelli», esclamò indicando la porta, «Sono pazzi, tutti quanti che suonavano quel maledetto clacson, mi hanno fatto venire il mal di testa. E poi dove vanno tutti che si muore di caldo? E perché diavolo fa così caldo?»

Lui alzò appena le spalle: «Sono le quattro del pomeriggio dell'undici di agosto, in Sicilia. E secondo Studio Aperto è l'estate più calda degli ultimi vent'anni. Davvero non mi spiego perché non ci sia la neve fuori.»

Lei fece una smorfia: «Il sarcasmo non ti sta bene, riccio. Ma quell'orologio, sì. Nuovo?»

«L'ultima volta mi hai rifilato quella schifezza zuccherata, ricordi?» le chiese retorico, sorseggiando la sua birra e deglutendo soddisfatto, «Non volevo correre il rischio di arrivare di nuovo tardi... Tu? Novità?»

Adele annuì, lo sguardo basso, concentrato su una particolare venatura del tavolino, che sembrava comporre un albero, un salice piangente, forse. «Sono riuscita a scrivere qualcosa, cioè... un foglio pieno di parole e frasi confuse perlopiù.»

Rosario sorrise, in quel suo modo caldo e rassicurante, che aveva lo stesso effetto di un abbraccio o di una carezza sul viso. «È un buon inizio, perché non ne sei felice? Almeno un po'? Non era questo che volevi?»

Lei si portò una mano alla bocca. Non ci aveva realmente pensato. Era successo e basta: aveva visto un foglio e ci aveva scritto le ultime modifiche sulla disposizione dei tavoli da mandare al ristorante, dopo che una qualche zia di sua madre, con figli compresi, aveva declinato l'invito. Da lì, si era susseguite parole che non c'entravano nulla con il suo albero genealogico né con i rancori di sua zia Melina verso sua nonna, e poi erano diventate frasi e alla fine aveva riempito tutta la facciata dietro. «Io... sì, ma non sopporto il caldo o il rumore del clacson e tantomeno mi piace il traffico. Beh... e poi ho parlato con Pietro di-di tutto. Credevo che così avrei chiuso i conti con il passato, con lui, che sarei riuscita ad andare finalmente avanti e concentrarmi sulle nozze imminenti.»

«E invece?»

«E invece mi improvviso Joyce dei poveri e riempio il foglio della disposizione dei tavoli di frasi, senza punteggiatura, senza niente. Un flusso di coscienza dopo anni che non riuscivo nemmeno a scrivere una di quelle fanfiction che si trovano online». Ammise Adele e tirò fuori dalla borsa un foglio fitto di parole, che non riuscivano quasi a distinguersi per quanto erano appiccicate tra loro, come a voler riempire il vuoto, in preda a horror vacui.

Lui si portò l'indice alle labbra, pensieroso. Rinunciò fin da subito a leggere il foglio di Adele, ben consapevole che non poteva essere decifrato da altri occhi che non fossero quelli della Joyce dei poveri. «Hai detto di aver svelato una parte importante del tuo passato, una parte che tenevi ben nascosta: magari era il peso di questo segreto a bloccare la tua mente e ora che te ne sei privata forse-».

Adele lo bloccò subito, riprendendosi il foglio, non che avesse davvero sperato che Rosario riuscisse a leggerlo, figurarsi capirlo. «Ma non me ne sono liberata: è ancora lì, solo che adesso lo sa anche Pietro. L'ho condiviso con lui, perché meritava di saperlo, ma invece di lasciarmi tutto alle spalle, è come se fossimo ancora più uniti.»

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