Capitolo trentacinque

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📍Monte Santo Spirito (Ag)
28 luglio 2018

-22 giorni

«Adele! Qual buon vento» la salutò allegro Rosario, mentre prendeva posto al loro solito tavolo, dove lei lo stava aspettando.

«Ho già ordinato» ribatté Adele acida e ammiccò verso i bicchieri davanti a loro.

«Lo vedo e noto anche che sei di buon umore» disse lui ironico, allungando una mano verso la birra.

Lei lo fermò. «No, quella è mia. Questo, invece, è tuo, ti piace la papaia?» chiese con sguardo innocente, passandogli l'analcolico alla frutta.

Rosario fissò il suo drink, un sopracciglio sollevato e una smorfia sul viso. «Cos'è questo intruglio? Non sono mica malato.»

Adele annuì, compiaciuta della situazione. «Oh, lo so, ma non vorrai metterti alla guida dopo aver bevuto, no?» Si portò il boccale alla bocca e sorseggiò la sua birra, leccandosi poi le labbra, soddisfatta, sotto lo sguardo attonito dell'amico.

«E perché dovrei mettermi alla guida?» insistette lui, lanciando occhiate a metà tra il preoccupato e il nauseato alla bevanda di colore arancione, neanche fosse una pozione potenzialmente letale.

«Per riaccompagnarmi a casa naturalmente.»

«E, di grazia, quando lo avremmo deciso?» chiese Rosario retorico, quasi divertito da quella situazione.

Adele sembrava aspettare quella domanda e impaziente di rispondere. «Direi nei trenta minuti che ho passato qui ad aspettarti. Magari così impari a essere puntuale.»

Lui sollevò il boccale con un sorriso, come a voler brindare in suo onore. «Touché». Buttò giù il primo sorso e arricciò il naso, le labbra piegate in una smorfia, «Allora... passiamo al motivo per cui sei qui?»

Lei annuì ed eliminò la schiuma in eccesso sulle labbra, passandovi il dorso della mano. «In queste due settimane ho stracciato e appallottolato trecento fogli. Gli alberi e gli ambientalisti staranno progettando un attentato alla mia persona. Però, all'improvviso, ecco che qualche sera fa scrivo questo.» Tirò fuori dalla borsa un foglio scritto da entrambi i lati, con qualche cancellatura qua e là. «È il testo di una vecchia canzone.»

Lui annuì e si sfregò le mani, come se fosse stato un matematico a cui viene illustrato il grafico di una funzione oppure un critico d'arte che deve determinare se un quadro sia un falso o un originale. La musica era il suo campo, il suo habitat naturale, il suo modo di essere.

Adele glielo passò e, immaginando che a Rosario servissero un paio di minuti per leggere il brano e trarne una teoria o comunque una massima poetica sul senso della vita, si diede un'occhiata intorno, alla ricerca della band autrice del brano.

Non ci mise molto a individuarla: una foto dai toni freddi dietro il vetro di una cornice impolverata, appesa proprio nel muro di fronte al loro, accanto al primo album dei Linkin Park. La cantante degli Evanescence, che occupava gran parte dell'immagine, teneva il microfono con entrambi le mani: gli occhi chiusi e i capelli elettrici che le ricadevano sul viso. Trasmetteva disperazione e al tempo stesso serenità e soprattutto un senso di abbandono completo alla musica: quasi come se la sua anima fosse fusa, saldata con quelle note, sospesa sopra di lei.

Un momento catartico, quello in cui l'anima dell'artista si purifica, liberandosi da paure, ansie e timori, facendo venire a galla la sua parte più umbratile. Lei conosceva bene quella sensazione: la provava tutte le volte che scriveva. Si perdeva nel labirinto intricato di parole, di immagini dapprima sfocate, che diventavano via via più nitide, fino a farla dubitare se quella fosse finzione o realtà.

Odio le favoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora