CAPITOLO VENTITRE'

2.7K 191 19
                                    

📍 Monte Santo Spirito (Ag)
10 luglio 2018

-40 giorni

I muscoli tesi, le sopracciglia abbassate, le labbra pressate, ridotte a una sottile linea, gli occhi fissi su di lei e le mani chiuse a pugno: era arrabbiato, anzi, era proprio furioso.

Lei era in piedi, a pochi passi da lui, in attesa che dicesse qualcosa, che magari le spiegasse il motivo per cui aveva chiesto di vederla con urgenza a Belvedere, nel loro posto.

«Che cazzo significa?» urlò Pietro, tirando fuori dalla tasca dei jeans un cartoncino bianco tutto piegato e malmesso, che Adele riconobbe come l'invito al suo matrimonio.

La ragazza piegò la testa, senza capire, e lui rise, una risata amara, quasi spettrale, di quelle che mettono i brividi.

Perché aveva in mano quel biglietto? E soprattutto perché era così arrabbiato?

Adele aveva detto a sua cugina di spedirlo svariati giorni prima, anzi, pensava che gli fosse arrivato già da un po' e che il suo silenzio valesse come risposta positiva. Evidentemente si era sbagliata. Lo guardò senza dire niente, gli occhi sgranati, sollevando le spalle e riabbassandole, perché davvero non capiva quale fosse il problema. Erano amici, o almeno stavano provando a esserlo, e quello era un segno di pace, un po' come le conchiglie quando erano piccoli.

Pietro fece un passo verso di lei, mettendogli l'invito davanti agli occhi, a un centimetro dal suo viso, «L'ho trovato tra la pubblicità questa mattina, per puro caso, non so nemmeno come sia finito lì in mezzo, ma sinceramente non mi interessa. Mi dici che minchia significa questo invito?» Questa volta parlò piano, perforandola con lo sguardo, come a volersi prendere la risposta con la forza, strappandogliela a morsi da quelle labbra serrate.

«Non significa niente, pensavo che, dato che siamo amici-».

Lui scoppiò a ridere di nuovo, interrompendola. Adele odiava quando rideva così e odiava quella mancanza di spiegazioni: si sentiva sotto accusa, quasi in colpa per qualcosa che ignorava di aver fatto e da cui non aveva la più pallida idea di come difendersi.

«Me lo ricordo quando i tuoi inviti sono arrivati in paese, sai. Svariati mesi fa. Mi ricordo anche quello che è stato recapitato a casa mia, c'era scritto: "I signori Provenzano e la signorina Irene sono gentilmente..." e poi un mucchio di stronzate. Avevo capito. Ti ho capito. Ho capito che non mi volevi al tuo matrimonio. Era esplicito e andava bene, perché ne avevi tutto il diritto e perché nemmeno io morivo dalla voglia di esserci.»

Adele annuì, lo sguardo vigile sul volto di lui, come a studiarne ogni cambiamento. «Infatti, ma ora è diverso, ora-».

Lui fece un movimento con la mano, colpendo l'aria, «Ora è lo stesso, Adele. Allora qual è il senso di questa cartaccia? Che minchia è, una presa per il culo? Una vendetta? Non ti bastava sposarti qui, vuoi proprio sbattermelo in faccia, eh?!»

Lei rimase immobile, la bocca dischiusa e gli occhi fissi sull'invito: non sapeva proprio cosa rispondergli. Stava esagerando e montando su un processo per nulla: non era una presa in giro, solo un modo di mettere una pietra sopra il passato. «No, assolutamente no. Pensavo che le cose fossero cambiate, pensavo fossimo amici.»

Pietro rise, di nuovo quella risata fredda, per nulla allegra, e Adele, infastidita e stufa di quell'atteggiamento, lo spintonò leggermente, «Smettila», un altro spintone, «di», lui rise più forte, «ridere.»

«E tu smettila di sparare minchiate. Noi non siamo amici, non potremo mai essere amici. E io di sicuro non voglio un posto in prima fila per assistere al finale della tua favoletta del cazzo.»

Odio le favoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora