Capitolo trentanove

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📍Monte Santo Spirito  (Ag)
29 luglio 2018

-21 giorni


«Ti ho già detto che sei bellissima stasera?»

Veronica rise, portandosi i capelli perfettamente piastrati dietro le spalle, lasciate scoperte da un vestitino rosso attillato. «Sì, direi almeno dieci volte.» Era raggiante quella sera: gli occhi, messi in risalto da una spessa linea di eyeliner, brillavano come due smeraldi colpiti da un fascio di luce, illuminandole il viso ovale, accuratamente incipriato.

«Facciamo undici allora: sei stupenda.» Pietro non riusciva a smettere di guardarla ammaliato: aveva un'eleganza e una raffinatezza innate e anche con un gesto banale, come aprire il tovagliolo bianco di cotone per poi adagiarlo sulle cosce, riusciva a farlo sentire il più rozzo dei villani al cospetto della regina d'Inghilterra.

«Piano, Provenzano. Non bastano i complimenti per fare breccia nel cuore di questa donna. Però forse l'alcol può venirti incontro.» Veronica prese la bottiglia di vino rosso al centro del tavolo e, con estrema lentezza, riempì i due calici. «Allora, lo facciamo un brindisi?

Lui scosse la testa divertito, quasi aspettandosi di vederle sollevare il mignolino. «Certo. Al tuo progetto e all'architetto più in gamba che conosca.»

Veronica piegò le labbra in una smorfia adorabile. «Probabilmente l'unico che conosci, ma d'accordo, le adulazioni non hanno mai ucciso nessuno, dopotutto. Io, però, voglio brindare ai nuovi inizi.»

«E così sia. Ai nuovi inizi». Pietro fece scontrare i due bicchieri, lasciando che quel thwok si perdesse nel chiacchiericcio generale, e sorseggiò la bevanda, a parer suo, eccessivamente dolce. «Verò, non ti offendere, ma la prossima volta lo scelgo io» affermò con un sorriso, ossigenando il vino con fare da somelier esperto, come vedeva spesso fare in tv in quei programmi di cucina che sua madre seguiva ossessivamente.

Veronica, però, non l'aveva nemmeno ascoltato, troppo concentrata a fissare un punto oltre la sua spalla, il calice ancora pieno a sfiorarle appena le labbra. «Ehi, ma quella non è Adele?»

Pietro, all'udire quel nome pronunciato dalla sua ragazza, per poco non si strozzava. Non che fosse particolarmente strano che Adele di domenica sera cenasse nella sua pizzeria preferita e ci aveva anche pensato che forse magari probabilmente si sarebbero potuti incontrare lì, ma un conto era il "forse magari probabilmente" un altro era il "qui e adesso", per quello non era decisamente pronto. Buttò giù uno dopo l'altro due bicchieri d'acqua per calmare la tosse improvvisa e, premendo il tovagliolo sulla bocca, si voltò di scatto.

Per un attimo aveva sperato che Veronica si fosse sbagliata, ma sì, era proprio lei: in piedi, davanti alla porta d'ingresso della pizzeria, avvolta in un abitino rosa cipria, che le arrivava fin sopra il ginocchio e si abbinava perfettamente a un paio tacchi vertiginosi. Due ciocche ondulate, sfuggite alla coda di cavallo, si muovevano tutte le volte che annuiva al cameriere, coprendole in parte gli occhi.

Adele, quasi come se avesse sentito lo sguardo di Pietro bruciarle la pelle, nell'istante immediatamente successivo, cercò, sicura di trovarle, due iridi dello stesso colore del mare di notte. "Voi che per li occhi mi passaste il core" diceva Cavalcanti e il poeta stilnovista aveva proprio ragione, perché certi sguardi ti trafiggono proprio lì: in alto a sinistra, e lì restano, anche con il passare degli anni. Per questo lei li aveva sentiti, prima ancora di scorgerlo, prima di rendersi conto che lui la stesse fissando, quegli occhi, lei li aveva sentiti.

Era successo di nuovo, come tutte le altre volte: mentre intorno a loro il tempo continuava a scorrere, il mondo a girare e la gente a mangiare la pizza e ridere, loro erano bloccati in un fermo immagine.

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