CAPITOLO DIECI

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📍 Sciacca (Ag)
25 giugno 2018

-55 giorni

«Qual è la tua storia?» le chiese il ragazzo di fronte a lei.

Erano seduti da qualche minuto e, dopo le presentazioni iniziali, nessuno aveva più proferito parola, lasciando che un silenzio imbarazzante si insinuasse tra di loro. L'atmosfera sembrava quella di un primo appuntamento: la rigidità dei movimenti, le labbra serrate in un sorriso di circostanza per paura di dire qualcosa di stupido; estranei che si studiavano attentamente per cercare di stabilire quanto poter rivelare di se stessi, se affondare colpi decisi o rimanere sul vago, sperando che prima o poi saltasse fuori un argomento in comune a cui aggrapparsi per far passare la serata.

«Scusami?» Adele, intenta a giocare con la cannuccia del suo analcolico alla frutta, alzò lo sguardo verso di lui e trovò due occhi neri, profondi, contornati da marcate occhiaie, puntati su di lei.

La stava scrutando con un sorriso storto, passandosi di tanto in tanto una mano tra i ricci neri, che gli coprivano per intero la fronte, lasciando appena intravedere un piercing sul sopracciglio.

Federico le aveva accennato che il suo amico, Rosario Palermo, faceva il musicista e, in effetti, quel tipo lo sembrava proprio: l'aria stanca di chi è rimasto sveglio chissà quante notti per finire di scrivere un pezzo, lo scintillio negli occhi di chi sente melodie e note laddove per gli altri c'è solo rumore, l'atteggiamento sicuro e spavaldo di chi, la vita, non ha paura di afferrarla, di stringerla forte fino a farle trasudare lacrime d'inchiostro su pentagrammi sciupati e scarabocchiati sui bordi.

«La tua storia» ripetè Rosario, «Tutti ne hanno una.» Alzò le spalle e buttò giù ciò che restava del suo gin tonic.

«Beh, allora, la mia è banale». Adele disse la prima cosa che le era venuta in mente, senza pensarci troppo. Aveva scelto di non affondare il colpo, ma di restare sul vago, per il momento.

Quel tizio l'aveva fatta aspettare un'ora sotto il sole cocente, davanti a quel locale lontano dal centro di Sciacca, portando come unica scusa un'ispirazione fulminea che l'aveva costretto a finire di scrivere un pezzo prima che si esaurisse l'effetto e la lampadina, accesasi magicamente, si spegnesse di nuovo. Lei aveva annuito scocciata e non era tanto infastidita dal ritardo, certo, durante quei lunghi sessanta minuti l'aveva maledetto in tutte le lingue a lei conosciute ed era stata tentata di andarsene, però, no, la cosa che maggiormente l'aveva irritata era l'invidia che aveva provato di fronte al suo sguardo euforico. Era la stessa euforia di quando lei finiva di scrivere un capitolo, la stessa euforia che non provava da tanto, troppo tempo. E dopo anni, quel tizio, a cui sembrava che il sole gli fosse esploso sul viso, le aveva ricordato com'era sentirsi così, come se potessi fare qualsiasi cosa.

«Impossibile. Nessuna storia lo è.»

«Mi fai sentire il pezzo?» Se Rosario avesse deciso di condividere con lei una parte di sé, allora Adele avrebbe potuto considerare l'idea di aprirsi con lui.

«Credevo fossimo qui per parlare di te».

«Beh... prima devo stabilire se è valso la pena aspettare. Mio cugino dice che sei bravo, per quel che ne so io, però, potresti essere un musicista da strapazzo, oltre che, naturalmente, ritardatario.»

Rosario si alzò e appoggiò i palmi sul tavolo, sporgendosi leggermente in avanti: «Io sono di sicuro un musicista da strapazzo.» Senza aggiungere altro si diresse verso il palco: una piattaforma di assi di legno rialzata, con gli strumenti già messi in posizione. Si accovacciò accanto alla chitarra e la accarezzò quasi come se fosse una madre che saluta il proprio figlio, prima di iniziare a strimpellare, probabilmente per accordarla.

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