Capitolo trentasette

2.7K 146 14
                                    

Torino, 7 gennaio 2005

Caro Federico,

Volevo ringraziarti per essermi stato accanto in questi giorni: con la tua faccia da schiaffi e il tuo sorriso contagioso, hai reso meno brutte queste vacanze di Natale.

Dopo quattro mesi di silenzio non mi aspettavo niente di diverso; speravo, però, che almeno mi salutasse. Anche un freddo "ciao" sarebbe stato meglio di vederlo tirare dritto, neanche fossi trasparente, ridendo come un cretino con quella. È stata dura non parlargli, è stato strano non giocare insieme a tombola la sera o non contare alla rovescia in attesa del nuovo anno, ma immagino che dovrò abituarmi.

Sono stata tentata un sacco di volte di andare da lui e affrontarlo. Grazie di avermi fermata, di avermi impedito di rendermi ancora più ridicola. Grazie per aver tentato di strapparmi un sorriso e per tutto quello che hai fatto per me, in fondo non sei così male come cugino (va bene, te lo concedo, quando non ti mangi tutti i cannoli sei il migliore in assoluto).

Detesto ammetterlo, ma la verità è che mi manca da morire e vederlo insieme ad Antonella mi ha ferito: non perché io sia gelosa, cioè forse un po' sì, ma principalmente mi sento sostituita. Credevo che saremmo stati amici per sempre, invece, ora sono solo una qualunque, anzi, una da evitare. E quel che è peggio è che io, nonostante tutto, non so se sono capace di smettere di volergli bene.

Okay, adesso la finisco, direi che mi hai sopportato abbastanza quando ero giù.

Credo proprio che andrò a fare i compiti, devo ancora tradurre tre versioni di latino e non mi ricordo nemmeno la prima declinazione. Prega per me, se lunedì quella mi interroga, la mia media colerà a picco come il Titanic. Però, non ci sarà nessun Leonardo DiCaprio a saltare con me.

Ti voglio bene, Fede.

Vienimi a trovare per le vacanze di Carnevale, ho davvero tanto bisogno del mio fratellone.

Tua Adele


📍Monte Santo Spirito (Ag)

Estate 2005

13 anni prima 

"Dice che hanno una casa proprio in riva al mare, con tanto di campo da tennis e tutto quanto, ma l'ho ringraziata e basta, dicendole che andavo in Sudamerica con mia nonna. Che come balla era notevole, visto che mia nonna a malapena esce di casa, e comunque solo per andare a qualche stupida matinée o non so dove. Ma quello stronzo di Morrow non lo andrei a trovare per tutto l'oro del mondo, nemmeno fossi alla disperazione."

Girò la pagina delicatamente, accarezzandola e respirando l'odore buono del suo nuovo libro.

Lo aveva comprato quella mattina, nella libreria di fronte allo spiazzale dove organizzavano il mercato tutti i martedì e giovedì. Mentre sua nonna era intenta a contrattare il prezzo di un paio di orribili sandali pieni di paillettes argento, lei, accaldata, con i piedi doloranti e il rimorso di non essere rimasta a casa davanti al ventilatore, si era allontanata da quell'accozzaglia di odori, voci e colori, rifugiandosi nel solo posto in cui poteva trovare la magia.

Aveva vagato tra gli scaffali per un tempo illimitato, scorrendo titoli su titoli, accarezzando i dorsi e le copertine, aspirando il profumo delle pagine, finché non l'aveva visto: un anonimo volume di un bianco intenso, quasi accecante, in cui a lei pareva di scorgere un numero infinito di sfumature: Il giovane Holden.

Sessantanove pagine e otto capitoli dopo, era lì: sotto la tettoia di legno della veranda dei suoi zii, completamente immersa in una storia che non poteva essere più diversa dalla sua e che pure sentiva propria. E più leggeva, più le sembrava di conoscere questo Holden da sempre, più leggeva e più lo capiva e avrebbe voluto entrare in quelle pagine sature di inchiostro e urlarglielo "So perfettamente come ti senti".

Odio le favoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora