Capitolo quarantasei

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📍Monte Santo Spirito (Ag)
7 agosto 2018

-12 giorni

Quando andava al liceo, Adele teneva sempre un quaderno sul comodino e un bloc-notes nello zaino, perché l'ispirazione arrivava quando meno se l'aspettava e lei doveva farsi trovare pronta: doveva scrivere, anche nel cuore della notte, seguire il filo di Arianna in quel labirinto pieno di vicoli ciechi e avvolgerlo tutto così da dare forma e ordine all'astratta confusione nella sua mente.

Il profumo dell'inchiostro e della carta la facevano sentire invincibile: brandiva la penna in mano quasi come se fosse Excalibur e lei l'impavida eroina che era riuscita a estrarla dalla roccia.

Penna e spada, in fondo, sono due armi in egual modo: feriscono entrambe ed entrambe conferiscono a chi ne è in possesso potere, anche se in modo diverso.

E lei scriveva e scriveva, calcando forte, incidendo ogni lettera; non si fermava neanche quando l'orologio segnava le tre di notte, perché era consapevole di non poter rimandare. La mattina dopo, infatti, bastava anche solo cambiare l'ordine dei termini oppure, ancora peggio, usare sinonimi e quegli stessi pensieri assumevano un sapore diverso, diventavano insipidi, asciutti, quasi come se avesse dimenticato quali spezie aggiungere.

Selezionare con cura le parole affinché ciascuna venisse esaltata e ogni suono corrispondesse a una sequenza precisa di note nel pentagramma della sua mente, per lei, era importante come per un artista abbinare i colori complementari in un quadro, in modo da risaltarne la brillantezza.

Eppure quel giorno, il giorno che le aveva cambiato la vita, quel legame solido che aveva sempre avuto con la scrittura e di conseguenza con la parte, ne era certa, migliore di sé si era spezzato. E tutto era cambiato, perché da quel momento non sentiva più la musica, non vedeva più i colori.

Anche quando aveva provato a raccontare alla carta quello che sentiva dentro, nella speranza di donare al bianco un po' del suo nero, la pagina restava immacolata, candida come la neve, mentre il nero restava tutto dentro di lei. Tutte le volte che provava a scrivere si ritrovava a lasciare andare il filo e perdersi nel labirinto, finendo dritta tra le fauci del Minotauro.

Il senso di colpa è così, domina le altre emozioni, si insinua in ogni fibra del tuo corpo, consumando a poco a poco la tua anima; rende evanescente anche ciò per cui varrebbe la pena sorridere e non ti lascia andare, perché il vero problema non è l'esatto momento, l'ora, il minuto, il secondo esatto. No. Il peggio arriva dopo, quando realizzi davvero cosa è successo, quando i ricordi amplificano ancora di più quello che senti e inizi a puntare il dito contro tutti, nella speranza di trovare un altro colpevole.

E Adele lo sapeva, razionalmente, che la scelta che aveva fatto tanti anni prima non prevedeva di schierarsi dalla parte del bene o del male, che era complicata, lo sarebbe stata per chiunque e infatti nessuno l'aveva giudicata. Ma non siamo forse noi i peggiori giudici di noi stessi?

Con il tempo aveva imparato a non vergognarsi per i momenti di gioia, a vivere nonostante quel tormento nascosto sotto gli strati di pelle. Ma si sa, il passato ci perseguita finché non decidiamo di affrontarlo e anche quando ci dà l'illusione di averci lasciato andare, torna, torna sempre.

E lei aveva finalmente deciso di non opporsi, di rivelare quel segreto che aveva custodito per anni, di cui nemmeno i suoi genitori erano a conoscenza, di tagliare l'ultimo filo che la legava ancora a Pietro, a ciò che erano stati.

Era pronta.

Si guardò nello specchietto retrovisore dell'auto e si sistemò per l'ennesima volta i lunghi capelli corvini, ben consapevole di star solo temporeggiando. Guardò l'ora sullo schermo del suo cellulare e fissò il messaggio di Gianluigi, che campeggiava lì in alto, promemoria che le ricordava l'ennesima bugia che gli aveva raccontato da quando era arrivata a Monte Santo Spirito e, si augurava, l'ultima.

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