CAPITOLO QUATTRO

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📍 Sciacca (Ag)
23 giugno 2018

-57 giorni

«Quello non lo mangi?» chiese Adele, la forchetta sospesa a mezz'aria, già pronta a rubare l'ennesimo anello di calamaro fritto dal piatto di Federico.

Lui rise. «Veramente sì, Adele, lo avrei mangiato, come tutti gli altri.»

Lei mandò giù il pesce e guardò sconsolata il suo piatto ormai vuoto da un po', come a voler far apparire un'altra porzione di fritto misto dal nulla. Era così buono che l'aveva spolverato senza neanche rendersene conto, completamente assorta nelle chiacchiere di Federico, che la stava aggiornando su tutte le novità: qualche tradimento, diverse migrazioni verso il nord dell'Italia, un nuovo pub aperto e l'inaugurazione del campetto, nato sulle ceneri di quello che c'era prima, con l'erbetta sintetica e i sedili di plastica. Federico parlava e parlava e il suo piatto era ancora mezzo pieno, a differenza di quello della cugina.

D'altronde, la sera prima Adele l'aveva tenuto sveglio tutta la notte, raccontandogli i dettagli del matrimonio e aggiornandolo su tutte le novità, per cui ora era più che felice di ascoltarlo.

Federico era più di un cugino: era il suo migliore amico, suo fratello, quello che le copriva le spalle da sempre e che conosceva ogni sua sfaccettatura. Erano cresciuti insieme: lei, Federico ed Eleonora, e condividevano ogni cosa da sempre, erano pezzi fondamentali e imprescindibili l'uno della vita degli altri.

Federico ed Eleonora erano i figli della sorella minore di sua madre, Cristina; siciliani per parte di madre e francesi per parte di padre: Antoine Blanc, un fotografo francese appassionato di arte classica, trasferitosi in Italia per amore di quella donna che aveva conosciuto in vacanza e che gli aveva rubato il cuore.

«Ma sei stata a digiuno per un anno?»

Adele non potè non pensare che fosse la stessa cosa che le aveva fatto notare Pietro il giorno prima; in effetti, era consapevole di dare l'impressione di qualcuno che è stato a pane e acqua per anni, ma proprio non riusciva a non gustarsi ogni portata con gusto: il cibo era una delle cose che più le erano mancate della Sicilia. «Non è colpa mia se sei lento a mangiare.»

Stavano pranzando in un ristorante sul lungomare, a Sciacca. Era un locale nuovo, moderno, in stile urban chic, un po' anche minimal, arredato con gusto e attenzione ai minimi particolari. Alle pareti, di un delicato grigio perla, erano appesi diversi quadri dalle linee semplici e regolari a comporre figure geometriche e stilizzate, i tavoli, in vetro, erano apparecchiati con delle semplici tovaglie di qualche gradazione di colore più chiara e il tutto erano illuminato da luci incassate nel soffitto bianco e distribuite ritmicamente.

«Io mi godo il cibo, cuginetta...»

Adele prese a giocherellare distrattamente con la cera solidificata delle candele, poste come centrotavola, perdendosi nell'azzurro del mare, visibile attraverso la portafinestra alla loro destra. «Senti, Fede, ma come l'hai trovato questo posto? Costerà una fortuna.»

Lui le fece l'occhiolino, con fare tronfio. «Oui, mais pas pour moi, chérie. La proprietaria è un'amica.»

Adele scosse la testa, affatto sorpresa, avrebbe dovuto dedurlo da sola. «Sei un caso perso, Fede».

Federico alzò le spalle con fare innocente: «Che posso farci io? Le donne mi amano e io lascio che lo facciano.»

Lei lo ignorò e alzò il calice pieno di vino bianco. «Lo facciamo un brindisi?»

Lui la imitò: gli occhi furbi, due fari azzurri come il mare, puntati sulla cugina. «E a cosa vogliamo brindare, cherie

«A noi e a questo pranzo fantastico offerto da...?»

Odio le favoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora