Capitolo cinquanta

3.1K 166 15
                                    

📍Sciacca (Ag)
15 agosto 2018

-4 giorni

Camminare sulla riva era, soprattutto a quell'ora del giorno, un momento di catarsi pura, in cui potersi spogliare del ruolo di figlia perfetta, alunna modello e migliore specializzanda del suo corso; in cui potersi concedere la libertà di essere semplicemente Arianna, niente di più, niente di meno.

Per lei non esisteva al mondo sensazione migliore del vento che le scompigliava i ricci ribelli, di sentire l'odore del mare, il calore del sole e il rumore delle onde,  eccetto una: entrare in sala operatoria.

Il mondo esterno, i problemi, le ore di sonno perduto, lo studio arretrato restavano fuori, una volta varcata quella porta.

Potevano e dovevano esistere solo lei e il paziente, era allora che iniziava la vera magia: il tempo si annullava, le ghiandole surrenali iniziavano a produrre adrenalina ed eccitazione mista ad ansia si propagavano più velocemente di un virus.

Figlia di due eccezionali chirurghi, sognava di seguire le loro orme fin da quando, a soli cinque anni, le avevano regalato un camicie bianco, uno stetoscopio e una valigetta con bisturi, siringhe e altri strumenti di cui non conosceva nemmeno il nome.

'Mi piacerebbe tanto diventare brava come mamma e papà' si era detta quella volta, ammirandosi allo specchio, incantandosi di fronte a quel camice forse troppo grande e che pure sembrava già allora una seconda pelle.

Con il passare degli anni quel desiderio infantile si era trasformato in un obiettivo che nessuno le avrebbe impedito di conseguire: 'Io diventerò un chirurgo migliore di mia madre e mio padre'.

Smisurata ambizione, malcelato cinismo e un innato stoicismo si amalgamavano in un carattere duro e schivo, che solo l'amicizia con Adele aveva addolcito leggermente, levigandolo, come il mare che trasforma pezzi di vetro in innocue pietre colorate.

Incoerentemente con la sua personalità e le sue convinzioni, però, Arianna credeva nel destino e soprattutto nell'anima gemella, pensava che ogni persona ne avesse una da qualche parte; e quando a quattordici anni era annegata in due occhi più azzurri del cielo pensava davvero di aver trovato la sua.

Odiava quegli occhi e odiava lui, perché in sua presenza non riusciva a gestire le sue emozioni e se c'era una cosa che davvero non sopportava era perdere il controllo.

Si fermò di colpo, notando una figura incappucciata troppo lontana per metterne a fuoco il profilo, oltre gli scogli che delimitavano quella parte di spiaggia, separandola dall'altra, che rimaneva sempre vuota, perché la strada per raggiungerla era impraticabile. 

Se fosse tornata indietro in quel preciso momento si sarebbe resa conto che non era stata l'unica, quella notte, a scontrarsi con l'insonnia; se lo avesse fatto avrebbe visto Adele sgattaiolare fuori dalla sua tenda e forse allora le cose sarebbero andate in modo diverso, per entrambe.

Eppure inspiegabilmente quella figura la attraeva, come fosse stato il centro di un campo magnetico, spingendola a proseguire il cammino.

E lei decise di applicare la legge di Coulomb, in fondo era fisica, la disciplina attraverso cui era sempre riuscita a dare un senso a tutto ciò che accadeva intorno a lei. Si lasciò attrarre.

Passo dopo passo, la sua vista riuscì a individuare tre particolari che lasciavano poco spazio ai dubbi, perché due indizi sono una coincidenza, tre fanno una prova: felpa bianca con le righe blu dell'Olympique Lione, ciuffetti biondi sfuggiti al cappuccio e lo stesso pezzo di cielo per cui da ragazzina aveva perso il senno, per cui lo perdeva ancora.

Odio le favoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora