12. Sorpresa

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Sky

Mi svegliai con la porta di camera mia che si apriva. Rimasi stesa sul letto facendo finta di dormire. Come si fa quando si è piccoli. La tenda della finestra al lato del letto venne tirata e la luce del sole mi illuminò completamente.
   - Sveglia tesoro, ho una sorpresa per te – mio padre mi accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla fronte. Mi strofinai gli occhi e lo guardai alzarsi, posare qualcosa sulla sedia della scrivania e chiudersi la porta alle spalle dopo essere uscito.
   Così mi alzai dal letto e vidi quello che mi aveva portato. Una gonna beige e una camicia color crema, insieme a un paio di scarpette come quelle che portavo prima della Sospensione. Sorrisi.
   Indossai i vestiti che mi aveva portato mio padre con un senso di nostalgia addosso allo stomaco. Uscii dal bagno lasciando una scia che profumava come i vestiti che avevo indosso. Andai in cucina, da dove veniva un invitante aroma di pancakes. Mi era stato riservato un posto a tavola, al quale tutti erano seduti a parlare. Sui miei pancakes c'erano delle candeline. Accanto al poso vuoto c'erano Lexi e Max. Davanti, mio padre con Iris e Theo ai lati. Vicino a Theo c'era Felix e accanto a Iris Luis. Dal mio lato si trovavano Katlin e Xander.
   Iniziarono a cantarmi "Tanti Auguri" mentre mi avvicinavo al tavolo. Arrossii molto. Di imbarazzo. I capelli sembravano aver imparato quando cadere dall'acconciatura precaria che facevo sempre per coprirmi il viso. Infatti quello era il momento buono per sciogliersi e farmi da tendina.
   Mi sedetti al posto designato e soffiai sulle quindici candele che stavano in bilico sulla piccola pila di pancakes. Tra uno stato e l'altro c'era dello sciroppo d'acero, come quello che colava dall'alto della torre. Intorno, lamponi e mirtilli davano colore al piatto.
   - Auguri Sky! – uno scroscio di applausi. Cercai di rimpicciolire sulla sedia.
   - I regali te li diamo stasera – disse Iris con un sorriso.
   - Non c'era bisogno di... questo – ridacchiai imbarazzata. Mi sembrava brutto che si fossero scomodati tanto per me. Mi bastava che se ne ricordassero per essere felice.
   - Invece sì. Dobbiamo rimediare al nostro errore – ribatté Theo.
   - Noi tre non dobbiamo rimediare proprio a niente – Max indicò sé stesso, sua sorella e Felix.
   - Sì, tutti tranne loro tre – specificò Theo con tono seccato. Ridacchiai.
   - Ora, sei pronta per la sorpresa? – chiese mio padre.
   - Pensavo fosse questa – confessai.
   - Invece no! Vieni, su – con un gesto del braccio mi invitò a seguirlo. Dopo essermi alzata, però, presi il piatto della mia colazione per portarlo in cucina.
   - Lascia fare a noi – Katlin mi prese il piatto dalle mani e mi guardò con i suoi occhi ultra-vedenti. Mi indicò mio padre con la testa e si girò per andare in cucina.
   Andai nell'ingresso dopo aver salutato e ringraziato tutti. Mio padre mi stava aspettando fuori dalla porta aperta. All'esterno il sole scaldava l'atmosfera fredda di dicembre facendo luccicare la macchina parcheggiata nel vialetto.
  - Eccoti! Sali in macchina, ti porto in un posto –
   Mio padre iniziò a guidare con un sorriso sulle labbra. Ogni tanto mi lanciava sguardi di lato. Io intanto guardavo fuori dal finestrino e cercavo di capire dove mi stesse portando. Alla fine cedetti alla curiosità e glielo domandai.
   - Dove stiamo andando? –
   - È una sorpresa – rispose lui concentrandosi sulla strada. Sbuffai scherzosamente.
   Iniziai a intuire dove mi stava portando quando cambiò direzione per immergersi completamente nella natura. Attraversammo un viale tra gli alberi che aveva qualcosa di familiare. Il sole filtrava dalle foglie e si riversava su di noi. Mio padre accostò a un lato della strada, prima che il passaggio diventasse troppo stretto per poterci passare.
   Uscimmo dalla macchina. Mio padre andò al portabagagli e prese un cestino di vimini e uno zaino. Mi offrii di portare il cestino.
   Camminando, ancora una volta mi accorsi di quel senso di déjà-vu che avevo sentito prima.
   Era la strada per andare al lago.
   Guardai mio padre appena realizzai.
   - Hai già capito, vero? – disse con un sorrisino.
   Annuii felice.
   Camminammo tra gli alberi spogli con il rumore delle foglie secche sotto i nostri piedi. Intanto mio padre faceva domande, e io rispondevo. Come mi trovavo a scuola? E con gli altri? Ero ancora arrabbiata per ieri? Insomma, le cose fondamentali in quel momento.
   Mentre camminavo di solito mi guardavo le scarpe. Lo stavo facendo anche adesso. Mentre osservavo il sentiero marroncino, notai che la terra stava diventando più umida. Man mano che ci avvicinavamo alla destinazione, il terriccio veniva macchiato di bianco, poi restava in minoranza, e infine veniva completamente sotterrato sotto un manto di neve luccicante.
   - Eccoci arrivati – annunciò mio padre, fermandosi.
   Alzai lo sguardo. Una distesa di erba gelata si estendeva davanti a noi, al centro dell'enorme ghiacciaio c'era un lago opaco che risaltava per il suo colore azzurrognolo. Quello era il mio lago. Quello che visitavo in continuazione prima della sospensione. Era esattamente come lo ricordavo.
   A fare da sfondo c'erano delle colline lontane, sempre chiare con un velo di neve sopra. Era tutto meraviglioso, a partire dal fatto che ricordavo esattamente ogni dettaglio di quel posto, e che niente, in quegli anni di assenza, era cambiato drasticamente come fanno le persone.
   Mi girai verso mio padre, che mi stava osservando con un sorriso.
   - Sai cosa c'è nel cestino? – chiese.
   - Forse sì, forse no – risposi con un risolino.
   Quando arrivammo in riva al lago ci sedemmo sulla coperta che mio padre tirò fuori dallo zaino. Aprii il cestino, e non fui del tutto sorpresa di trovare i miei pattini da ghiaccio con il disegno di una stella che ci avevo fatto da piccola. La felicità che invase il mio corpo però si esprimeva in un sorriso sul mio volto, e in questo modo faceva sorridere anche mio padre, che, seduto di fianco a me, mi guardava.
   - Grazie papà – dissi. Poi lo abbracciai. E lui mi diede un bacio sui capelli.
   Mio padre prese il suo paio di pattini a sua volta, poi se li mise e aspettò che finissi anche io. Mi aiutò a alzarmi e a camminare per quel breve tratto che ci separava dal lago, stando attento a non lasciarmi scivolare sull'erba umida. Lui fu il primo a mettere piede sul ghiaccio. Mi tenne le mani mentre lo raggiungevo sul lago, e intanto non aveva mai smesso di sorridere.
   Con una leggera spinta, mi fece scivolare verso il centro del lago. Lo guardai ridendo mentre cercavo di riabituarmi a stare sulla lama del pattino da ghiaccio. Mio padre mi fece un segno con la testa, che io interpretai come: "vai, divertiti e fammi vedere che sai fare". Così, dopo aver preso confidenza con il terreno, iniziai a pattinare sul serio. Come facevo quasi tutti i giorni prima della sospensione.
   Vivendo lì vicino, ci arrivavo anche a piedi. Mi portavo i pattini e stavo ore a girare sul lago, senza nessuno che mi guardasse o parlasse con me. Passavo interi pomeriggi da sola, ma non mi dispiaceva affatto. Da sempre mi piaceva stare da sola, soprattutto nei miei luoghi preferiti, come il lago. Trovavo più conforto nel rumore dei pattini che raschiavano il ghiaccio che nelle parole di chi mi stava intorno, spesso.
   Ricordo che una volta mi avevano chiesto come mai mi piacesse tanto il lago ghiacciato. Io a quel tempo non fui in grado di rispondere, ma non perché non sapessi il motivo. Non risposi perché non sapevo come spiegarlo. Neanche adesso, se me lo chiedessero, lo saprei dire.
   Mi piace il lago ghiacciato perché è un posto solitario, dove non va mai nessuno, quindi se ho bisogno di un po' di tranquillità la posso trovare lì.
   Mi piacciono i rumori della natura che si sentono da quel punto, le foglie dei cipressi mosse dal vento, la neve che scricchiola sotto i piedi quando cammini, il ghiaccio stesso che sembra rompersi quando atterro dopo un salto.
   Del lago ghiacciato mi piacciono tante cose, ma soprattutto a sensazione di essere sola ma non esserlo. È questa la cosa che non riesco a spiegare. Ogni volta che vado là, è come se ci fosse qualcuno a aspettarmi, che mi fa compagnia senza farsi vedere. Non è quella sensazione inquietante di quando ti senti osservato, è più quella di quando pensi a qualcuno che ti vuole bene e ti viene anche da sorridere perché è come se fosse lì con te, nonostante magari sia distante. Questa sensazione non riesco mai a spiegarla, perché non trovo le parole giuste per identificarla. Non so neanche se sono l'unica a provarla, o se è una cosa che tutti hanno da qualche parte.
   So che è una bella sensazione, e che la provo anche adesso che sono al lago con mio padre.
   So che questa sensazione la volevo provare più spesso, e forse il desiderio si stava avverando, fuori dal lago però.

La Nostra Ultima VoltaWhere stories live. Discover now