48. Odio

15 3 2
                                    

Sky

Tossii, ancora con la sensazione dell'acqua che mi opprimeva dentro. Quando schiusi le palpebre vidi i volti preoccupati degli altri, che mi sovrastavano.
   Mi alzai in piedi di scatto, allontanandomi di qualche passo in tutta fretta. Li guardai, ancora stordita. Passai lo sguardo su ognuno di loro, scorgendo il loro sconcerto, cercando di non vederli pallidi e vuoti.
   Erano vivi. Gli occhi avevano i loro colori, il viso non era vacuo. Quella era solo una visione...
   - Voi... - socchiusi le palpebre, sussurrando tra me. – Come... -
   - Sky, stai bene? – chiese Louis, stranito.
   - Cosa è successo? – fece Lexi.
   Felix mi venne vicino, per ascoltare i miei sussurri confusi. – Voi eravate... morti... io... - guardai il pavimento, gli occhi sgranati che cercavano qualcosa da fissare per non perdere completamente la ragione.
   - Cosa? – Felix abbassò la testa, cercando il mio sguardo.
   - Voi... - respirai velocemente, ansimai come a riprendere l'ossigeno che avevo perso nel mare di sangue in cui ero annegata. Ma quel maremoto era finito.
   Era tutto finito.
   Loro erano ancora con me.
   Mi sentivo scoppiare.
   Presi un respiro profondo. – Sto bene – dissi alzando gli occhi. – Devo... devo solo riposare – indietreggiai verso le scale senza dire altro.
   - No, aspetta, Sky. Cosa è successo? – chiamò mio padre quando mi voltai, dandogli le spalle.
   - Era solo una visione. Niente di importante – risposi secca. Iniziai a salire i gradini di corsa, con l'intenzione di arrivare in camera il prima possibile e stare sola.
   - Principessa, aspetta! Vengo con te – Felix si precipitò al mio fianco, giusto un paio di gradini indietro.
   - No, grazie Felix. Devo stare sola per un po' – risposi sul limite della pazienza.
   - Non ti lascio sola adesso. Parla con me, Sky – insistette.
   - Davvero, Felix. Ho solo bisogno di stare da sola, in questo momento –. Lui continuò a seguirmi. Mi fermai al pianerottolo in cima alla scalinata e mi voltai verso di lui.
   - Per favore, Felix, adesso lasciami sola –
   - No. Non voglio che tu soffra in silenzio senza nessuno accanto – mi mise le mani sulle spalle, cercando di confortarmi. Mi scansai.
   - Forse soffrire in silenzio senza nessuno accanto è l'unica cosa che mi serve, adesso. Ora solo, lasciami in pace, ti prego – troncai la conversazione.
   - Oh, beh, scusami se sto cercando di aiutarti – fece lui, guardando altrove.
   - Scusami?! Aiutarmi?! L'unica cosa che hai fatto finora è stata pressarmi dicendo che non potevo stare neanche un momento sola. Sono messa così male che ho bisogno di avere una guardia che mi controlla perennemente e mi sta appiccicata tutto il giorno? – sbottai. Ero furente. La mia testa traboccava di pensieri, emozioni, che stavano eruttando come ira nelle mie parole.
   - Stiamo solo cercando di proteggerti – sibilò.
   - Beh, grazie. State facendo un ottimo lavoro – replicai sarcastica.  – Vi state comportando come se fossi una statuetta di cristallo – guardai gli altri, - non mi avete neanche notata in due anni e tutt'a un tratto mi state addosso come se fossi una bomba sul punto di esplodere. Bel modo di proteggermi – le mie parole erano piene di veleno puro. Colsi lo stupore che suscitai in ognuno di loro, le loro espressioni colpevoli e ferite. Felix mi squadrò, incapace di credere a quello che vedeva.
   - Questo non è giusto – disse. – Sono la tua famiglia –
   - Siete iperprotettivi! Sono rinchiusa in casa tutto il giorno, non posso più fare un passo fuori senza avere uno di voi accanto. Se questo lo chiami "proteggere" invece di "opprimere" –
   - Sky... - mi guardò incredulo.
   - No. Non voglio sentirlo – lo fermai. – Ho bisogno di stare sola – corsi via, senza guardarmi indietro. Scappai dall'espressione delusa sul volto di mio padre, dallo stupore di Lexi, dal dolore di Felix.
   Mi rifugiai in bagno, chiudendo a chiave la porta. Entrai immediatamente in doccia, evitando di guardarmi allo specchio. Ero arrabbiata, ma non si meritavano tutto questo. Mi avrebbero odiato tutti...
   Forse era meglio così. Forse, se fossero stati lontani da me, si sarebbero salvati.
   Stava per succedere qualcosa, e sarebbe stato terribile. Ero ancora turbata da quello che avevo visto. L'acqua era bollente, ma io stavo tremando. Non volevo vedere il mondo reale, ma se provavo a chiudere gli occhi riapparivano le immagini della visione, insieme a tutte le precedenti. Tornavo a sentire la stessa paura, la solitudine che mi avvolgeva come una coperta di ghiaccio.
   Uscii dalla doccia e mi guardai allo specchio, la mia pelle era ancora macchiata dai lividi. Non riuscivo a mantenere il contatto visivo con me stessa. Non l'avevo mai fatto, e probabilmente mai lo farò. Forse quei lividi li meritavo, in fondo. Forse provavo tutto quel dolore perché era quello che mi spettava.
   Ero sola.
   Esattamente come volevo.
   Tutti i pensieri, ipotesi, riflessioni, dubbi, ogni cosa che era successa negli ultimi mesi mi frullava in testa come un uragano. Mi veniva da vomitare con tutto quel girare della mia stanza intorno a me. Chiusi gli occhi.
   La reclusione, la bolla in cui mi aveva messo Felix, le protezioni messe a tutti gli spigoli della faccenda, riemersero dagli abissi del caos e mi fecero innervosire. L'indifferenza di Fredrik e dei suoi Onniveggenti, venuti qui per tenermi d'occhio e nient'altro.
   Perché?
   Perché le visioni? Perché i poteri, perché i maestri?
   Perché io?
   Io non ero nessuno.
   Ero confusa, mi sentivo come un puzzle scomposto gettato alla rinfusa su un tappeto abbandonato. Non sapevo cosa fare, come reagire, cosa provare.
   Guardai la parete di fronte a me, alzandomi perché non sopportavo più la fermezza di stare sdraiata sul letto. Era piena dei miei disegni, appesi con scotch o puntine. Mi gettai su di essa. Iniziai a strappare via i fogli dal muro, senza preoccuparmi se si danneggiavano o venivano rovinati per sempre. Li buttai tutti in un angolo della stanza, insieme alle varie cose che trovai sulla scrivania. Sfogavo tutta me stessa così, rovinando ciò che avevo di più mio, mandando in pezzi una parte di me anche all'esterno, oltre che nella mia anima.
   Cercai con gli occhi altre cose da gettare a terra con i miei sentimenti, quando lo sguardo cadde sul pianoforte di Felix. Lo fissai a lungo, immobile. Lo presi, lo portai alla finestra accanto al letto e girai la chiave sul retro. La melodia delicata cominciò a fluire da esso e io lo posai di lato, entrando sotto le coperte. Dovevo calmarmi. E Felix riusciva sempre a calmarmi. Anche quando non c'era. Anche se mi odiava

La Nostra Ultima VoltaWhere stories live. Discover now