22. Scoperte

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Sky

Tick-Tack. Ancora il ticchettio di un orologio. O della bomba. Spalancai gli occhi, tremando e sudando freddo. Ero di nuovo nella mia stanza però.
   Mi sembrava di sentire dei passi che rimbombavano da lontano. Avevo ancora l'immagine di quell'occhio giallo nella mente, come stampata nelle palpebre.
   Avevo anche sentito una specie di gridolino, ma probabilmente ero io. Avevo il respiro affannato, il cuore che mi martellava contro le costole, la mente offuscata. Era un sogno così poco verosimile, ma così realistico nello stesso tempo. Come un film fatto veramente bene.
   Mi alzai, sentii il letto cigolare, poi, il silenzio. Era tutto così vuoto e spaventoso in quel momento. Non lo sopportavo. Ma come lo evitavo? Il carillon di Felix.
   La sua musica riempì la stanza, dolce, e risuonò nel vuoto che c'era, calmando, in parte, anche quella tremenda paura del nulla.
   Mi sedetti di nuovo sul letto, passandomi le mani tra i capelli. Stavo ricominciando a pensare in modo lucido. Non capivo come questi sogni potessero essere così simili tra loro. Nel senso, avevano sempre gli stessi protagonisti che non avevo mai visto, e più o meno tutte le volte facevano le stesse cose. E adesso avevano iniziato a parlare di "quella che ero", alludendo a dei poteri. Ma io non avevo poteri, né qui, né lì. Non ero parte di un albero genealogico di Protettori, non ero mai entrata in contatto con la Pioggia. E poi c'erano quelle coincidenze strane. Come la stanza, o i compiti. Avevo sempre pensato che fossero state solo coincidenze o distrazione, ma adesso non ne ero più tanto sicura.
   Forse ne dovevo parlare con qualcuno. Magari Lexi e Max, che sapevano ascoltarmi meglio. Mio padre sicuramente era quello che ne sapeva di più sulla faccenda, ma era troppo impegnato con il campus e tutto il resto per ascoltarmi. Inoltre era anche la persona più scettica che conoscevo. Sì, ne avrei parlato con Lexi e Max di mattina.
   Controllai l'ora sul cellulare e scoprii che erano le quattro del mattino. E adesso che si fa? Di dormire non avevo il coraggio, e di svegliare qualcuno per sentirmi meno sola neanche. Cercai conforto nella luna. Aprii le tende e lasciai che i suoi raggi sfiorassero tutta la stanza con la loro armoniosa delicatezza. Stava piovendo, fuori, le chiome degli alberi erano smosse dal vento pesante che spingeva le gocce contro la mia finestra.
   Il carillon si era spento ormai. La sensazione di inquietudine era tornata. Mentre andavo a ricaricarlo mi venne un'idea. Potevo crearmela io la mia musica.
   Mi avviai con passo felpato – letteralmente, avevo dei calzini che sembravano zampette di coniglio – alla parte bassa del campus, attraversai la stanza delle feste e andai verso la porta. Notai in quel momento che al centro, all'altezza degli occhi, c'era una piccola placca di ottone con incisa una rosa. La stessa rosa che trovai sul pianoforte. Perfettamente identica a come l'avevo trovata la prima volta che ero entrata lì. Erano passati molti giorni da quella volta, come poteva essere ancora profumata come se fosse appena stata colta?
   Seduta sul panchetto, con la rosa impossibile tra le dita, realizzai. Non erano coincidenze o distrazioni, le mie. Io potevo fare cose che le persone normali non potevano fare. Avevo dei poteri. Avevo dei poteri?
   Appoggiai la rosa dove l'avevo trovata come fosse veleno. Rimasi a fissare un punto sulla parete bianca davanti a me. Il respiro si era velocizzato ma non ci feci molto caso.
   Come facevo ad avere dei poteri? La stanza sembrò rimpicciolirsi intorno a me, mentre mi facevo prendere dall'ansia per la seconda volta in una notte sola.
   Poi sentii un lievissimo scricchiolio. Guardai la rosa, ora con i petali raggrinziti, come se stesse appassendo. Ero stata io? Non c'era nessuno vicino, e nessuno poteva far appassire i fiori nel campus. Ma come aveva fatto? Era passata da essere il più bel fiore ad essere sul letto di morte da un momento all'altro!
   Mi ricordai perché mi trovavo lì. Liberare la mente. Dovevo suonare il piano. Sì, questo era quello di cui avevo bisogno. Mi riposizionai sullo sgabello, le mani sospese sopra i tasti con i polsi distesi e la mente che viaggiava tra gli spartiti che avevo catalogato nella memoria alla ricerca del pezzo che mi serviva.
   Respirai.
   Chiusi gli occhi.
   Suonai.
   Le dita correvano da una parte all'altra della tastiera, con movimenti leggeri che portavano alla formazione di un suono dolce e melodico come piaceva a me, una musica libera, priva di regole, ma suonata con un controllo tale da farla sembrare perfetta.
   Mi sembrava di fluttuare, di spostarmi tra le note saltando da una riga all'altra dello spartito, con i capelli mossi da una brezza tiepida e intorno a me il vuoto. Completamente vuoto, solo colori chiari e musica. E il mio cuore sorrideva appena. Sorrideva perché adoravo le persone intorno a me, specialmente i miei Gemelli confusione, mio padre e Felix. Sorrideva anche perché era notte fonda e io ero sveglia, in una stanza che forse avevo creato io, a suonare la mia musica, il mio brano. Quello che avevo scritto io.
   Alzai gli occhi, sempre suonando. Fu come guardare un video nella modalità reverse. La rosa appassita si alzò in verticale, il gambo piano piano cambiò colore passando da grigio a verde smeraldo, le foglie che ricadevano pesanti verso il basso riacquisirono forza e tornarono a indicare i petali, che al mio sguardo si colorarono di rosa. Ci fu come un "puf", una spruzzata di glitter e profumo alla fine della rinascita.
   Ero stata io davvero. Xander per le sue illusioni aveva bisogno di vedere quello che faceva, e alla porta non c'era nessuno. Ma come avevo fatto? Non avevo mai cercato di far appassire la rosa. Lexi diceva spesso che i poteri erano controllati dalle emozioni (wow, non lo sapeva nessuno), soprattutto se non ci esercitava. Era quello che faceva mio padre, aiutare i Protettori a controllare i loro poteri per poi usarli per proteggere la città dal resto delle persone scelte dalla pioggia che invece avevano scelto di usarli per sé stessi. Probabilmente era stato quello: la rosa si era appassita quando ero andata nel panico e era rifiorita mentre suonavo. Era l'unica spiegazione che mi venisse in mente.
   Dovevo parlarne con mio padre. Ma prima dovevo capire che poteri erano. Ero tipo una "fata dei fiori"? Sì, mi serviva una mano per capire almeno la metà delle cose che stavano succedendo. Dovevo anche capire la cosa dei sogni. Una cosa per volta. Prima ne parlavo con Max e Lexi, poi capivo cosa ero, poi parlavo con mio padre.
   Non sapevo se scoppiare a piangere o a ridere.
   In quel momento lo notai. In piedi sulla soglia, una spalla appoggiata alla parete, con un sorriso accennato, c'era Felix. Mi aveva sentito suonare. Mi aveva visto suonare. E mi aveva visto anche mentre ero incantata a pensare. La rosa che appassiva e rinasceva.
    Il mio cuore poteva anche sorridere, ma io intanto arrossivo e cercavo di far crescere la rosa fino a strozzarmi. E lui mi guardava.

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