53. Panico

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Sky

L'aria giallastra che riempiva la casa rifletteva il mio stato d'animo. Sdraiata sul letto, con il corpo indolenzito dai lividi e tagli vari, guardavo la vernice della parete di fronte a me scrostarsi e cadere a terra a ogni colpo che veniva battuto nell'altra stanza, dalla parte opposta del muro. Una lacrima silenziosa scese dall'angolo del mio occhio e si fece strada sulla tempia, finendo sul cuscino sporco.
Stavano litigando. E uno dei due era di nuovo sotto l'effetto del vino.
Sentii il mio nome uscire in un grido del mostro. Mi trascinai di malavoglia al loro cospetto, senza staccare gli occhi dalle assi polverose del pavimento. La paura decise di tornare a vivere in me, o almeno di palesarsi. Sapevo che c'era sempre, ma a volte preferivo fingere che non fossi terrorizzata dall'essere viva. A volte mi piaceva immaginare di essere felice, con dei genitori veri e degli amici. Però poi mi svegliavo, e mi rendevo conto che sognare portava solamente a desiderare di più qualcosa che non avrei mai potuto avere.
Restai sulla porta, aspettando che mi dessero ordini.
- Lei – gridò il mostro, indicandomi. – Lei è la ragione per cui stiamo facendo questo. Guardala! – si girò a scrutarmi. Passò lo sguardo sulle mie ossa sporgenti, il mio viso scarno e le occhiaie profonde che si confondevano con i pesti.
- È uno spaventapasseri. Come può lei avere il potere che dici che ha? – mi prese il polso e alzò il mio braccio, come si farebbe con una bambola. – Non è nessuno. Tu mi stai facendo perdere tempo! – sbraitò, lasciando cadere la mia mano.
- Non stiamo perdendo tempo – disse, più calmo, l'altro. – Lei è la chiave di tutto. Succederà quello che deve succedere. Questa ne è la prova – tirò fuori un orologio da taschino, abbastanza grande, che al posto del quadrante aveva un occhio verde con la pupilla di serpente. Lo sventolò sotto il suo naso, poi verso di me.
- Questo vede anima e corpo di tutti. Di lei, solo il corpo – spiegò. - È solo questione di tempo prima che si ricongiungano. A quel punto ci basterà usare questo – estrasse dalla tasca un bracciale d'oro, tempestato di gemme colorate.
- Questo dovrebbe aiutarci? – fece l'altro, sentendosi perso in giro.
- È lo strumento più potente che abbiamo, e io so usarlo. –
Indietreggiai lentamente e tornai nella mia stanza.
La chiave di tutto. "Nessuno" era la chiave, ma di cosa?
L'uomo con l'orologio doveva aver detto qualcosa che non piacque al mostro. Sentii un grugnito, poi, la mia porta si spalancò e il bicchiere di vino che aveva in mano fu su di me, intenta a reprimere le urla mentre, di nuovo, il palmo della sua mano fu stampato a inchiostro rosso sulla mia pelle. Il dolore penetrò nel mio corpo, nelle ossa deformate dai troppi colpi, macchiò le coperte e la mia pelle, le sue mani e i suoi vestiti, si espanse anche al di fuori di quello che era il nostro teatrino. Ormai stavo sparendo. Non mi vedevo più.
Volevo solo che tutto finisse.
Volevo trovare un posto per me, un posto lontano da loro, dove potevo stare bene. Dove c'era qualcuno che mi ascoltava, dove non dovevo avere paura di vivere e il desiderio di morire.
Volevo solo potermene andare per sempre.



Felix

Avevo lasciato Sky a dormire, la sera, dopo che si era finalmente calmata. Mi sentivo più tranquillo ora che avevamo chiarito. E più felice, sapendo che i miei sentimenti nei suoi confronti erano ricambiati.
Forse quella non era la situazione ideale, per dirsi i primi "ti amo", ma era l'unico momento in cui lo potevo fare. E l'unico modo per scoprire la vera Sky.
Ma quella stessa notte mi svegliai, avvertendo che qualcosa non andava.
Sky.
Corsi da lei, riuscivo a sentirla ansimare. Aveva avuto un'altra visione, stavolta però era più vulnerabile.
Era seduta sul letto, le coperte ammassate intorno a lei e gli occhi spalancati che cercavano riparo. Respirava a fatica, come se non trovasse aria, e potevo sentire il battito del suo cuore che sbatteva velocemente contro le sue costole. Mi sedetti davanti a lei, prendendole il volto tra le mani, con gentilezza, la feci guardare nei miei occhi.
- Sono qui – le dissi, - Respira con me – aveva preso i mei polsi con le mani, mentre mi fissava con quello sguardo spaventato. Sembrava più magra, come malata, e aveva delle nuove cicatrici sugli zigomi e sul labbro.
Avrei voluto poterla guarire, salvarla dalla sua mente, mettere dei cerotti sulle sue ferite aperte. Piano piano coordinò il suo respiro al mio, smettendo di tremare quasi del tutto, senza staccare i suoi occhi dai miei. Sembrava volerci sparire. Anche il suo sguardo si ammorbidì, un pochino, alla fine.
- Va meglio, no? – le sorrisi. Lei annuì senza fiato, le labbra leggermente curvate agli angoli. Le diedi un bacio sulla fronte, lasciandole il viso per prenderle le mani.
- Cerca di dormire, principessa -. Annuì piano. Mi alzai e aspettai che si fosse rimessa a letto, le sistemai la coperta dul corpo e le diedi un altro bacio, poi mi voltai per andarmene. Ma ancora qualcosa non tornava.
Guardai di nuovo Sky, sdraiata su un fianco che mi dava la schiena. Non dormiva. Pensava.
Sky pensava sempre. Spesso però quello che pensava era quello che la faceva stare peggio. E questo era uno di quei momenti in cui si infliggeva talmente tanto dolore da prosciugarla del tutto dalla sua luce. Se solo avessi potuto vedere ciò che vedeva lei, sentire quel che sentiva lei, forse avrei potuto aiutarla. Ci provai comunque. Lo avrei fatto sempre.

La Nostra Ultima VoltaWhere stories live. Discover now