15. Flashback?

30 7 2
                                    

Sky

Le gocce di pioggia cadevano pesantemente sul vetro del finestrino della macchina di mio padre. Guardavo le goccioline scendere in picchiata, come facendo a gara a chi arrivava per prima alla fine. Stavamo tornando a casa da scuola.
Pensavo che forse era Luis la causa del maltempo. Quando era davvero di cattivo umore non riusciva a controllarsi perfettamente, e quindi scatenava i temporali. Non che mi dispiacesse la pioggia. Adoravo vedere le gocce cadere dalle nuvole e passarmi davanti senza farsi notare, per poi schiantarsi a terra con quel minuscolo "spalsh" silenzioso.
Alla fine Luis non era di cattivo umore.
- Ciao Sky! – mi salutò sorridente come non l'avevo mai visto. Era seduto sul divano, con il telecomando della televisione in mano e la maglietta sporca. Accanto a lui, Xander aveva la sua stessa espressione.
- Ciao... - risposi confusa. – Tutto bene? –
- Oh, sì, va benissimo! – rispose.
In quel momento notai che sul tavolino davanti al divano c'erano un paio di lattine di birra, con due bicchieri davanti e delle patatine sparse un po' per tutta la stanza.
- Stanno guardando la partita – spiegò Katlin. – Abbiamo provato a fermarli, ma secondo loro era tutto sotto controllo. E ora sono così –
- Perfetto – sospirò mio padre guardando la confusione che un tempo si chiamava "salotto".
- Sky, potresti metterla al sicuro mentre cerco di sistemare questi due, per favore? – mi chiese mio padre passandomi la bottiglia ancora mezza piena. Annuii prendendola. Rimasi sconcertata dall'odore che emanava quell'affare. Con una faccia che esprimeva tutto il mio disgusto verso quella bevanda, uscii dalla stanza e mi diressi verso la bacheca degli alcolici che tenevano Theo e mio padre da una parte quasi nascosta della casa.
- E tu che ci fai qui? – Chiese Theo, appena entrato.
- Sto nascondendo la birra da Xander e Luis – risposi.
- Oh, ho visto come sono messi. Quale è? – si avvicinò alla bacheca.
Gli indicai la bottiglia mezza piena che aveva ancora una goccia di birra che colava sul collo bagnando l'etichetta lucida.
Una fitta di dolore alla testa.
Dei flash, immagini confuse.
Ricordi, forse.
Non vedevo niente.

Mi svegliai di soprassalto. Sentivo delle grida venire dal salotto. Mi alzai velocemente e andai a controllare.
La mia camera da letto non era quella di sempre. Era un'altra stanza, con altri mobili, altre pareti, ma era la mia camera.
Dopo un solo corridoio raggiunsi le grida. Alcune bottiglie vuote di alcolici erano sparse sul tavolo e sul pavimento c'erano alcuni vetri rotti.
Non era il salotto del campus. Era più chiuso, con poche finestre, e un divano sciupacchiato al centro. Sul tappeto c'erano delle macchie scure. Ma era comunque il salotto di casa mia.
L'aria pungeva di alcol. Si poteva quasi vedere alla luce.
Le grida venivano dal mio tutore legale. Non mio padre o Theo, ma quello che si definiva mio padre. Stava cercando qualcosa, adesso in cucina. Aveva mandato in frantumi piatti e bicchieri per trovarlo.
Non ci era riuscito.
Adesso era chino su un cassetto, lanciando a terra qualunque oggetto gli capitasse sotto mano. Ancora non riusciva a trovarlo.
- Signore – rimasi incerta sulla porta.
Osservai le sue mosse. Non si era accorto di me. avevo anche parlato a mezza voce.
- Signore – ripetei, più forte.
Stavo tremando.
- Tu – alzò lo sguardo e ci mise un momento per individuarmi. Quando mi vide la sua rabbia sembrò aver cambiato bersaglio, finendo su di me. Ero sempre io la causa dei loro problemi.
E loro li risolvevano bevendo.
- Dove lo hai messo? – mi si avvicinò velocemente, schiacciando a terra i vetri in un rumore che metteva i brividi.
- Non l'ho messo da nessuna parte – cercai di rimanere calma. Ci provavo sempre, a farli ragionare. Mantenere la calma quando uno è a cinque centimetri dalla tua faccia e ti inonda con un alito da alcolizzato però non è facile.
Scacciai il nodo che avevo in gola.
- Bugiarda! – gridò. – Dove lo hai messo?! –
- Non lo so – stavo perdendo il controllo.
Sbatté una mano sul muro alle mie spalle. Era tanto vicino che ogni volta che parlava mi sputacchiava in viso.
- Dimmelo! – la sua voce si alzava sempre di più.
- Non lo so! – gridai in risposta. Iniziai a piangere. Lo facevo spesso in effetti. Quasi ogni giorno.
Attraverso le lacrime cercai una via di fuga. Qualcosa che mi tranquillizzasse.
L'unica cosa che vedevo erano bottiglie vuote.
Una goccia di birra colava sul collo di una bagnando l'etichetta lucida.

- Stai bene? – mi chiese Theo.
Ero piegata in due, con una mano sulla fronte.
- Sì, solo mal di testa –
- Sicura? Sei pallida... più del solito –
- Sì, sto bene – mi tirai su.
Mi buttai i capelli dietro le spalle e mi girai verso la porta.
- Io vado – dissi, prima di scappare.
Camminai in fretta verso la mia camera, lasciai cadere lo zaino che avevo recuperato dal salotto e mi sedetti al bordo del letto.
Era passato pochissimo dal primo all'ultimo flash, ma quello che c'era nel mezzo non sembrava così breve.
Chi diavolo era l'uomo che chiamavo "signore"? E dove era la casa che definivo "mia"? E, più che altro, cosa diamine era appena successo? Era come una memoria. Mi ricordavo queste cose, almeno da due minuti, ma era come se ci fossero sempre state. Come una memoria che non sapevo di avere. Una memoria di qualcosa che non avevo vissuto. O di qualcosa che avevo completamente dimenticato. Mi spaventava in ogni caso. Un senso di agitazione mi inondò lo stomaco. Non sapevo da dove fosse venuto quel flashback, o perché fosse venuto, ma sapevo che non era niente di buono. Non che ci voglia un genio per capirlo.

La Nostra Ultima VoltaWhere stories live. Discover now