18. Sonno

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Sky

   Era il periodo di Natale, ma di natalizio non c'era niente in casa mia. Non avevo fatto regali a nessuno, non che avessi qualcuno a cui farli. Forse l'unica cosa che potevo regalare a me stessa era buttarmi da un ponte e non salire più in superficie.
   Quando "mio padre" iniziò a urlare ero ancora rannicchiata nel letto.
   Non volevo scendere.
   Non sapevo neanche se avevo la forza. Di subire un altro attacco d'ira, intendo. Ma se non fossi scesa io sarebbero saliti loro. Dovevo mantenerli fuori dal mio spazio sicuro, almeno per adesso.
   Guardai la porta chiusa dall'altro lato della stanza. Era un gesto tanto semplice quello di andare ad aprire la porta, allora perché avevo tanta difficoltà nel farlo?
   Il dubbio sparì dalla mia mente quando sentii dei passi pesanti venire dal corridoio.
   Si avvicinavano sbuffando, con troppo alcol in circolo, verso la mia porta. Non ero riuscita a proteggere il mio spazio sicuro, neanche questa volta.
   Erano arrabbiati. Non direttamente con me, ma erano arrabbiati. Loro erano come delle bestie malefiche che volevano affilarsi le unghie su un tappetino. Ed io ero il tappetino.
   Dalla forza con cui aprì la porta sembrava l'avesse sfondata. Mi urlò qualcosa addosso, schizzando saliva a ogni parola, ma io non sentivo quello che diceva. Avevo imparato a ignorarlo.
   Rimasi raggomitolata nelle coperte.
   Le bestie avevano già gli artigli affilati.
   Decisero comunque di affondarle sul loro tappetino, con l'espressione che riservavano sempre alla causa dei loro problemi.
   Se di solito il tappetino stava zitto, stavolta gridava con tutta l'aria che aveva in corpo. Gli artigli affondarono ancora di più.
   Non gridai mai più.

   Mi svegliai di soprassalto con il respiro affannoso.
   Mi sembrò, per un momento, che mi facessero male tutti i muscoli del corpo. Il momento dopo, tutto finito. Il respiro si stava regolarizzando, il cuore riprendeva il suo battito naturale. La memoria era invasa dal sogno appena fatto. Non sembrava neanche un sogno, in verità. Era talmente realistico che sembrava di averlo vissuto veramente. Ma quello non era possibile, dato che ero sempre vissuta con mio padre, sia nel 1953 che adesso.
   Mi chiedevo come facesse il mio inconscio a farmi fare sogni del genere, insomma, non avevo mai visto quei due, neanche in televisione, e non avevo mai assistito a scene di quel tipo.
   Raccapricciante.
   Andai in bagno, in silenzio, e mi guardai allo specchio. Con le lampadine che mi puntavano il viso potevo vederne ogni particolare, dalle piccole lentiggini sul naso, al neo sulla tempia, a una minuscola macchiolina bianca sullo zigomo. Quando mi avvicinai per scrutarla meglio, però, scoprii che non era una macchiolina, bensì una cicatrice. Una piccolissima cicatrice sotto l'occhio. Proprio dove la bestia aveva affondato un artiglio.
   Okay, no, dovevo smettere di pensare. Era solo una coincidenza, come poteva quella cicatrice essere stata provocata da un uomo che neanche avevo mai visto? Probabilmente me l'ero fatta da piccola e adesso non la ricordavo.
   Mi sciacquai il viso con l'acqua fredda. Il rossore alle guance si affievolì, il viso smise di bruciare.
   Uscii dal bagno.
   Per poco non urlai dallo spavento.
   - Felix – sussurrai in un sospiro.
   - Scusa, non volevo spaventarti – al buio riuscivo a vedere solo i contorni del suo viso.
   - Non fa niente. Dovevi andare in bagno? Stavo giusto tornando in camera – balbettai timidamente.
   - No, sono solo stato a prendere un bicchiere d'acqua. Tu invece sembri molto sveglia – notò, tenendo la voce bassa. - non riesci a dormire? –
   No, solo per colpa di incubi talmente realistici da farmi pensare di essere una parte nascosta della mia memoria. Così si che mi avrebbe presa per pazza.
   - No – risposi abbassando lo sguardo. – Tu? –
   - Neanche io – disse.
   Restai in silenzio senza avere la minima idea di cosa dire.
   - Beh, allora... buonanotte, o tentativi di dormire..? – suonava più come una domanda che come affermazione, ma non sapevo come muovermi in quella situazione e non sopportavo di stare davanti alla porta del bagno, con Felix che mi guardava nel buio.
   - Aspetta – disse mentre lo superavo.
   - Ti va di... parlare un po'? Visto che adesso nessuno dei due prenderebbe sonno, ecco – aveva pronunciato quelle parole con estrema lentezza e sofficità, tuttavia mi colpirono e legarono lo stomaco in un nodo nauseante. Era una sensazione strana, ma ero felice che me lo avesse chiesto, allo stesso tempo. 
   - Certo – risposi dopo un attimo di paralisi.
   - Andiamo di sotto? –
   - Perfetto –
   Scendemmo le scale in silenzio, troppo imbarazzati per dire una sola parola. Specialmente io, che stavo tremando per l'ansia di quella conversazione notturna. Se avessi fatto la figura della scema? Se mi fosse venuto un altro di quei flashback strani? Se avessi continuato a farmi assalire dai pensieri, come stavo facendo in quel momento? Cercai di fare meno rumore possibile mentre rifornivo di aria i miei polmoni, cercando di mantenere la calma.
   Quando raggiungemmo il salotto, Felix accese le lampade. Chiusi gli occhi ancora non abituai alla luce, poi li sbattei più volte e notai che aveva abbassato l'intensità. Ci sedemmo sul divano, vicino all'albero di natale spento.
   - Come mai non riuscivi a dormire? – chiese con un tono dolce. Si era girato verso di me e mi guardava con quei suoi occhi di cristallo.
   - Incubi – risposi semplicemente. – Invece tu? –
   - Sì, anche io. Negli ultimi tempi sono successe tante cose, poi gli allenamenti... un po' tutto insieme – rispose lui con un'alzata di spalle.
   - Mi dispiace –
   Non sapevo molto dei loro allenamenti, o degli attacchi al crimine che facevano, dato che mio padre e gli altri si astenevano dal parlarne con me. Non che mi interessasse più di tanto quello che facevano, almeno fin quando nessuno tornava ferito o non tornava proprio. Per adesso non era mai successo, per fortuna.
   - Come è stato, risvegliarsi in un'epoca diversa rispetto a quella in cui eri nata? – chiese poi.
   - Strano. Ero Confusa, non capivo niente di quello che stava succedendo. Poi è arrivato mio padre e mi ha spiegato tutto. Fino a qualche mese fa non sapevo neanche cosa fosse un cellulare – risposi.  Felix ridacchiò.
   - Ti trovi bene ora? –
   - Sì, mi sono abituata in fretta –
   Scese di nuovo il silenzio. Avrei voluto avere il coraggio di iniziare a parlare, ma anche volendo non avevo argomenti interessanti. Probabilmente Felix aveva capito che non facevo quasi mai il primo passo in una conversazione. Però ci provai lo stesso. Solo per questa volta.
   - Invece per te come è stato? Scoprire dei poteri e tutto il resto? – chiesi timidamente.
   - È stato piuttosto brusco a dire il vero. Quando l'ho scoperto pensavo fosse uno scherzo e ho provato a togliere le ali, ma poi le ho viste per intero e tutto ha preso una piega particolare, diciamo. Mia madre è quasi svenuta, mio padre voleva chiamare un dottore... solo mio nonno aveva capito, perché anche suo padre, mio bisnonno, le aveva. Da lì sono entrato in contatto con Ben, dopo aver fatto molte ricerche sul campus, e i miei mi hanno mandato qui. Erano sollevati di lasciarmi andare, non erano così felici di avere me come figlio, almeno, non dopo i poteri – rispose. Sembrava tranquillo mentre lo diceva, come se fosse acqua passata e adesso non lo ferisse più, ma era passato poco tempo, e si capiva che in realtà ci era rimasto male.
   - Mi dispiace tanto Felix – dissi, sincera.
   - Non fa niente, adesso ho voi – disse con un sorriso. Come se noi fossimo davvero meglio della sua vera famiglia. Gli sorrisi. Nessuno dei due parlò per il resto della notte. Non avevo idea di cosa dire e Felix sembrava essere nella mia stessa situazione. Ma andava bene così.
   Era carino, stare seduti insieme sul divano, a notte fonda, senza che nessuno disturbasse quel silenzio pacifico che regnava intorno a noi. Per il tempo della chiacchierata avevo dimenticato i sogni, le visioni e le coincidenze degli ultimi giorni. Forse avrei dovuto parlarne con lui. Era uno che sapeva ascoltare. E che non giudicava mai, anche se gli dicessi la cosa più stupida di sempre. Però non glielo volevo dire, almeno per ora. Preferivo tenere le mie riflessioni per me. Anche perché, ancora non ne sapevo niente e non mi andava di sembrare stupida davanti a tutti solo per dei sogni.
   Mi sistemai sul divano per stare più comoda. Quasi non mi accorsi di essermi avvicinata a Felix, ma a lui non sembrava dare fastidio. Anzi, subito dopo fu lui a sistemarsi più vicino a me.
   Avevo improvvisamente sonno. Le palpebre si stavano facendo pesanti. Il silenzio e la presenza di Felix mi coccolavano senza fare niente. Sarei dovuta tornare in camera, a dormire, ma il divano era così comodo in quel momento...
   Chissà che avrebbe fatto Felix se mi fossi addormentata lì.

La Nostra Ultima VoltaWhere stories live. Discover now