30. Incubi

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Sky

Stavo respirando l'aria fresca notturna del giardino. Non sapevo quale giardino, ma ero fuori casa.
Mi sentivo libera. Non riuscivo ad uscire spesso, anzi non riuscivo mai, al massimo guardavo fuori dalla finestra e sentivo gli spifferi che entravano da sotto le porte.
Mi guardai intorno. Era tutto così silenzioso. Si sentiva un piacevole odore di erba tagliata. Davanti a me c'era una strada, lungo la strada le case. Dalle finestre usciva una luce aranciata, bianca o colorata, da alcune si intravedevano gli alberi illuminati da lucine e ricoperti di palline dorate. Se ascoltavo bene potevo sentire la risata delle persone dentro. Avrei voluto sorridere.
Il mio respiro formava una nuvoletta di vapore bianca davanti al mio naso. Non mi sentivo più le dita delle mani. Brividi di freddo mi attraversavano il corpo e mi facevano tremare, ma andava bene così. Anche se non avevo un cappotto, se ero sola di notte in piedi sotto un lampione, mi sentivo meglio di come mi sentivo a casa. Anche se quella non si poteva definire "casa".
Un uomo uscì dalla casetta davanti alla quale c'era il mio lampione,
- Ciao – si strofinò le mani tra loro. – Cosa ci fai qua fuori da sola? Fa freddo... - mi guardò pieno di compassione. Anche di preoccupazione. Gli occhi rossi e i lividi si vedevano sicuramente anche con quella poca luce. Si avvicinava piano piano con un sorriso traballante.
- Ti va di entrare, così ti possiamo aiutare –
Gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime mentre un pensiero si faceva strada nella mia mente: ce l'avevo fatta. Ero libera.
Feci un passo verso l'uomo con il fantasma di un sorriso sul volto, già immaginandolo come mio salvatore, quando una mano si strinse violentemente attorno al mio polso. Lanciai un silenzioso grido di aiuto all'uomo, ancora in piedi che ci guardava impaurito. L'espressione con cui mi guardava il mostro mi gelava il sangue. Rivolse il suo finto sorriso innocente al signore tremante.
- Non si preoccupi – disse. – Mia figlia era solo uscita a prendere una boccata d'aria –
L'uomo gli rivolse un sorriso incerto. Cercai di farmi capire con lo sguardo, ma ancora non avevo i poteri magici. Inutile.
Il mostro mi strattonò via. Sentivo ancora lo sguardo del signore addosso quando voltammo l'angolo. Mi tirò uno schiaffo. Era talmente vicino che potevo sentire l'odore di alcol senza che parlasse.
- Farò in modo – ringhiò con gli occhi che pulsavano di sangue – che tu non esca mai più da quella casa. Mai più! –
Mi riportò a casa di peso, strattonandomi il polso fino a farmi male, e mi gettò dentro come se fossi stata spazzatura. Mi costrinsi a indietreggiare a striscioni per terra, non sarebbe comunque servito a niente.
Guardando nei suoi occhi furenti che piombavano su di me materializzai una consapevolezza, una certezza che sapevo da sempre.
Non ero libera.
Non sarei mai stata libera.

L'odore di alcol mi nauseava. Lo sentivo ovunque, nella stanza, nel naso, in bocca. Mi veniva da vomitare.
Corsi in bagno, cercando di essere silenziosa, e mi sedetti sul pavimento accanto al wc. Chiusi gli occhi e respirai, piano piano l'odore di alcol stava svanendo e io riuscii di nuovo a pensare con calma. Un'altra visione, dovevo aspettarmelo. Cercai di trovare un senso a quello che vedevo. Andavano in senso cronologico? Erano scatenate da qualcosa? Erano messaggi per me? Ecco, cercavo risposte e trovavo domande. Ottimo.
Dovevo parlarne con mio padre. Lexi e Max, per quanto indispensabili, non erano di grande aiuto per comprendere: qui l'esperto era mio padre. Dovevo solo trovare il momento giusto per dirglielo. E il modo giusto. Mio padre era sempre scettico e diffidente, non sapevo se mi avrebbe creduto sulla parola. Dovevo mostrarglieli, anche se non sapevo come.
Mi rialzai dal pavimento, pensando che ci avrei riflettuto meglio la mattina dopo, e andai a sciacquarmi la faccia. Avevo gli occhi rossi e gonfi, come se avessi pianto per molto tempo. Non avevo versato più di due lacrime per sbaglio, quella sera, dopo il sogno. La cosa mi preoccupava abbastanza.
Avendo perso tutto il sonno che mi rimaneva, andai nella terrazza sul tetto, sedendomi nel mio posticino sulla ringhiera. Alzai lo sguardo sullo spicchio di luna che era sospeso proprio sopra di me, la notte era piena di stelle. Era uno spettacolo che non mi stancavo mai di guardare.
- Cosa ci fai qui? – la voce assonnata di Felix mi fece sobbalzare. Mi voltai mentre si avvicinava, togliendosi i capelli neri dagli occhi.
- Potrei chiederti la stessa cosa – replicai quando mi fu accanto.
- Ti ho sentita uscire. Ero già sveglio – specificò. – E tu? –
- Incubi – risposi, come sempre.
- Ancora? Sei sicura sia normale, farli così di frequente? – mi guardò preoccupato. Sospirai, abbassando la testa.
- Ehi guardami. – mise una mano sulla mia. – Ti va di dirmi cosa ti passa per quella testolina? So che c'è qualcosa che nascondi – il modo in cui mi guardava, quegli occhi pieni di compassione o affetto o entrambi, non sapevo decifrarli, erano come calamite. Mantenni il contatto visivo per più a lungo del solito. Era così bello. Ogni dettaglio del suo volto riluceva alla lieve luce delle stelle, il naso dritto, le piccole pieghe ai lati della bocca, le ciglia lunghe... Distolsi lo sguardo arrossendo.
- Andiamo dentro, qui fa freddo – mi accorsi solo allora che era in pigiama – non indossava neanche la maglia, dato che dormiva ad ali aperte. Ci spostammo nella mia stanza, io seduta sul divanetto alla finestra, lui sulla sedia che aveva spostato vicino a me.
- Non sono solo sogni – iniziai, - è capitato che ne avessi anche da sveglia –
- E cosa succede... lì dentro? – chiese. Era confuso quanto me.
- Vedo sempre le stesse persone, anche se a volte il luogo cambia. E ho la sensazione che tutto quello che sogno sia reale e mio. – spiegai. Lui aspettò che continuassi.
- C'è questa casa, che non ho mai visto ma che conosco bene, non so come spiegarlo. –
- Pensi che quella casa sia tua? – aggrottò la fronte.
- Sì. E sento tutto quello che mi succede nel sogno come se accadesse veramente. L'odore di muffa, lo scricchiolio del legno, il... - mi fermai.
- Il..? –
- Il dolore di quando quelle persone... mi fanno delle cose – un brivido mi corse sulla schiena, sentii una morsa allo stomaco.
- Sogni di persone che ti fanno del male? – ripeté. – Sai chi sono? –
- No, non li ho mai visti, ma sono gli stessi tutte le volte – guardai fuori, facendo una pausa. – non so cosa mi stia succedendo, ma fa paura – sussurrai. Gli occhi mi si inumidirono nonostante sapessi di non aver vissuto niente di quello che avevo visto. Era strano provare così tanta paura per qualcosa che non era successa.
Felix si alzò dalla sedia e si mise davanti a me sulla finestra. - Andrà tutto bene. – disse. – Troveremo una spiegazione. Facciamo così – lo guardai, - domani lo diciamo a tuo padre, lui saprà aiutarti. Allo stesso modo, domani gli diciamo anche dei poteri, in qualche modo. Va bene? -. Aveva usato tutti i verbi al plurale. Noi, insieme. Era più significativo di un abbraccio per me. Come una torcia nel buio, Felix era una carezza per il mio cuore spaventato.
- Va bene – dissi piano. – Non so come ringraziarti per tutto questo, Felix. –
Lui aprì le braccia e mi fece un segno per farmi avvicinare. Con riluttanza lo raggiunsi e mi feci avvolgere dal suo calore, la mia schiena contro il suo petto. Appoggiai la testa sulla sua spalla.
Non avevo mai capito cosa ci trovassero le persone nei film a stare abbracciati in quel modo, fino a quando non ci fui io stessa. La sensazione di tranquillità e protezione che mi stava dando quel momento era più forte di qualunque altra cosa. E non mi sentivo a disagio, le farfalle nello stomaco volavano in cerchi rilassanti e le sue mani sulla mia vita mi facevano sentire al sicuro. Era bellissimo. Non avrei mai voluto sciogliere quella posizione. Chiusi gli occhi e inspirai.
Forse quello che diceva Lexi era vero, infondo.
Forse Felix mi piaceva più di quanto volessi ammettere.

La Nostra Ultima VoltaWhere stories live. Discover now