41. Confronto

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Sky

- Tranquilla, gli piacerà – mi rassicurò ancora Lexi, riguardo il regalo per Felix che guardavo riluttante.
   - Ma se gli piacesse solo fare foto, e non guardarle? –
   - Sky, fai sul serio? – Max mi guardò storto. - È perfetto –
   - Okay, okay, scusate –
   Presi il disegno che gli avevo fatto e lo infilai sotto il nastro che chiudeva il regalo. Era una cornice, dentro c'erano due biglietti per una mostra di fotografia che ci sarebbe stata in estate.
   Felix era uscito per vedere suo nonno la mattina, ma mi aveva detto che per cena saremmo usciti. Aveva anche detto che mio padre aveva dato il consenso. Quando gli chiesi conferma mio padre mi disse che non poteva impedirmi di fare tutto e che mi meritavo un po' di svago, con tutto quello che stava succedendo. In più era il compleanno di Felix.
   - Ti rendi conto Sky? Hai trovato un ragazzo prima di Max! – Lexi crollò sul letto vicino a me.
   - Non ha ancora detto niente di ufficiale. Max ha ancora un po' di tempo –
   - Fino a stasera, intendi. Non capisci? Ti porta fuori a cena per il suo compleanno, al posto di avere una festa di Theo. Come si fa a rifiutare una festa di Theo? – si tirò su a sedere, esaltando l'ultima frase. Max alzò gli occhi al cielo.
   - Non iniziare a fare la romanticona adesso, però – si lamentò Max verso di me, – Non ti verrò a consolare se ti spezzerà il cuore –
   - Non ci credi neanche tu, dai – Lexi gli lanciò un'occhiataccia.
   - Sì, okay, verrei a consolarti, ma ti direi "te l'avevo detto" –
   - Non credo che mi farà soffrire. In caso, me lo avevi detto. Cosa mi avresti detto? – gli chiesi.
   - Ehm... Beh, che... - inclinò la testa di lato, grattandosi il retro del collo. Lexi e io scoppiammo a ridere.
   - Sky è da tanto che non suoni, ci fai sentire qualcosa? – alle parole di Max Lexi mi fece gli occhioni.
   - No, ragazzi, non mi va ora – mi guardarono a occhi aperti. Era strano anche per me dire quelle parole, io avevo sempre voglia di suonare. Però se avessi suonato, loro mi avrebbero sentito, e se mi avessero sentito sarei finita in un mare di guai. Non volevo rivivere quello che avevo già passato con loro.
   Ma loro non erano qui. Lo realizzai dopo.
   La sensazione di ansia che provavo era basata sul nulla. Era una visione, un ricordo, niente di più.
   - Va bene, andiamo – dissi. Non ero molto convinta però.
   I corridoi erano silenziosi, la vernice sul pianoforte liscia e completa. Mi sedetti sul panchetto e sollevai le mani sopra i tasti, tremavano visibilmente. Non avevo mai avuto tanta ansia di suonare. Paura, di suonare.
   Cercai di posare le dita sui tasti, ma era come se ci fosse qualcosa che mi trattenesse. Non riuscivo a suonare. Le immagini della visione mi tornarono in testa mentre sentivo un frammento della mia anima appassirsi come la rosa che avevo davanti.
   - Sky? – Max mi chiamava.
   - Non ci riesco – mi alzai in fretta dal panchetto, quasi in ira con me stessa. Più che altro ero spaventata dall'effetto che le visioni avevano su di me. Mi allontanai dal piano in fretta, chiudendo le braccia davanti allo stomaco.
   - Che succede? – Lexi era preoccupata, si sentiva dalla voce.
   - Non riesco a suonare, Lex – sputai con voce tremante, - Non so cosa fare adesso – ero atterrita. Suonare era l'unica cosa che mi faceva staccare dal mondo, e adesso avevo troppa paura per farlo.
   - Scusate – mi precipitai fuori dalla stanza senza dire altro. Ero sul punto delle lacrime.
   Andai sul tetto prendendo quaderno e matita. Non mi restava altro che gridare alle pagine i mostri che nascondevo sotto la pelle. Graffiai la carta con linee sicure e nette, sapevo esattamente cosa stavo facendo, riempii ogni spazio del foglio con dettagli angoscianti che mi diedero un pizzico di sollievo. Disegnai le immagini che mi tenevano sveglia di notte, senza pietà per me o per chi le avrebbe viste, lasciai scorrere la paura nella matita fino a rilassarmi di nuovo, riprendendo il controllo sul respiro e sulle paure dell'inesistente. Non potevo fare altro se non quello, ormai. Non riuscivo neanche più a capire chi ero. E non era una bella sensazione.

Quando tornò, Felix venne da me. Bussò, entrò e si sedette davanti a me sulla finestra.
   - Principessa – mi rivolse un sorriso.
   - Principe – abbassai la testa abbozzando un inchino. Lui rise.
   - Come è andata con tuo nonno? – gli chiesi.
   - Bene, mi mancava stare con lui. Gli ho parlato di te – aggiunse alla fine, studiando il mio volto. Sapeva che quello che mi aveva detto mi avrebbe fatto arrossire. Sorrise alle mie guance rosse.
   - Di me? E cosa gli avresti detto di me? -
   - Di come sei diventata essenziale per me –. Lo disse con così tanta semplicità, così ovvio, come se non ci fosse niente di più consueto, ma comunque come se morisse dalla voglia di dirlo. Ero completamente, assolutamente, maledettamente senza parole. Il mio cuore intanto ballava un tango nel mio petto e sorrideva. No, anzi, rideva.
   - Io? – riuscii a balbettare anche quelle due lettere.
   - Tu. Gli ho detto che stasera usciamo. E lui ha detto di voler conoscere la ragazza che mi ha fatto brillare le ali – sorrise fiero unendo le mani sul ginocchio piegato davanti a sé. Non avevo neanche capito di cosa stesse parlando, ma dal modo in cui lo aveva detto si accese in me una punta di orgoglio, e sulle mie labbra spuntò un sorriso. Era impossibile non essere influenzati dalla sua espressione felice. Sembrava che la emanasse, la felicità, come se la sua aurea fosse pura allegria, quando sorrideva.
   - Quindi... dove andiamo stasera? – chiesi dopo un po'.
   - Ristorante. Dress code: elegante –
   - Okay, capo – risi con lui.
   - Sarà magnifico – affermò.
   - Con te, lo è sicuramente – replicai. Il sorriso che si allargò sulle sue labbra era un'opera d'arte. Lui era un'opera d'arte.
   - Felix, c'è qualcuno alla porta per te – Louis chiamò dalle scale. Felix mi fece un cenno, invitandomi a seguirlo di sotto. Mentre scendevamo mi prese la mano. Arrivati all'ingresso lui si bloccò. Una coppia era in piedi davanti alla porta, con un pacchettino rosso nelle mani. Anche loro si erano irrigiditi quando lo avevano visto. La donna gli rivolse un sorriso forzato, facendo un passo avanti.
   - Felix, tesoro – disse con voce dura. Come se facesse fatica. Indietreggiai un po' per dar spazio a Felix di parlare con i suoi genitori.
   - Mamma, papà – rispose freddo lui, passando lo sguardo da l'una all'altro. - Come mai siete venuti? –
   - È il tuo compleanno. Tuo padre voleva che ti portassimo un regalo – spiegò la madre, con lo stesso tono di Felix.
   - Come stai, figliolo? – gli chiese il padre, quasi incerto.
   - Bene, grazie –
   - Vuoi venire a cena da noi, stasera? – chiese il padre. Osservai Felix diventare nervoso.
   - Ho già altri programmi per stasera –
   - Non li puoi solo cancellare? – chiese irritata la madre.
   - No, non posso. Se volevate stare con me dovevate dirmelo prima –
   - Va bene lo stesso... -
   - Non riesci neanche a trovare un po' di tempo per noi? – l'uomo fu interrotto da lei, che quasi strillava.
   - È per questo che non ti volevo più in casa: ti sei montato la testa! –
   Felix mi lanciò uno sguardo, come se fosse spaventato. Mi avvicinai di qualche passo, lui sorrise lievemente.
   - Prima dei poteri non eri così – stava continuando la donna, - Ho fatto bene ad allontanarti, sei solo un'altra creatura malformata come quelle con cui vivi – sbraitò velenosa. Si voltò sul posto. Mi si gelò il sangue nelle vene. Guardai quella donna con tutto il disprezzo che potevo avere.
   - Non parlare di loro in questo modo! – obiettò Felix, stringendo gli occhi in un gesto d'ira. – Sono sicuramente più umani di te –
   - Come osi! – la donna gli sferrò uno schiaffo prima che lui potesse anche solo pensare di fermarla. Feci un passo avanti, con il desiderio nascosto di strozzarla, ma Felix mi trattenne.
   - Insolente che non sei altro. Non so più chi sei, ma sicuramente non sei mio figlio – concluse, priva di calore. La mano di Felix si allungò indietro, cercando la mia con le dita tremanti. Gli presi la mano, avvicinandomi ancora. Quella donna poteva parlare solamente usando tossine. Volevo tapparle la bocca con filo spinato. Non capivo come potesse parlare di Felix in quel modo. Se non ci fosse stato lui a fermarmi, gliene avrei dette quattro.
   - Sapevo che non sarebbe servito a niente venire qui. Andiamo, George. Non voglio restare qua dentro un momento di più –. Felix deglutì, guardando la madre che usciva.
   - Mi dispiace, figliolo – il padre abbassò la testa, impotente, e lasciò l'edificio.
   Felix rimase immobile per qualche istante, con gli occhi fissi sulla porta chiusa. Quando si girò verso di me sentii lo spezzarsi del mio cuore. L'aria affranta e gli occhi lucidi mi torturavano. Non dissi niente, lo abbracciai e basta. Lasciò cadere la testa, nascondendola sulla mia spalla.
   - Non starla a sentire – sussurrai, passando una mano tra i suoi capelli. – Sei la persona più genuina e gentile che conosco, non c'è niente di sbagliato in te. Sei perfetto così, Felix, non lasciare che qualcuno ti porti via il sorriso –
   - Sono lontano dall'essere perfetto – mi guardò negli occhi.
   - Per me lo sei – ricambiai lo sguardo con un sorriso. – Non pensare a lei, pensa a qualcosa di più bello -. Immediatamente gli spuntò un piccolo sorriso sul volto.
   - Visto che funziona? – giocai con i capelli sul suo collo. – A cosa pensi? –
   - A te – sorrise. Sentii le guance che si accendevano di rosso e abbassai lo sguardo, sorridendo. Felix ridacchiò e mi strinse di nuovo a sé.
   - Grazie, principessa – mormorò tra i miei capelli.
   - Per te, questo e altro, Felix -

La Nostra Ultima VoltaWhere stories live. Discover now