Capitolo 37

85.9K 1.9K 6.2K
                                    


TRAVIS'POV

Canzone consigliata: Talking to The Moon. -Bruno Mars.

Dicono che quando cresci, riesci a capire molte più cose, che vedi il mondo in maniera diversa, che se prima lo guardavi a colori poi crescendo diventava in bianco e nero.

I pensieri dei bambini erano colorati, non c'era malizia in quello che facevano nè in quello che vedevano fare, perché tutto veniva preso alla leggera. La leggerezza d'altronde poteva essere facilmente associata ad un colore, come ogni cosa.

Ma quella volta, improvvisamente tutto diventò nero, mi bastò aprire leggermente gli occhi per notare che quello non era un semplice gioco, che non c'era leggerezza e che niente di questo era a colori.

Alle mie sorelle piaceva giocare, quando non erano costrette da mamma a fare i loro compiti, mi chiedevano fino al diventare insistenti, se volessi giocare con loro. Uscivano il labbro a cucchiaio e congiungendo le mani come in preghiera mi chiedevano di giocare con loro. Non potevo dire di no a quei visetti limpidi e carini, così accettavo.

I giochi che sceglievano erano sempre divertenti e belli, e se in un primo momento non mi andava, non appena cominciavamo a giocare tutti e tre insiemi, mi piaceva.

Il problema persisteva non appena lui arrivava. Per il mostro non esisteva un no come risposta, se lui voleva giocare con noi, avremmo giocato.

Tornava a casa sempre prima di mamma. Camminava nel salone con quella sua aria sicura di sè, il completo che gli calzava a pennello il fisico asciutto e slanciato e il passo di una persona che aveva potere, non solo come datore di lavoro ma anche in quella casa.

Mandava via la babysitter non appena arrivava e con quel suo tono basso e graffiato chiedeva: «Bambini, volete fare un gioco con me?».
Quando pronunciava quella sette parole non c'era via di scampo, non per le mie sorelle almeno.

Quel giorno propose un gioco nuovo, diverso dal solito. Si tolse la giacca e la poggiò delicatamente sulla sedia della cucina per dopo sbracciarsi le maniche della camicia. Aveva un certo sorriso sulla faccia, non sapeva di niente di buono. Il mio sesto senso percepiva che qualcosa non andava, ma ingenuo per com'ero non avevo capito.

«Allora bambini, per oggi ho un nuovo gioco.» sorrideva con un ghigno indecifrabile mentre avanzava verso di noi. Si abbassò sulle ginocchia così da poter star all'altezza di Avril e Adelaide.
Era strano con loro, con me non si comportava allo stesso modo, sapeva che ad un undici anni non mi piacessero più i giochi e che se giocavo era solo per le mie sorelle. «Quale?» domandò ingenua mia sorella minore rigirandosi le dita tra di loro.
«Avete mai giocato al gioco del dottore?»
Adelaide scosse il capo innumerevoli volte mentre Avril si limitò a stare in silenzio, quando lui era in casa lo faceva sempre, non parlava.

Quando una volte le chiesi il motivo, lei rispose dicendo: «Ho paura che mi rubi anche la voce.» sussurrò prima di accettarsi che lui non fosse nei paraggi. Non capì, così chiesi perché avesse utilizzato proprio quella parola "anche".
Lei non mi rispose, mi guardò con quei suoi occhi grandi e li sbattè ripetutamente, poi, corse via.
Non capivo, mi limitai a lasciare perdere.

«In questo gioco, ci sono quattro giocatori: due pazienti, un dottore e l'aiutante. Tu e tua sorella sarete le due pazienti, Travis l'aiutante e io il dottore. Vi visiterò come fa un vero dottore e voi dovrete calarvi nella parte, ci state bimbe?» sorrise come avrebbe fatto un normale patrigno, ma lui era tutto fuorché normale. Le mie sorelle sapevano che non avrebbero dovuto obiettare, tanto il gioco si sarebbe fatto comunque, quindi non lo fecero.

Heart on fireDonde viven las historias. Descúbrelo ahora