Santa Klaus - Capitolo 9

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Klaus finisce di godere del suo ultimo pezzo di pizza, dopo aver annuito torna con lo sguardo su di me: «Era una vita che non mangiavo pizza, Mamma cucinava quello che le ordinava papà dato che i suoi super bambini dovevano avere una dieta sana ed equilibrata.» Alza gli occhi al cielo sbuffando: «Una tortura.»

«Non ti credere, anche mia madre era fissata con il cibo sano, io e papà mangiavamo pizza o schifezze da fast food quando lei usciva per andare al club del libro poi buttavamo via tutte le cartacce dai vicini per non destare sospetti, eravamo una squadra perfetta.» sorrido dolcemente mentre ricordo questo piccolo siparietto, io e papà non eravamo mai così uniti come quelle sere in cui ci sentivamo liberi di mangiare e bere qualsiasi cosa.

«Appena ho avuto l'occasione di scappare di casa mi son mangiato di tutto.» Klaus scola una lattina di birra, tutta la sua soddisfazione viene emessa in un verso compiaciuto: «Non è così male essere un randagio.»

Vorrei fargli tantissime domande, dalla più stupida come dove abbia dormito alla più seria riguardante la sua dipendenza dalla droga ma ho paura di offenderlo così decido di cambiare direttamente discorso: «Domani mattina dovrò essere a lavoro, non posso fare tardi ma tu sei libero di fare tutto quello che vuoi.»

É abbastanza sorpreso, tanto che apre e chiude la bocca un paio di volte prima di parlare: «Non vuoi più il mio aiuto?»

«Certo che voglio il tuo aiuto ma effettivamente non posso costringerti a stare qui dentro. L'importante è che riesca a rintracciarti.»

«Sei davvero il rapitore più strano che abbia mai incontrato!»

«Quindi sei stato rapito sul serio?»

«Oh si, un sacco di volte!» lo dice come fosse la cosa più normale del mondo, poi si stiracchia all'indietro, le mani si intrecciano dietro la nuca: «Che lavoro fai a parte sequestrare la gente?»

«Sono cameriera in una caffetteria, cioè ho iniziato come cameriera ma adesso la titolare si fida e mi lascia qualche responsabilità in più.»

«E come può una cameriera con qualche responsabilità in più permettersi tutto questo?» alza il dito indice facendolo roteare, ovvia allusione alla casa e tutti i mobili annessi.

«Eredità.» Taglio corto, non è certo il primo a chiedermelo. Anche da morti i miei genitori si preoccupano della loro amata figlia.

Klaus annuisce alla mia risposta poi si alza all'improvviso dal divano dopo aver battuto le mani tra loro: «Allora io vado a far benzina, dopo tutto sono libero, no?»

Capisco immediatamente dove vuole andare a parare.
Ora sono io a scattare all'improvviso verso la porta di ingresso per bloccarla: «Klaus, no.»

«Allora non è vero che sono libero.» Ribatte sorridendo malizioso.

«Certo che lo sei.» Abbasso lo sguardo per un attimo, provo un po' di tenerezza nei suoi confronti ma so che non devo cedere, non posso. «Ma se devi uscire solo per farti del male allora...Klaus, no!»

«Klaus, si.» Cerca di farsi strada ma trova il mio corpo ad ostacolarlo ad ogni mossa.

«NO!» ribatto cercando di sembrare severa com'era mio padre quando volevo uscire con le mie amiche a tutti i costi e lui me lo impediva. Se solo fossi almeno un briciolo minacciosa tanto quanto era lui.

«Si!» Klaus gira la testa guardando il vuoto: «E anche tu fatti gli affari tuoi!» grida verso il nulla.

«Klaus ti prego...»

Il mio piagnucolio lo riporta alla realtà: «Si può sapere a te che cavolo ne frega? Non mi conosci, non hai idea di quello che ho passato, non sai quello che vedo ogni notte! Tu sei solo una ragazzina viziata!»

La mano si muove da sola: gli tiro uno schiaffo. So che non è colpa sua ma in questo schiaffo c'è tutto: l'odio che ho verso me stessa e il senso di colpa che mi divora da anni, la rabbia verso Klaus che ha ceduto alla strada facile.
C'è l'odio per tutte quelle persone che avrebbero potuto aiutarlo ma non l'hanno fatto.
E solo ora che sento la mano formicolare per il dolore mi dispiace di averlo colpito.
Faccio per parlare ma dalla mia bocca non esce alcun suono.
Klaus mi sposta senza farmi male, in silenzio e a testa bassa, come un bambino che è stato sgridato, esce di casa chiudendosi la porta alle spalle.
Ho appena perso l'unica occasione che avevo per parlare coi miei genitori.
E forse ho appena perso un amico.
Devo rincorrerlo e chiedergli scusa ma quando tocco la maniglia della porta di ingresso sento un gelo profondo, provo a strattonarla ma è come se ci fosse una forza misteriosa che mi impedisce di aprirla.

«Ti prego!» urlo non so a chi, forse sto davvero diventando matta: «Ti prego lasciami andare da lui, Ben!»

So che è lui, Numero Sei.
Ovvio, tra fratelli ci si aiuta eppure mi sembrava dall'urlo di Klaus che Ben fosse del mio stesso avviso.
Merda...Come posso vincere contro un fantasma?

Klaus Trilogy - The Umbrella Academy fanfiction - Alice Gerini -Where stories live. Discover now