Santa Klaus - Capitolo 11

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Klaus sembra fin troppo a suo agio dentro la caffetteria, saluta tutti con un sonoro «Buon pomeriggio», le braccia alzate e i palmi ben aperti: sulla mano destra la scritta Hello e sulla sinistra Goodbye. Strano, ieri sera non sembrava averle.

A grandi falcate si avvicina al tavolo occupato da un gruppetto composto da ragazze che lo guardano in un misto di perplessità e spavento mentre i ragazzi fanno gli spavaldi.
Poveri illusi.

«Oh ma questo cappottino è un amore!» dice Klaus rivolto ad una delle ragazze, avvicina la mano fino a sfiorare la stoffa azzurrina, inutile dirlo, lei si ritrae tra le braccia di quello che credo essere il suo fidanzato.

«Ehi, che problemi hai?» ribatte l'altra ragazza. «Lasciaci in pace, drogato.»

In effetti anche oggi Klaus non ha il tipico aspetto da bravo ragazzo tuttavia mi ha dato fastidio il modo in cui lo hanno apostrofato.

«Drogato...» Klaus fa una pausa, poggia entrambe le mani sul tavolo dei ragazzi la cui spavalderia è andata a farsi benedire: «E pazzo scatenato.» Sussurra piano ma nella caffetteria è sceso un silenzio tale che tutti lo abbiamo sentito. Abbassa la testa mostrando una bella porzione di nuca, poi la alza di scatto gridando un: «BUH!» talmente tanto forte da spaventare persino me!

Scoppia a ridere mentre i ragazzi al tavolo se ne vanno a gambe levate senza pagare.
Oh cavolo, potrei rimetterci il lavoro e per fortuna Madison è ancora in pausa sigaretta!

«Tu, vieni con me.»

Klaus sembra essersi accorto solo ora della mia presenza, con un sorriso radioso e le braccia aperte si avvicina alla sottoscritta: «Tesoro, sapevo di trovarti qui.»

«Valery, cos'è tutto questo macello?»

Credo che Madison abbia appena registrato il record per sigaretta fumata più velocemente al mondo. Quando vede Klaus impallidisce, la sua è una caffetteria per bravi ragazzi e non per trasandati che se ne vanno in giro con pantaloni della tuta (la mia) maglietta sporca e trucco nero colato fino le guance.

Si mette davanti a Klaus con le mani ai fianchi: «Non so chi sei ma o te ne vai e smetti di disturbare Valery e i miei clienti, o chiamo la polizia.»

Klaus alza entrambe le mani in segno di resa: «Guarda che è lei che rapisce la gente.» Mi indica annuendo convinto per poi tornare sulla mia titolare. «Io sono solo un povero ostaggio scappato dalla sua orribile cella.»

Credo che non dimenticherò mai lo sguardo agghiacciato della titolare mentre si gira verso di me a rallentatore.
Devo assolutamente inventarmi qualcosa...
Con una delle risate più finte della storia mi avvicino a Klaus abbassandogli le mani: «Perdonalo Madison, è il mio ragazzo, sta studiando teatro quindi deve fare pratica.»

Tutta la rabbia di Madison si trasforma in allegro stupore: «Valy! Non mi avevi detto di avere un fidanzato!» Voilà. Dai ad una donna un pettegolezzo e questa si dimenticherà di tutto. «Ok prenditi un po' di pausa ma non fate più casino.» Ci ammonisce per poi tornare dai suoi clienti: «E va bene che si tratta del tuo fidanzato ma ricordati che sei a lavoro, Valy.»

Numero Quattro fa spallucce in un'espressione da innocente che mi da quasi sui nervi: «É andata bene, no?»

«Vieni con me.» ringhio (di nuovo).

Va bene creare macello dentro casa ma rischiare di farmi perdere il lavoro...No!

Lo spingo all'interno del magazzino per poi chiudere la porta, nemmeno si guarda attorno anzi resta concentrato sulla mia figura venendo sempre più vicino. «Oh, siamo arrivati a questo punto della nostra relazione? Ci chiudiamo dentro gli sgabuzzini?»

Maledizione.
Perché ha abbassato la voce all'improvviso? Perché ora i nostri corpi sono così vicini e le nostre labbra si sfiorano appena? Il suo fiato caldo si unisce al mio e gli occhi...Questi occhi verdi come uno smeraldo spento che aspetta solo di brillare di nuovo...

No Valery, non cedere!

Porta le mani ruvide sul mio volto morbido. Mi sento morire: «Sindrome di Stoccolma al contrario?» chiede abbassando ancora di più il tono.
Facendosi ancora più vicino.

Valery...SVEGLIATI!

Scuoto la testa allontanando le sue mani fredde ma sentendo un immenso calore sulle guance e sulle orecchie. «Ma quale sindrome di Stoccolma al contrario, non puoi venire dove lavoro e...» mi fermo indietreggiando di un passo, giusto per riprendere le distanze di sicurezza: «A proposito, come hai fatto a sapere dove lavoro?»

«Hai lasciato alcune divise da pulire in bagno, sopra c'era scritto il tuo nome e quello del locale, non è stato difficile.» prende un bel respiro, chiude gli occhi e pronuncia un delle frasi più spaventose di sempre: «Dobbiamo parlare.»

Klaus Trilogy - The Umbrella Academy fanfiction - Alice Gerini -Where stories live. Discover now