Capitolo 1: Bravo (Parte 1)

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Presente.
Ocean City, Maryland, Stati Uniti. Ore 2:37

Il porto di Ocean City era un luogo isolato dalle grande metropoli. Si respirava un'aria mite e placida, priva dell'inquinamento luminoso dei grattacieli e delle insegne pubblicitarie invadenti e sfarzose; era una piccola cittadina di pescatori, di coloro che prendevano i propri pescherecci con la speranza di tornare a casa con un'ottima abbondanza di cibo. Vantava della presenza di settemila abitanti; nulla di troppo disturbante. Le vie erano vuote. Ocean City era sempre stata vuota; tralasciando qualche abile spacciatore – ragazzini in balia di un piccolo traffico di roba leggera, che non desse nell'occhio, attirando l'attenzione delle forze dell'ordine – tutto era vuoto e spento. Le luci arancioni delle strade illuminavano quei vicoli stretti, abbandonati. In cielo non poteva intravedersi neanche una nuvola. La temperatura si era abbassata, stonando in quella che poche ore fa poteva definirsi una bellissima serata estiva. Il fruscio delle ruote che collidevano contro l'asfalto umido delle strade lasciava un eco distante, come una scia di suoni che all'orecchio risultavano rilassanti e parecchio stimolanti per il sonno. Qualche panettiere stava lavorando; per alcuni la notte era diventata il loro nuovo giorno; le vite si invertivano, dando poi alle persone ciò di cui avevano bisogno per trascorrere la giornata. A differenza di Washington, o della Grande Mela, non vi erano malviventi in agguato; ubriaconi e serial killer non erano ispirati a buchi sperduti come questo piccolo paesino. Non avrebbero trovato nulla di buono, nessun buon uomo aristocratico da derubare. Forse l'età media di quella cittadina non andava al di sotto dei quaranta/cinquant'anni. E, viste le apparenze delle abitazioni, in legno, capannine che non superavano i tre piani di altezza, lo stipendio mensile non era di certo utile a sfamare qualche ladro in cerca di fortuna. Sebbene la lista di difetti avesse potuto continuare all'infinito, Ocean City era caratterizzata da un porto immune ai controlli legali della polizia, quindi era un luogo perfetto per i criminali di un grosso giro da poter prendere di mira, usufruendo di quell'implicita calma per proseguire i loro affari nella perfetta armonia e nonchalance. Il porto, la notte, veniva dimenticato, lasciato in balia di chiunque avesse voluto fare il furbo. Proprio quel giorno era diventato, per l'ennesima volta, la zona di un mercato nero; la struttura principale era decorata da finestre illuminate, le quali avrebbero potuto attirare l'attenzione degli abitanti, se solo fossero svegli. Il silenzio era la loro arma migliore, e – per quello che commerciavano – non si muoveva nemmeno una mosca. Uomini camminavano attorno all'edificio, armati di fucili d'assalto; perseguivano una ronda distratta, utile a non dare nell'occhio, vestiti da umili pescatori pervasi dalla voglia di poter avere l'oceano tutto per loro, pescando la notte per privare gli avversari del miglior raccolto. Esaminavano la zona in cerca di movimenti sospetti; non ricevendone alcuni, si davano il cambio, confermando la sicurezza della zona per fare in modo che il loro superiore concludesse gli affari e facesse partire quelle navi con il carico che lui aveva richiesto. Quei criminali erano convinti che qualcuno avesse potuto fermarli dalla strada, avendo un lato coperto dalla distesa infinita di acqua, eppure non avrebbero mai potuto sapere, più che altro prevedere, che proprio in mezzo a quelle acque scure come l'abisso, si celavano esseri viventi.

Non pesci.
Non crostacei.
Uomini.
Uomini in tenuta da sub stavano nuotando nei fondali di quella riva poco profonda, un trenta metri, per raggiungere il porto senza farsi notare da quegli stessi criminali intenti a difendere il loro operato. Erano in quattro. Stavano nuotando lentamente in direzione del porto, verso la zona scarico di merce, un labirinto di container collegato alla struttura principale; solamente da esso vi si poteva accedere, dunque nessuno avrebbe ispezionato quella zona con la stessa meticolosità con la quale si stavano muovendo lungo i lati scoperti del porto. Oltre le onde, oltre le alghe, nuotarono, erogatori in bocca e occhialini davanti agli occhi per guardare dove stavano andando; uno di loro, colui che chiudeva la fila, teneva sulla schiena uno zaino dalle grandi dimensioni, tattico, impermeabile per tenere lontano dall'acqua qualunque cosa vi fosse all'interno. Il primo, invece, guidava i suoi compagni fino alla riva dello scarico. Avevano già ispezionato la zona dall'alto, per mezzo di quello stesso drone che stava sorvolando sopra le loro teste, proiettando nei computer di chi lo stava controllando una visuale perfetta del porto e di tutti i suoi abitanti. Nel frattempo un altro schermo mostrava quello che stavano osservando i quattro uomini, muniti di una telecamera idrofobica; fondali non tanto limpidi a causa del petrolio e del carburante delle navi attraccate, ma dalla superficie a mano a mano più luminosa, dalla quale sarebbero dovuti sbucare nell'obbiettivo del drone da un momento all'altro. Una donna dai lunghi capelli neri, legati in uno chignon alto, indossava una divisa del Navy SEAL e si era appostata proprio davanti a quel computer, agli schermi che il team del supporto tecnico aveva sotto controllo.

La Sottotenente Stella Luison aveva le mani dietro la schiena e stava camminando lungo le scrivanie della nave lontana qualche chilometro dal porto, non abbastanza pur di mantenere alto il segnale del drone; aveva seguito con gli occhi scuri il viaggio che la squadra aveva compiuto per arrivare al porto di Ocean City. Erano scesi con una scialuppa dalle piccole dimensioni in mare, e si erano diretti al porto, dopodiché avevano indossato le tenute da sub e si erano immersi per nuotare al luogo della missione che era stata assegnata loro dalla CIA. Un agente sotto copertura era scomparso da più di settantadue ore, perciò era stato attivato il protocollo di salvataggio immediato. Una manovra di competenza del Navy SEAL, specialmente se essa comprendeva un approccio via mare. La donna dalla folta esperienza, per i suoi trentanove anni portati divinamente, priva di rughe in viso, aveva una linea di stretti contatti con la CIA, quindi quando qualcosa riguardava l'agenzia di Langley, era come se riguardasse anche la sua squadra di forze speciali; erano nati per le operazioni di massima segretezza, spionaggio, contro spionaggio e antiterrorismo. Gli altri team venivano mandati sul campo per operazioni meno delicate come quella. In gioco vi erano degli ostaggi: non si scherzava con il fuoco.
Stella curvò la schiena in avanti per puntellare le mani sulla scrivania principale, non appena saltò alla sua vista la figura del leader del Team mandato in azione. Seguito dagli altri tre compagni, corse verso un container per cambiarsi ed indossare l'attrezzatura che avrebbe aiutato l'assalto via terra.
Sono dentro. Pensò seriosa, preparando il microfono per le comunicazioni via radio. Adesso doveva solo aspettare che il leader avviasse il canale; essendo in acqua, gli uomini erano stati privati di un qualsiasi tipo di messaggistica. Qualora fosse accaduto qualcosa di nefasto, Stella lo avrebbe scoperto solamente una volta attivate le comunicazioni, cioè quando uno di loro fosse riemerso e fosse stato abbastanza asciutto per mantenere funzionante la radio. Si fidava ciecamente dei suoi uomini, soprattutto di chi li guidava. Non era un soldatino qualunque, un fanfarone dalla voglia matta di fare il culo a qualche criminale.
Assolutamente no.

Chi si trovava dentro quel container erano quattro uomini che sapevano il fatto loro, che avevano passato tante di quelle guerre, e vinto battaglie, da guadagnarsi il titolo di miglior team di tutto il Navy SEAL.
Il Team Bravo aveva fatto la sua comparsa, e quando entrava in azione, nessuno lo avrebbe fermato.
Il leader del gruppo si tolse l'erogatore e gli occhialini, dopodiché passò al passamontagna della tenuta da sub, scoprendo la nuca. Si passò una mano sul viso, facendo spiccare una mascella squadrata, degli zigomi pronunciati, occhi marroni sottili e severi, e dei capelli cortissimi, ma di un colore biondo acceso, reso un po' più scuro dall'acqua. Calò la cintura della tuta per liberarsi da quell'involucro impermeabile; risaltò una divisa mimetica, caratterizzate da toppe, patch che dichiaravano l'appartenenza agli Stati Uniti d'America, al Navy SEAL, ma soprattutto al Team Bravo. Bravo Uno era proprio lui. Il capo della squadra.
Il Capitano Dave Morrison.
Il primo Capitano del Navy SEAL a rinunciare ai lavori dietro una scrivania, alla guida da remoto dei suoi uomini, per essere insieme a loro, a combattere per tenere alto l'onore del team migliore in circolazione. D'altronde era anche il più giovane capitano che vi fosse; avrebbe dovuto essere accanto a Stella, guidarla e ordinarle cosa fare, invece avevano collaborato insieme per lo sviluppo di quella manovra e aveva lasciato a lei l'incarico di salvaguardarli dalla distanza. Trentasei anni di muscoli, camminò lungo i suoi compagni per raggiungere l'enorme zaino che Bravo Quattro, il soldato di prima classe delle Forze Speciali Kyle Quinn, aveva sopportato sulla schiena per tutta la nuotata; l'energumeno aveva quattro anni in meno di Dave, ma delle braccia talmente possenti da rischiare di strappare la tenuta da sub; la nuca rasata faceva da contrasto alla barba folta che dovette asciugare con un asciugamano. Chi aveva aperto lo zaino, invece, era Bravo Cinque: il soldato di prima classe delle Forze Speciali Gavin Brown, nonché il supporto informatico del team. Aveva preso il tattico del suo leader e glielo aveva consegnato, seguito dal suo fucile. Dave allacciò le cinghie, attaccando l'arma di fronte al suo petto. Poi proseguì con il casco del Navy SEAL. L'attrezzatura passò a Bravo Due: il Sottoufficiale capo Gregory Reed, il secondo in comando del team. Coprì gli occhi verdi con gli occhialini balistici della divisa ed indossò i guanti; si appostò accanto al suo superiore e gli porse la radio che Gavin gli aveva dato. Dave l'accettò e la infilò nel tattico, portandosi l'auricolare sopra l'orecchio.
Quando tutti finirono di vestirsi, gettarono l'attrezzatura da sub dentro lo zaino e lo lasciarono in un angolo del container. Dopodiché il cotanto bramato segnale radio venne finalmente attivato.

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