Capitolo 46: Linea

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La situazione si era ribaltata. C'era qualcosa che era andata completamente fuori posto, secondo la sua mente traballante dalla paura e dal timore.
Sul suo badge era segnata l'appartenenza a quel piano; ovvio, era suo. Era lui che comandava tutta quella marea di persone che andavano avanti e indietro come delle palline pazze, trasportando fogli su fogli, documenti su documenti, i quali la maggior parte delle volte spiccavano il volo e si spargevano sul pavimento come lo scoppio di un festone ad una festa di compleanno. Tuttavia quella mattina il suo team si era pietrificato prima del previsto. Quel solito via vai lontano dall'essere fastidioso ai suoi occhi, bensì un ulteriore conferma di quanto quel lavoro non fosse una bazzecola tanto da aver trasmesso ai suoi dipendenti lo spirito giusto – un termine che dall'esterno nessuno gli avrebbe mai consentito di utilizzare per descrivere le donne e gli uomini che lo seguivano in quella costante gara a chi fosse il più ansiogeno del giorno – per poter ingranare la marcia e non fermarsi neanche un momento. Tranne quel giorno, però. Era strano che in quella Direzione vi fosse un silenzio tombale da aver costretto il personale a rimanere seduto davanti alle reciproche postazioni, a picchiettare leggermente le dita sulla tastiera, a stampare sì e no qualche foglio, il quale veniva consegnato al suo legittimo destinatario con una spinta della sedia per non far rimbombare il suono dei tacchi o un vocione che chiamasse l'altro per avvisarlo del documento pronto per essere ritirato. Accadeva che solo per un margine di tempo i suoi dipendenti si fermassero; aspettavano che chi sapevano loro entrasse nel suo ufficio, dopodiché ripartivano con le loro faccende come se niente fosse. Questa volta non era successo.

Timothy Su osservava dalla parete vetrata del suo ufficio il parlottio sommesso del suo team, talmente pacato e inaudibile che dalla sua stanza intuiva che stessero parlando solo dal movimento delle loro labbra. Il suo operato non era cambiato in quei giorni; la routine era praticamente quasi la stessa, anzi, si stava impegnando maniacalmente sul progetto che la Direzione delle Operazioni gli aveva affidato che non aveva combinato casini con i sistemi di protezione informatici della CIA. Tuttavia quella mattina era stato colto da un evento unico quanto raro, spaventoso quanto paralizzante; Noah Finley era entrato veloce, con un'irruenza tale da far cigolare più del dovuto la porta d'ingresso, e lo aveva guardato dritto in faccia, senza cuffie e senza cappuccio. 
Prendi tutte le riprese della città su Capitol Riverfront. Ogni fottuto angolo. Almeno dell'ultimo mese. Ti concedo venti minuti: voglio tutto nel mio ufficio. Gli aveva ordinato, mentre continuava a camminare verso il suo ufficio. Quando aveva sbattuto la porta, le teste di tutti si erano voltate a rallentatore verso di lui, gli occhi spalancati come tanti gufi impauriti che lo avevano messo in soggezione da fargli cadere la pila di scartoffie che aveva in mano. Stavano per aprire bocca quando qualche secondo dopo era arrivato il colpo finale che li aveva indotti a quella modalità taciturna.

Ad aprire la porta per la seconda volta era stato Dave Morrison.
Senza rendersene conto, si erano messi tutti in piedi, come sull'attenti, seppur il Capitano li avesse salutati con la sua solarità sinistra ed un sorriso che non aveva nulla a che vedere con quello giornaliero con la quale rialzava il loro morale con delle pacche energiche sulla schiena da rompere tutte le ossa; anche lui sembrava essere turbato da qualcosa, qualcosa che era collegato alle riprese richieste dal ragazzo, ma loro si erano limitati a chinare il capo e a tornare seduti.
Era per questo che era calato il gelo in quel piano.
Perché mai era successo che quei due scegliessero di nuovo la Direzione delle Scienze e delle Tecnologie come luogo per riunirsi e discutere del loro lavoro, specialmente se avevano chiamato anche il loro capo in causa per il procedimento delle stesse. Avevano paura di fare troppo rumore e di disturbarli, ma allo stesso tempo avevano temuto che fosse scoppiata una diatriba da un momento all'altro e avrebbero udito le loro urla fino a quando uno dei due non avrebbe preso la corretta decisione di andare via.
Timothy si era fatto in quattro per raccogliere tutto il materiale; la stampante stava quasi per scoppiare dall'enorme quantità di foto che stava fabbricando, mentre nell'hardisk stava inserendo contemporaneamente le riprese dell'interno mese, di tutte le videocamere della città che davano in quel punto. Quando concluse, prese tutto quanto, abbracciandolo con le sue braccia tremanti dalla paura, e si fece coraggio. Stava sudando come un maniaco ricercato dalla polizia; sulle ascelle si erano create le cascate del Niagara e pregò che alle narici dei due agenti più eccentrici della CIA non sarebbe arrivato il tanfo che esse emanavano. Ci mancava solo una brutta figura per poter chiedere le dimissioni e morire in un angolo sperduto di Washington dalla vergogna.

OPERAZIONE YWhere stories live. Discover now