Capitolo 72: Vecchie amicizie

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Fernando García era felice del suo nuovo lavoro.
I suoi quarantasette anni erano proseguiti bene, in fin dei conti, non poteva lamentarsi di dove era arrivato; aveva avuto momenti travagliati, attimi in cui aveva pensato veramente che la sua vita fosse giunta al termine, ma non era accaduto. Significava che Dio voleva che ancora lui desse un contributo nel mondo, e che forse non era così criminale come avevano voluto etichettarlo. Certo, aveva fatto parte di uno dei cartelli messicani più temuti – quattro anni fa – un movimento che oramai era stato sostituito da quello attuale, dopo che il suo era stato totalmente sovrastato dalle forze speciali americane. Per fortuna era riuscito ad utilizzare le sue egregissime e spettacolari doti di diplomazia da ottenere la libertà vigilata una volta confessati i suoi peccati. Se solo il suo boss avesse scoperto che era stato lui a parlare e a mandare il suo più grande traffico in rovina, sarebbe morto il giorno dopo, da parte degli ultimi sicari in circolazione che avrebbero portato via la sua vita come lui aveva portato via la loro... in altri termini però.
Ma Fernando ci teneva alla sua pellaccia, più del grande gruzzolo che si era fatto in quegli anni di lavoro dove il compito che gli era stato affidato era rifornire l'aereo che entrava e usciva dal confine con la droga e tornava con un malloppo a sei zeri che lo aveva reso ricco. Nascondere tutte quelle carte era stato difficile, tanto che erano stati costretti a donarli ad altre persone, a regalarli alle famiglie, rischiando di farsi scoprire dalle autorità locali – quelle non corrotte dal Cartello ovviamente; ma essere un trafficante era sinonimo di rischio, di cautela e discrezione.

Lui era troppo vecchio, ormai, per continuare quella vita. Una volta conclusi gli anni di libertà vigilata, ed essersi allontanato un bel po' dal Sinaloa, aveva deciso di trasferirsi negli Stati Uniti con gli ultimi soldi che gli erano rimasti dentro le tasche, salvati in un posto sicuro, come ultima chance di sopravvivenza se un giorno gli avessero tolto tutto; era sempre stato un tipo furbo che non si era mai fatto sottomettere da nessuno; era bravo a fregare il prossimo, anche se non sapeva difendersi a mani nude e non poteva essere paragonato ai sicari che venivano scelti proprio delle righe dei cadetti dell'accademia di polizia, affinché non venissero sottoposti ad un addestramento finanziato dai narcos: erano già pronti per rapire, torturare e uccidere. Il suo ruolo era ben diverso; non era mai entrato nella polizia, non aveva mai studiato, ma era un ottimo meccanico – dovuto agli insegnamenti del suo defunto papà Félix – che, grazie alle giuste amicizie e alle auto dei bersagli che aveva manomesso come breve periodo di gavetta, gli aveva fornito un posto nelle linee dei narcos nella quale vi era stato per lunghissimi ventisette anni.

Adesso stava fischiettando felice, camminando verso la saracinesca della sua officina fuori città. Faceva grossi affari, era felice di aver aperto un posto per lavorare in nero e non pagare le tasse. In questo modo tutti i soldi che gli entravano erano suoi, e non doveva rendere grazia a nessuno. Se ne intendeva di mezzi di trasporto, avendo avuto a che fare con tutti i generi, da via terra a via aria, perciò aveva iniziato ad accogliere messicani come lui per aiutarli ad entrare negli Stati Uniti e farsi una nuova vita, allargando poi il giro ai criminali: era qualcosa che era scritto nel suo sangue, non poteva farne a meno. Ma era neutrale, il suo operato; a lui bastava che lo pagassero, poi avrebbero potuto fare tutto quello che volevano, basta che non venisse coinvolto. Allora aveva costruito un'officina più grande e aveva guadagnato almeno una quindicina di addetti che potessero aiutarlo in quell'impresa quando i mezzi da aggiustare e le targhe da contraffare erano troppe per una singola persona, per un uomo che stava raggiungendo la cinquantina e i dolori alla schiena e alla sciatica iniziavano a puntellarlo a letto come un vecchio moribondo. Si abbassò, imprecando in spagnolo, per sollevare la saracinesca e dare il via ad una nuova ed intensa giornata di lavoro.

«Oh issa!» bofonchiò, quando aprì del tutto l'officina.

Lui arrivava sempre un'ora in anticipo ai suoi dipendenti; doveva assicurarsi che i suoi nascondigli fossero intatti e che nessun impiccione li avesse toccati per fare il furbo e avere più soldi. Tolse il giubbotto di jeans, appendendolo all'attaccapanni e accese il quadro elettrico per avere l'interno bello illuminato. Sembrava che tutto fosse in ordine. Perfetto. Si diresse al suo ufficio per controllare i documenti e mettersi subito a lavoro con tutte le nuove richieste che aveva da affrontare, cosicché i suoi uomini sapessero immediatamente cosa fare non appena avrebbero messo piede là dentro. Mise la chiave dentro la serratura.
Interdetto, inclinò il capo quando non dovette compiere alcun giro e la porta si aprì direttamente. Che strano. Aveva dimenticato di chiudere a chiave il suo ufficio? Dal troppo lavoro doveva non averci fatto caso. Fece spallucce ed entrò, accendendo la luce.

OPERAZIONE YWhere stories live. Discover now