Capitolo 54: Colpe

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Il ruolo di Generale non era per tutti.
Mantenere l'ordine nelle righe dei propri uomini, comandare il resto delle cariche che vi erano sotto di te, fare in modo che i piani alti del Governo potessero confermare ogni azione, ogni movimento che i team dovevano compiere per entrare in azione, ogni pratica che riguardasse la legislazione, non era per tutti; bisognava vantare di non pochi anni di esperienza sulle spalle, essere un veterano che potesse passare dal grado di Colonello a quello di Generale dopo che la condotta era stata sufficientemente impeccabile sul campo, seguita da missioni e operazioni di massimo successo che avessero ammassato sulla giacca stelline e medaglie d'onore. Ogni soldato che abbandonava la base del Navy SEAL per partire in una missione di alto rischio, era supervisionato da permessi che sbocciavano dal Comandante, per poi passare al Capitano, il quale li mandava in revisione dal Tenente, poi dal Colonello e infine il Generale, colui che decideva se davvero quella presa di iniziativa potesse essere utile a portare un successo, un bersaglio prezioso, un obiettivo di alto valore, in territorio americano; operazioni ardue passavano sotto la sua supervisione, affinché i suoi uomini non si muovessero per una missione suicida che non avrebbe portato a nulla di buono se non un fallimento che avrebbero rammentato fino alla fine dei loro giorni. Passare dall'imbracciare un fucile a prendersi la responsabilità di tutti coloro che indossavano una divisa era un passo delicato da compiere; quando gli era stato chiesto di sostituire il precedente Generale, lui – da Colonnello – aveva accettato senza mezze misure, dopo anni ed operazioni in cui il suo nome non era mai stato dimenticato. Il rispetto e l'onore che si era guadagnato nel corso della sua carriera non poteva essere contestato; ogni singolo uomo, o donna, che incontrava lungo i corridoi della base chinavano il capo e si mettevano sull'attenti quasi istantaneamente, scrutandolo con occhi colmi di ammirazione, un sentimento simile alla venerazione. Doveva ammettere che quella vita non era affatto male; nonostante le innumerevoli responsabilità che portava sulle spalle, la consapevolezza che anche il più impercettibile passo falso avrebbe potuto sgozzare la lunga piramide che aveva scalato pur di ritrovarsi in cima, gli piaceva stare al centro dell'attenzione a avere tutti quegli occhi puntati addosso.

Con sessant'anni portati benissimo, una famiglia, due splendidi figli già sposati e quattro nipoti, Jude Collins non poteva lamentarsi di non aver vissuto appieno la sua sobria e adagiata vita. Ricco da far schifo, poco umile e appariscente, adesso stava rincasando nella sua villa lontano da Washington, in un appezzamento di terreno tutto suo che gli aveva consentito un giardino alla romana, con un viale in marmo, tre fontane e riproduzioni fedeli delle sculture più note della storia latina, illuminate da faretti soffusi, giusto per creare l'atmosfera di chi stava per andare in un museo, fuorché a casa. Dopo aver parcheggiato nella piazza, girando attorno ad una delle fontane, attive e dall'acqua cristallina, Jude scese dall'auto, una lussuosa Lamborghini blu notte, e tenne il cappello da Generale sottobraccio, mentre nell'altra aprì l'ombrello per l'intensa pioggia che non aveva intenzione di cessare da quando aveva iniziato nel primo pomeriggio, proseguendo verso la porta d'ingresso. A giudicare dalle luci spente e dall'assenza di altre auto, dedusse che la moglie non era ancora tornata; Amalia, una stupenda donna di cinquantaquattro anni, lavorava per la Casa Bianca, al Gabinetto per l'esattezza, perciò il suo lavoro durava fino a tarda sera; di solito avrebbe dovuto trovare i due figli e i nipoti in casa, ma proprio perché quel giorno erano tutti indaffarati col lavoro, avevano rimandato all'indomani, una cena che avevano organizzato al miglior ristorante stellato della città. Dopo essere entrato in casa, Jude posò il berretto sul mobile accanto alla porta e si diresse al piano di sopra. L'abitazione era strutturata a due piani, classica, quasi come se fosse un castello; mobili in mogano e pareti scure, la scalinata frontale alla porta era di un marmo bianco, corrotto da venature nere, decori che riuscivano a farlo riflettere alla luce del lampadario in cristallo. Visto che era ancora relativamente presto, avrebbe potuto preparare le carte che erano rimaste in sospeso in ufficio, così da avere il lavoro già finito e poter passare il resto della serata a coccolare Amalia. Proseguì lungo il corridoio, accendendo le luci calde della casa, svoltò l'angolo ed entrò nel suo studio. Il tipico ufficio classico, con una vetrata di fronte alla porta, alle spalle della scrivania, della sedia in vera pelle nera; le tende erano aperte, il fascio di luce dei lampioni esterni, seguiti ogni tanto da qualche lampo che squarciava il cielo con dei piccoli flash, colmavano il buio della stanza, delle pareti totalmente tappezzate di diplomi, lauree e riconoscimenti che aveva susseguito lungo la sua carriera da studente e da soldato.
Tese la mano per poter accendere la luce.

Tuttavia ci fu un tap che non soddisfò le sue esigenze, lasciando che regnasse il buio.

Le sopracciglia di Jude si sollevarono con lentezza, gli occhi acquamarina con un riflesso di stupore, eppure fin troppo stoici e irremovibili, nonostante fosse chiaro che quello non era un blackout, visto che la luce del corridoio fu in grado di illuminare, andando oltre la sagoma della sua ombra, la sedia girevole della scrivania: fronteggiava il panorama esterno, anziché l'entrata.

OPERAZIONE YWhere stories live. Discover now