Capitolo 73: Vigilia

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Gli attimi erano degli eventi formidabili. Affascinanti. Curiosi. Che cos'era un attimo? Spazio brevissimo di tempo, istante, momento: una definizione da vocabolario che non avrebbe potuto esplicare nel migliore dei modi l'essenza dell'attimo, quell'intervallo in cui tutto è zero, immediatamente dopo diventa uno e poi torna a ripetersi, mutando, cambiando, trasformandosi, assumendo forme nuove e indescrivibili.

Un ciclo infinito di energia di cui si è sempre nutrito il mondo sin dalla sua esistenza.

La vita è fatta di attimi. Di momenti. Istanti in cui un sorriso diventa una lacrima, una risata un urlo, un battito un tremore. L'unico avversario dell'attimo è la morte. Solo quando tutto cessa di muoversi, di creare energia, gli attimi si estinguono. Nella vita dell'essere umano è così. La morte abbraccia la vita e gli istanti si trasformano in stasi, nel nulla. È solo la Terra ad assaporare l'attimo della morte, un ciclo che termina per qualcuno, ma prosegue per qualcun altro. Una spiegazione scientifica che non potrà trovare una sua esatta definizione; l'attimo è vittima della coscienza, il mistero alla quale l'essere umano non è mai venuto a capo.

Ma era incredibile come un attimo di inestinguibile dolore fosse potuto diventare un piacere quasi angelico.
Se prima il suo cuore era attraversato dall'agonia, da una mano che non aveva fatto altro che stritolarlo sino a risucchiarne l'ultima goccia di speranza che aveva nutrito con ostinazione, con tenacia, finché ogni cosa a lui cara gli era stata estirpata via con la forza, adesso si era fermato tutto, ogni sua singola emozione era stata ibernata in un gelo che lo aveva accolto a braccia aperte, meglio di qualunque altro calore che aveva liquefatto ogni cosa attorno a sé. Era stato un suono malefico, quello che si era insinuato nelle sue orecchie.

Mi ero fidato di te. Ci credevo veramente.

Una voce che gli aveva dato il colpo di grazia.

Un frastuono agghiacciante, un flash che era andato oltre le palpebre chiuse di chi aveva accettato il suo destino. Fu immune persino alla compressione al torace di qualche scheggia che si conficcò oltre il suo tattico. L'onda d'urto aveva spinto il suo corpo, una forza equiparabile alle mani di chi lo aveva tradito spingerlo fuori dalla sua vita per sbarazzarsi di lui; si era sentito così leggero che era felice di essere arrivato ad una fine in quel modo. Non aveva più nulla da perdere, dopotutto. Aveva perso le nuove persone che lo avevano accettato per quello che era, la sua seconda famiglia, perciò era meglio che tutto finisse in quel modo, indolore per la sua mente.

Un attimo di rumore. Di un fischio che aveva reso tutto impossibile da distinguere. Il suo corpo senza peso, senza il macigno dei corpi di chi era morto per la sua mancata autorità.

Poi...il freddo. Il vuoto.

Da energia al nulla.

Le fauci dolci e materne dell'oceano lo avevano accolto con gioia, e lui si era lasciato andare senza opporre resistenza. Era inspiegabile. Sebbene la mancanza di ossigeno, si sentiva stranamente bene.
Era tutto falso.
Te la farò pagare per quello che hai fatto.

Non esisteva nulla del genere. Perché si stava illudendo così?
Mi ero fidato.

Credette di muoversi verso l'alto, non comprese, avendo solo le forze di schiudere le labbra e di lasciare andare un sospiro di bolle.
Ci credevo veramente.

Ci aveva creduto davvero?

Un attimo che era mutato di nuovo. La stasi era stata annullata.
Le sue orecchie ovattate udirono un suono, acqua, la nitidezza dell'aria, la notte glaciale e assiderale. Le esplosioni erano finite. Il suo cuore riprese a battere più forte, mandandogli un segnale.

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