Capitolo 80: Svantaggio?

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Aveva sempre odiato i rumori forti.
Essendo un videogiocatore di videogiochi sparatutto, avrebbe dovuto essere abituato ad udire le esplosioni, le urla, le fiamme, i proiettili, i passi che gli avrebbero fatto intuire da che lato i suoi avversari si stavano muovendo; in quel caso il volume doveva essere messo quasi al massimo, le orecchie rizzate e tese per raccogliere ogni frutto di quella coltivazione per portare a casa quante più provviste per la sua sopravvivenza. 

Eppure non c'era completamente paragone. 

Tramite le cuffie i suoi timpani ricevevano onde di una stessa frequenza, una costante che avrebbe rovinato l'udito, senza dubbio, ma avrebbe impedito che i decibel gli stonassero il cervello e lo stordissero come lo avrebbero fatto invece suoni realistici. Aveva avuto sempre a che fare con simulazioni, effetti speciali, strumenti, voci, nulla di reale. In quei mesi aveva creduto di aver sentito di tutto; i suoni degli spari, le urla di panico e di terrore, le esplosioni lontane, le raffiche sopra la sua testa, i vetri che scoppiavano e si riversavano sopra il suo corpo come una cascata di coriandoli. 

La sua schiena si era paralizzata su un pavimento sporco e ghiacciato, duro e scomodo; i suoi arti erano ancora intorpiditi, impossibilitati a muoversi perché ogni parte del suo corpo si stava concentrando solamente su un senso, sull'udito; il resto era come se si fosse improvvisamente spento e fosse privo di un alimentatore che lo facesse ripartire. Il suo naso sentiva puzza, la sua pelle assorbiva del calore, in contrasto con il gelo della schiena. La sua vista era nera. Nera perché gli occhi non volevano aprirsi; si erano serrati dopo che il dolore alla spina dorsale non gli stava dando tregua. C'erano dei rimbombi troppo forti, ovattati, ma sempre cristallini.

C'era troppo rumore. Troppo rumore.

Si era abituato al fracasso delle armi da fuoco, ma questo era semplicemente troppo.
Tuttavia, insieme a quei suoni ripetuti, accelerati, così veloci da non fargliene registrare nemmeno uno che gli sembrava di stare andando a rallentatore, rispetto al mondo che girava dettato dalle sabbie del tempo, sentiva altro. Altro che non aveva nulla a che vedere con quelle continue esplosioni che lo avevano imprigionato in un circolo senza fine.

Era una voce.

Una voce alta che stava pronunciando ininterrottamente una parola che giungeva appannata alle sue orecchie, distorta e poco comprensibile. Si focalizzò su di essa, tentando di ricostruirla lettera per lettera.
Non appena la riconobbe, all'ennesima pronuncia, il suo corpo si mosse.

«Noah!»

Gli occhi di Noah scattarono aperti.
Davanti a lui si palesò la hall del decimo piano della NASA.
Realizzò di non essere sdraiato supino, bensì su un fianco, il sinistro. Stava dando le spalle al blocco di marmo, alla direzione da dove provenivano tutti quegli spari, ma vedeva le sorti dei corridoi, delle porte, delle decorazioni che stavano venendo travolte da quell'ondata di metallo incandescente senza risparmiare nessuno. Quando prese coscienza del suo corpo, capì il motivo per il quale i suoni, seppur troppo forti per essere nascosti, avessero quella strana nota di ovattato.
Le sue mani stavano coprendo le orecchie.
Le scoprì immediatamente, volendo provare a sollevare di poco il busto.

«Don't move! Stay right there!» pronunciò nuovamente quella voce, agitata quanto autoritaria.

Noah estinse quel tentativo, tornando spalmato sul pavimento. Provò ad inclinare il capo per seguire quella voce che proveniva sopra la sua testa, prendendo in considerazione il fatto che fosse disteso. Si rannicchiò, volgendo lo sguardo oltre i detriti sul pavimento, i quali si stavano ammassando di volta in volta da creare un polverone assurdo di almeno un centimetro. I suoi occhi si aprirono più del dovuto. 

Aveva dimenticato che la hall era caratterizzata da quelle sei panchine in marmo disposte in maniera circolare, ma gli era anche sfuggito il fatto che tra di esse vi erano dei mobili, delle specie di librerie in metallo dove vi erano sistemati dei riconoscimenti o dei modellini spaziali di ciò che si era susseguito negli anni della NASA; quei mobili erano un po' più alti delle panchine, ma meno resistenti del marmo. La prima cosa che vide Noah, infatti, fu proprio quanto quel mobile si stesse deformando ad ogni colpo, la volontà di resistere ai proiettili che veniva sempre meno.

OPERAZIONE YWhere stories live. Discover now