Capitolo 20: Rientro

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Tornarono a Washington.
Il viaggio era stato meno turbolento di quel che Dave si era aspettato. Tuttavia era stata proprio quella quiete anomala a mantenere vivo il turbamento e l'ingarbugliamento di pensieri che la sua mente non era stata in grado di domare nemmeno durante il corso della notte; tralasciando l'insonnia che aveva costretto i suoi occhi a rimanere sbarrati a fissare il soffitto senza alcuna probabilità di chiusura per accompagnarlo lentamente nel mondo dei sogni, la mattinata era stata decorata da un silenzio radio che aveva fatto tutto, fuorché confortarlo ed aiutarlo ad uscire dalla situazione che gravava sulle sue spalle.
Noah non gli aveva rivolto la parola per l'intera durata del viaggio.
Non era passato inosservato il suo uscire presto quella mattina; Dave aveva udito il cigolio della serratura della camera accanto verso le sei del mattino, seguita da piccoli passi. Il loro volo era programmato per le nove e quando era sceso per consegnare le chiavi alla reception, il ragazzo era lì, seduto sulle poltroncine d'attesa con un paio di cuffie alle orecchie; non erano le sue – ricordava che il suo tipico paio di fiducia fosse bianco – il colore nero lo aveva mandato fuori strada, conducendolo ad una nuova conclusione: forse si erano rotte o le aveva perse a causa della caduta. Se era uscito così presto, significava che era andato a prendere quel nuovo paio nelle ore dove era sicuro di non trovare troppa gente per strada, assicurandosi che qualche negozio fosse aperto per compiere la sua missione ed evitando di uscire inutilmente. Era stato esagerato dire che non aveva prestato minimamente attenzione alla sua presenza, ma le sue risposte erano state secche, veloci e dirette. Qualunque cosa Dave avesse voluto dirgli, che fosse inerente al viaggio, al taxi, ai borsoni o alla missione, Noah aveva ribattuto con un brevissimo ok o dopo e chinava lievemente il capo per annuire; i loro occhi non si erano incrociati nemmeno una volta, dovuto anche al cappuccio che il giovane aveva indossato, e a volte non gli aveva persino risposto. In aereo aveva mantenuto gli auricolari saldamente sulle orecchie, fregandosene del consiglio dell'hostess di toglierli per ascoltare le avvertenze dei suoi colleghi; aveva puntellato il gomito sul bracciolo, inclinato il capo al finestrino e fissato per otto lunghissime ore il panorama; non aveva mosso un muscolo. Se si era addormentato in quella posizione, Dave non lo avrebbe mai saputo; era da pazzi provare a toccarlo e chiedergli come stesse. Ci aveva provato, ma Noah lo aveva sorpassato con una spallata per camminare in avanti e stargli lontano, estinguendo la domanda a metà della sua pronuncia. L'atmosfera tra i due era asfissiante; il soldato aveva provato tanta di quella tensione che aveva dimenticato per un breve attimo la scomparsa di Kevin, stravolto da un nuovo e strano enigma che gli aveva smorzato la pennichella in aereo. Era pur sempre un essere umano e, oltre al lavoro, non aveva potuto fare finta di nulla davanti a ciò che i suoi occhi avevano visto l'altro giorno; l'atteggiamento di Noah era saltato fuori delle righe con la quale era stata scritta la sua routine giornaliera dal momento in cui aveva messo piede in casa sua. I patti erano stati chiari, ne avevano parlato non appena avevano dato il via a quella strana convivenza di prendere piede; nessuno doveva intralciare il lavoro dell'altro: ognuno doveva pensare a sé stesso. In sostanza, avrebbero dovuto condurre una vita credendo che il coinquilino non esistesse. Regole che, quando veniva staccata la corrente o vi era la colazione, il pranzo e la cena, venivano totalmente annullate per quei minuti in cui litigavano o mangiavano il medesimo alimento, se questo fosse stato di gradimento per entrambi.
Per il resto, lui e Noah erano perfetti sconosciuti.
Quella era stata la prima volta in cui, per sbaglio, Dave era venuto a conoscenza di un particolare che aveva violato la suddetta sentenza. Non aveva voluto, tuttavia, stargli col fiato sul collo durante il rientro negli Stati Uniti. Atterrati, lui era subito sceso, aveva ritirato il bagaglio e aveva chiamato un taxi senza spiccicare una parola. Non si erano diretti a casa, bensì direttamente in ufficio, dal Direttore Simmons, in attesa del loro arrivo; erano partiti alle nove europee ed erano arrivati alle undici americane. Il fuso orario era estenuante a volte. Per questo, di ritorno dall'Afghanistan, dall'Iraq o dall'Iran, lui e i suoi compagni sceglievano quasi sempre di rientrare durante la notte, cosicché da avere il tempo per prendere una pausa. In questo modo, lui e Noah non avevano avuto neanche l'occasione di riprendere fiato.
Varcate le porte dell'agenzia, abbandonarono i bagagli nel deposito all'entrata e si diressero all'ascensore; Noah optò per prendere l'altro, pur di non stargli ancora accanto. Dave non commentò quell'atteggiamento, limitandosi a preparare un discorso da fare a Simmons una volta varcate le porte del suo ufficio.

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