Capitolo 33: Fiamme

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Qualcuno si era gettato al di sopra del suo corpo. Un enorme flash invase interamente il suo campo visivo da non fargli vedere più nulla; udì delle urla spezzate dalla sofferenza e dal dolore, uno strazio che gli perforò il cuore e gli fece piangere i timpani. Quei suoni furono più tormentanti dell'esplosione che ne susseguì, un boato acuto che gli martellò il cervello. Per un attimo i sensi si sbiadirono; la nave, il cielo notturno e le grida di chi era insieme a lui si ovattarono, soppresse dalla deflagrazione che gli squarciò l'udito con una folata di vento che gli tagliò il viso. Percepì la sua schiena collidere contro il pavimento in metallo freddo del ponte e un peso fare pressione sopra di lui senza dargli la libertà di muoversi. Quel singolo evento gli aveva bloccato l'aria nei polmoni e ostruito il flusso di pensieri di chi voleva solamente creare un piano di fuga per poter portare in salvo la sua squadra; raggiungere la scialuppa, scappare dal lato cieco della fregata, non chiedeva nient'altro. Era ovvio che fossero in inferiorità numerica, che il nemico aveva preso il controllo della loro imbarcazione principale, e con uno di loro ferito, Rem, e con Igor all'altro mondo, non avrebbero potuto fare nulla. Era chiaro che la missione fosse fallita, che erano stati chiusi e colti alla sprovvista quando meno se lo erano aspettati, avendo abbassato erroneamente e ingenuamente la guardia, sicuri che nessuno li avrebbe raggirati. L'unica alternativa che avevano era scappare. Sapeva che il GRU gli avrebbe fatto costare caro una simile decisione, che non avrebbe mostrato tolleranza davanti ad un futuro Capitano che aveva deluso il suo reggimento con la scelta di scappare con la coda tra le gambe senza affrontare il nemico principale, tuttavia l'onore – in certe occasioni – poteva attendere; quando la situazione degenerava in un riscontro privo di uscite e con l'unico fine di morire e sprecare al vento vite senza ottenere il successo, ritirarsi era la scelta migliore. In quel caso, non si era degli eroi, bensì degli illusi temerari audaci e ostinati nel voler fermare qualcuno, pur consapevoli che il loro gesto non avrebbe portato a nulla, dissolvendosi in polvere, dalla quale non sarebbe nata nessuna nuova pianta di speranza. E lui non avrebbe mai e poi mai gettato al vento le vite dei suoi uomini. Li avrebbe riportati a casa. Quando il frastuono dell'esplosione si estinse, le urla agitate e in preda al panico dei suoi uomini ritornarono a rimbombare nelle sue orecchie; i suoni lo travolsero come una scarica di proiettili, un'ondata di calore si impregnò sulla sua divisa, in coincidenza del petto. Aveva serrato gli occhi, percependo un intenso dolore al viso e al braccio quando l'onda d'urto scatenatesi dalla granata si riversò sul suo corpo; adesso stava riprendendo coscienza di sé e cercò di rimettersi in piedi per andare ad aiutare i suoi compagni. Scosse la testa, la vista che sembrò ritornare più nitida; inclinò il capo alla sua destra e si incontrò con i suoi compagni. Rem, seppur ferito, e Iuri stavano sparando, usando la parete in metallo della fregata per resistere ai colpi di chi li stava chiudendo in quell'insulso angolino privo di uscite. Il più giovane aveva le lacrime agli occhi e, quando cercava di tornare in copertura per ricaricare, vedeva le sue mani tremare ininterrottamente, non avendo neanche il controllo e la precisione di inserire il caricatore nuovo nell'apposito incastro. Da quanto tempo era rimasto fuori gioco, disteso in quel pavimento freddo? Sentiva qualcuno che lo stava chiamando, che voleva che lo guardasse. Il peso sopra il suo corpo venne meno e il suo volto venne afferrato da un paio di mani, affinché inclinasse il collo verso l'opposta direzione; vide il suo secondo in comando chiamarlo in attesa di una risposta. Stava bene. Si era tolto il passamontagna...E lo stava guardando con orrore. Perché? Gli afferrò le mani di rimando per essere lasciato in pace e fu lì che avvertì un dolore lancinante attraversargli la guancia destra; la toccò e i suoi guanti si tinsero celeri di rosso. Bruciava. Bruciava immensamente. Sentiva che il suo passamontagna si era fuso con parte della pelle a causa di un'ustione di terzo grado. Ma non ebbe le forze di urlare, talmente fu alto lo shock. Cercò tentoni la siringa di adrenalina sul suo tattico, eppure notò un braccio disteso sul suo torace, il quale non apparteneva a nessuno dei due. Quando decise di prenderlo per scostarlo, il sangue gli si raggelò dal terrore. Se ne venne in maniera così leggera e priva di solerzia che gli mancò il fiato.
Il braccio era unto di sangue, dello stesso sangue di cui gli si era sporcata la divisa, e da sopra il gomito in poi non era attaccato a nulla. Era quasi carbonizzato. Ora che i sensi ripresero a funzionare correttamente, mancava ancora qualcuno all'appello. Si voltò verso il compagno, dal volto adesso amareggiato e in preda all'ansia, poiché non fu in grado di poter comunicare con lui per dargli la notizia. Dietro di lui giaceva un corpo privo di braccia e di una gamba, ricoperto di polvere, rosso e nero. Gli occhi erano chiusi, il volto ustionato. Ma non fu difficile capire che quello era Max e che era stato lui a fargli da scudo umano.

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Angolo autrice:

Oggi un capitolo un po' corto, ma pesante e profondo! Ogni tanto mi porto indietro nel tempo, in quella strana guerra avvenuta in mare aperto; la situazione si fa sempre più cruda, sempre più raccapricciante. E vi starete chiedendo, cosa ha che fare tutto questo con quello che stanno passando i cari protagonisti? Eh eh. Vedrete, cari miei. Vedrete!
Al prossimo sabato!

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